Stabber è sempre stato un produttore cult nella cosiddetta ‘scena hip hop‘. La sua carriera è stata segnata in lungo e in largo da collaborazioni di fondamentale importanza per quello che è stato (e dovrebbe essere) il rap italiano.
Un colosso quando si muove fa rumore e infatti “Trueno” è un disco che fa tremare la terra; alla sua prima esperienza da produttore d’album, Stabber crea qualcosa di magico. Il disco è una chiara sfida allo stagnante mercato musicale italiano, un tuono scoccato nel bel mezzo di un deserto sonoro fatto di rumori che stritolano quotidianamente le nostre orecchie.
Il paragone con la macchina sportiva nota per i drifting in questo caso è efficacissimo. Stabber, produttore della vecchia guardia, proprio come l’elegante macchina sportiva anni ’80, romba più forte di gran parte della scena musicale attuale fatta di Lamborghini e Pagani Zonda.
“Trueno” è un album prodotto con tutti i crismi; la macchina di Stabber è costruita in modo meticoloso e preciso. Se il produttore fornisce il motore all’interno del disco, gli artisti che si cambiano a turno il microfono creano delle canzoni-cerchioni, così come vengono descritte graficamente nella tracklist.
In un ambito come il drifting, i cerchioni sono fondamentali e il concept di “Trueno” colpisce soprattutto per questo.
Stabber drifta sul mercato musicale, creando qualcosa fuori dai confini dell’industria e dalle sue tracklist copia e incolla. In questo senso, l’assenza dei soliti featuring di tendenza, più che un malus, è una vera e propria boccata d’aria che offre nuove prospettive d’ascolto all’ascoltatore.
Al pop becero da classifica, Stabber propone un’idea di musica complessa e volutamente più difficile da ascoltare.
Come abbiamo detto, non partecipa alla corsa dell’industria, ma drifta; se l’obbiettivo nel drifting non è superare l’avversario, ma driftargli il più vicino, la derapata di Stabber fa letteralmente mangiare la polvere alla musica di plastica uscita recentemente.
La cosa più innovativa di “Trueno” è la sua abilità nel creare ponti tra mondi totalmente diversi fra loro. Senza creare dei “raccapriccianti Frankenstein”, il produttore culto raccoglie al meglio, nello stesso disco, artisti pop e rap, underground e mainstream: vedere nello stesso disco Danno e Angelina Mango, Annalisa e Laila Al Habash, o ancora Noemi e Nitro addirittura nella stessa traccia è qualcosa che fa sicuramente un certo effetto, ma che non stona affatto.
L’alchimia che crea Stabber nei featuring è simbolo di una chiara visione musicale: tutti gli artisti chiamati si mettono in gioco, provano a sbandare dal loro solito percorso artistico seguendo l’idea artistica del disco.
Sentire la vincitrice di Sanremo, Annalisa, Noemi e Gaia nella stessa tracklist – vogliamo ripeterlo – che si apre con una traccia solista del Danno, e poi trovare Johnny Marsiglia, Noyz Narcos e Yung Snapp, mostra la cura maniacale di Stabber per la sua macchina.
La “Trueno” ha bisogno di una manutenzione d’eccellenza e infatti, il suono di Stabber è curato nei minimi dettagli, e la scelta e il modo in cui ha assemblato i cerchioni è senza dubbio un’idea Hip Hop.
Le produzioni di “Trueno” non scendono a compromessi; Stabber porta la sua concezione di musica attraverso tappeti sonori cyberpunk, beat cupi e profondi con sonorità che spaziano dall’hip hop alla darkwave passando per la techno.
In fondo, a questi suoni ‘distopici’ ci aveva già abituato grazie all’esperienza con gli Artificial Kid – supergruppo composto da Danno, Dj Craim e lo stesso Stabber – nelle produzioni di “Numero 47“, vera e propria pietra miliare nell’underground italiano. Consigliamo vivamente l’ascolto.
E proprio ‘Trueno’ inizia con un commovente ritorno al passato. “Il profumo delle rose” è un omaggio all’esperienza maturata con gli Artificial Kid; il brano in collaborazione con Danno e Dj Craim segna il ritorno di una delle penne più raffinate della scena rap. “Il profumo delle rose” è un brano orchestrale, e forse il più intimo che Danno abbia mai scritto.
La strumentale si muove lungo un climax ascendente; non ci sono loop ripetuti, ma il brano cresce di strofa in strofa seguendo il soliloquio di Danno. Il rapper romano, tra luci che si spengono e balli in Fa minore, dà vita a un’introspezione catartica in tre atti che incendia il disco alla prima traccia.
Come dice il Danno nel “Profumo delle Rose”, “questo suono ci stacca dallo sfondo”; il disco crea un territorio all’interno dello spazio piatto dell’industria musicale. “Trueno” vuole settare i trend e liberarsi dalla catena di montaggio per diventare un prodotto unico e inestimabile. Come sa bene il buon Stabber, bisogna fare dei fuori pista per forzare un sistema colossale che punta a riciclare all’infinito la formula che funziona.
L’ascolto di “Trueno”, infatti, è estraniante; vi accorgerete durante l’ascolto che non sembra un disco di musica italiana, non è rap italiano, non è pop italiano, o perlomeno non è solo questo. Stabber non sta guardando con il paraocchi al mercato musicale italiano, ma si proietta verso un’idea di musica assai più vasta.
La spinta esclusivamente hip hop del primo pezzo viene ridimensionata nelle tracce successive. Il connubio tra artisti musicalmente lontani crea coppie di artisti insolite che man mano si adattano e vengono plasmati dalla darkwave di Stabber.
Il dualismo rapper-cantante italiana funziona alla perfezione senza snaturare generi e artisti; è il caso di “Black & Blue“, pezzo in cui Noemi e Nitro si dividono il beat e fanno saltare la forma della canzone pop da dentro. Noemi crea una prima strofa cantata e il ritornello del pezzo che fanno occhiolino all’atmosfera classica della canzone pop, in cui due persone si lasciano. La strofa di Nitro, però, ci sposta in un dialogo con sé stesso – o con noi stessi? – che spezza qualsiasi aspettativa creata dalla struttura portante del pezzo, finché nel finale la voce della cantante filtrata dall’autotune diventa un tutt’uno con la darkwave della base.
Ma più clamoroso è il caso di “Piove Forte” con Gemitaiz, Angelina Mango e Yung Snapp: un pezzo ‘elettrotrap’ dove la vincitrice di Sanremo dà prova della sua tecnica performando prima un ritornello urlato e successivamente una strofa rappata. Angelina dimostra quanto è forte e la sua presenza tra Gem e Snapp ci fa ben sperare per il suo futuro. La base sembra essere stata costruita con i pezzi smontanti della discografia dei Chemical Brothers e dei Moderat, e sembra provenire proprio dal futuro.
“Let It Go” con Venerus e Miraa May è il brano da cui l’atmosfera del disco lascia l’Italia per proiettarsi nel mondo, forse per un nuovo pop mondiale. Il connubio tra i due, nonostante la distanza abissale, diventa un viaggio estraniante che ci fa rivalutare le nostre aspettative di ascolto. O, perlomeno, le mie aspettative di ascolto verso un qualsiasi disco di musica italiana.
“Trueno” ha molte facce ancora: Coez e Annalisa firmano uno dei tanti banger del disco (“Salto nel Buio“), mentre Salmo, nella titletrack omonima, dà voce a una hit techno da discoteca con linee melodiche tra l’elettronica e la soundtrack di un film horror e angosciante. Il lavoro in studio con Stabber ha permesso a Salmo di asciugare il testo fino ad ottenere l’essenziale. Un testo minimale che, se messo a tutto volume in macchina, la trasforma in “un treno a quattro ruote”.
“Legend Never Die” vede la collaborazione di Johnny Marsiglia, di J Lord e una superstar del mondo reggae: Alborosie. Il ritornello di Albo dà uno slancio mondiale allo scambio dei due mc e contribuisce in maniera significativa all’importanza della corsa che sta gareggiando il nostro produttore. Johnny Marsiglia in questo brano veste i suoi panni preferiti, quelli dello speak the truth. In italiano si potrebbe tradurre con: “ti faccio vedere quanto i tuoi luoghi comuni siano comuni e poi ne riparliamo”: “si dice che prima era meglio, io non ne sarei così certo”. Ed è bella per J Lord che è in gara con due leggende.
Con “Due Lune“, Stabber mette insieme due giovani promesse che sembrano volersi fare la gavetta fuori dal solito circuito di riflettori, amici e balletti. Le due lune sono quelle che si vedono dalla nostra Trueno guidata a tutto gas sotto i cieli di Marte, con questo pezzo a tutto fuoco mentre stiamo per entrare dentro una galleria lunghissima. Le due lune sono Ginevra e Laila Al Habash.
“Fé” è il singolo di lancio dell’album in collaborazione con Gaia. La cantante di origine italo-brasiliana scrive un testo in portoghese che, come recita il titolo, tratta il tema della Fede. Non è un caso che il brano sia stato scelto come singolo, dando l’opportunità ai due artisti di dire la loro visione artistica in un’intervista per Rolling Stones.
Il modello musicale di riferimento è chiaramente l’ultimo album di Rosalia, mentre per quanto riguarda il testo, Gaia lascia qualsiasi idea preconfezionata. Il brano, infatti, nasce da un pranzo davanti a un piatto di pasta tra cantante e produttore, di cui vi lasciamo una piccola traduzione:
«Cuori giudicanti dentro le chiese, patriarcato che si siede ancora a capotavola, filtri che distanziano dalla reale bellezza, figli fatti nella noia della quarantena, non sono cresciuta per essere così distante da me, non sono morta per risorgere la stessa di prima: dov’è la tua fede adesso? È già caduto questo velo di Maya o se tu che non vuoi vedere?».
“Non Odiare Mai” con Coez, Gemitaiz e Noyz Narcos è il secondo singolo che porta il rap fuori dalla consueta retorica dell’autocelebrazione. I tre sembrano scrivere e descrivere la realtà dello spettacolo da dietro le quinte, mentre si levano gli abiti e le maschere dello show, e il consiglio che lasciano a chi continua a doversi mettere alla prova è di ‘non odiare mai’. Noyz mostra una maturità e consapevolezza che raramente sono così esplicite nei suoi testi. Il rapper romano sembra riallacciarsi al sipario, al buio della sala del Danno, e in quel buio sembra confessare qualcosa “Non odiare quel che faccio, fa parte del set”.
Il disco non può che chiudersi con un drifting out, dove Stabber lascia la scena a un altro emergente: “DARRN“. Il cantante, con una strofa senza ritornello, dà una conclusione lirica che accentua ancor più l’eleganza di “Trueno”, mentre la conclusione sonora del brano è un crescendo di archi che strappano la scena ai bassi, chiudendo un cerchio magico che rimane inciso a terra con il nero delle gomme in derapata.
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