Per parlare di “Locura” ho voluto prima parlare di pressione, sia la forza fisica sia quella sociale, quest’ultima perché influisce notevolmente sulle decisioni personali e professionali, di pazzia, perché l’essere fuori dagli schemi, in alcuni casi, è l’opera più conservatrice che si possa fare.
Quando la pressione diventa ossessione.
La pressione di voler far meglio, perché proprio Lazza, con le gambe a penzoloni sulle transenne all’inaugurazione dell’installazione a Milano in onore del disco, ha guardato negli occhi i suoi fan dicendo che con questo album avrebbe fatto la storia rivoluzionando il genere. Pressione perché questo album è il diretto figlio dei platini di “Sirio“, destinati a comprimersi sotto quest’incredibile pressione esercitata da “Locura” per trasformarli in un diamante, il primo disco di diamante della storia del rap italiano dopo gli Articolo 31.
Una strategia costante, che va avanti da mesi, dal 31 gennaio 2024, quando Lazza aveva velatamente annunciato il nome del progetto nella puntata di “Real Talk“, il format su YouTube di Bosca e Kuma. Il rapper disse infatti che aveva nascosto tra le rime il nome dell’album:
E, frate’, è una locura, è sempre il solito tran tran
Real Talk – Lazza Pt. 2 prod. Drillionaire (2024)
A tua mamma non piaccio, pensa sia parte di un clan, ehi
Odiavo il freddo alla fermata del tram
Voglio degli hater nuovi, quelli vecchi sono miei fan
Un lancio non convenzionale dalle aspirazioni da big del rap internazionale: “LOCURA OPERA N.1″, un live orchestrale, seguito in diretta streaming da oltre 60mila persone, dove ha presentato in anteprima 8 brani davanti allo Stadio San Siro della sua squadra del cuore, accompagnato dall’Orchestra Sinfonica di Milano.
A mio parere, la grandezza dell’evento si è concentrata nell’imprevisto della voce in cuffia. Mentre il rapper aspettava che si risolvesse il problema, il pubblico ha intonato quasi interamente “Morto Mai” (Re Mida, 2019). Nel cortocircuito tecnologico, c’è stata connessione umana. L’esecuzione collettiva del pubblico ha reso Lazza spettatore del suo concerto e ha fatto capire l’intima sintonia della folla con l’artista, materializzando proprio la pressione di cui abbiamo appena parlato.
La pressione di non poter sbagliare. L’ossessione di voler alzare forzatamente l’asticella. Follia, diresti, dopo un album certificato 9 volte platino, no?
La locura dietro al disco
L’ossessione del guadagno, del denaro, ti fa impazzire, ti prende in giro. Se da una parte può travolgerti, dall’altra può diventare liberatoria. La locura è infatti il concetto di pazzia, in questo caso sostanziata nella pazzia data dalla fama tossica e da tutti i lati negativi che, chi non la possiede, non riesce concretamente a comprendere quanto possa essere estenuante.
Il concept alla base dell’album è direttamente collegato alla tauromaquia di Goya (1861). Il pittore spagnolo, nella sua serie di incisioni, utilizza la corrida come soggetto non solo per documentare l’arte della corrida, ma anche per esplorare concetti più profondi legati alla contraddittorietà della natura umana, alla necessità della violenza per la sopravvivenza, al coraggio di affrontare le sfide e alla fatalità di sostenere gli eventi.
Analogamente, come Goya, Lazza tenta di concretizzare i suoi tori nella copertina del disco e tramite la realizzazione del progetto cerca di ucciderli affinché, come nelle tauromachie cretesi, li possa offrire in sacrificio al successo dopo averli uccisi uno ad uno in una mattanza collettiva spalleggiata dall’ascoltatore.
“Locura”, il disco
Le 18 tracce presentate dal rapper rinchiudono nell’arena della sua corrida 8 featuring, 10 producer e 27 autori. Un disco quasi corale, manifestante la volontà dell’artista, di Universal, di Island, di ri-prendere una vetta che hanno tenuto salda per tanto tempo.
Il progetto ricomincia la narrazione da dove Lazza l’aveva interrotta nel precedente lavoro, dal mondo in pausa messo in “Replay”, dove tutto e fermo, fossilizzato e lo si può osservare da vicino per poterlo analizzare. Non a caso il disco è nato proprio durante il tour di “Sirio”, tra una data e l’altra, in uno spazio di fermo. La ricerca dell’introspezione è manifesta fin dall’intro fatta fare a Laura Pausini, che all’orecchio suona così solenne da sembrare l’introduzione di un’opera .
Le punchline (segnalo sotto una di quelle più “vecchio stile”) cambiano fattezze e acquisiscono una funzione diversa rispetto ai precedenti progetti.
Per fare slalom tra ‘sti Saiyan, coda di paglia
Lazza – Fentanyl feat. Sfera Ebbasta (Locura, 2024)
Non avere mai un euro in tasca, sì, mi costava
Ora mi corrono dietro, guarda, Speedy GonZzala
Se queste prima erano un tratto distintivo del rapper e d’effetto già ad un primo ascolto, adesso si spuntano, diventano barre smussate, con un’incisività differente, in favore di un racconto dell’interiorità a servizio di relazioni complicate, conflitti emotivi (es. la parola “lacrime” compare 10 volte, “dolore” 8 volte) e la difficoltà di mantenere legami significativi in un contesto di fama.
Su WhatsApp ho lo stesso messaggio da mesi che scrivo
Lazza – Canzone D’Odio feat. Lil Baby (Locura, 2024)
Sembra come se cuore e cervello li avessi nel frigo
Perderò i sensi per primo
Nebbia nel posto in cui vivo, umore grigio, Resident Evil
E ora che è pieno il mio conto in banca
Fingi che mi disprеzzi, ma menti
Sai che ero già un pеzzo da novanta
L’impressione è che l’economia testuale, punto forte del rapper che è sempre stato capace di intersecare la sua “sofisticata ignoranza“ a una ruvida delicatezza, qui tenda ad ammorbidirsi fino a distendersi tutta verso la ricerca di una musicalità che può disorientare i fan di vecchia data e incuriosire chi invece poco conosce la sua precedente discografia.
Le criticità di un progetto destinato a sfondare la parete dello streaming
La tensione di genere dei brani, in un equilibrio più favorevole alla matrice rap come in “Sirio”, si ripropone soprattutto in alcune tracce (“Fentanyl” con Sfera Ebbasta, “Ghetto Superstar” con Ghali, “Verdi Nei Viola“, “Casanova” con Artie 5ive, “Mezze Verità” con Kid Yugi, “Giorno Da Cani“, “Dolcevita“), ma si sposta fortemente in una maniera centripeta verso un tipo di pop che porta la sua firma, già sperimentato con “Cenere“; una batteria elettronica incalzante, un modo di rapper tendente al canticchiato e distorsioni vocali agevolate dal tune che, unite insieme, portano la firma di Lazza.
Se infatti si ascolterà di fila i ritornelli di quest’ultima citata, “Abitudine“, “Male Di Vendere“, “Estraneo” – ma anche alcuni passaggi vocali di “Fentanyl” – ci si renderà conto che avremo davanti alcuni brani con un’impostazione vocale e delle linee melodice molto simili, quasi sovrapponibili e differenti di pochi toni.
A fare più scalpore è invece il comparto musicale che, nonostante la sue varietà, risulta accostabile a diversi brani già usciti di altri artisti, internazionali e non.
In merito a Drillionaire voglio però spendere due parole, poiché il beatmaker sta ricevendo critiche molto massicce. La competenza del beatmaker, in questo momento, viene messa alla berlina soprattutto per la scarsa inventiva e la grande ripetitività della scelta dei suoni fino a diventare un luogo comune che perde di valore nel ripeterlo all’infinito.
Il produttore, che affianca Lazza già da “N70” o “Cerotti” (2016), ha collezionato diverse hit da classifica – largamente apprezzate, come “Snitch e Impicci” di DrefGold – andando incontro al gusto del pubblico fino ad influenzarlo. La sua rapida scalata non è stata dettata solo dalle conoscenze come molti credono, ma anche da un apprezzamento di un pubblico che ha dimostrato sostegno, stima e apprezzamento di quanto ha fatto. Ciò però non ci sottrae dall’evidenziare come alcune tracce di questa sua fatica suonino così simili ad altre.
La base di “Zeri in Più (Locura)“, prodotta da Drillionaire, somiglia per alcuni tratti a “redrum“ di 21savage e a “Vero Tony Vero Sosa” di Tony Effe (prodotta da Drillionaire), “Fentanyl” ricorda “Trentuno Giorni” di Guè, “-3 (Perdere Il Volo)” “Sticky” di Drake, “Ghetto Superstar” “lose” di Travis
Scott. “Verdi Nei Viola” porta con sé l’attacco che somiglia ad un type beat tipico del rage rap, analogo a “Miss The Rage” di Trippie Red, Playboy Carti, “HOT” richiama “Paradiso Artificiale” di Tedua ma anche “HOT” di Young Thug e Gunna, vagamente anche “HOT” di Tony Boy, “Dolcevita” “15Piani” di Sfera.
Evitando completamente un processo all’intenzione a Drillionaire, ciò che si può dire è che se diversi brani, ad una maggioranza di ascoltatori, somigliano ad altri, diventano una crepa che rischia di mettere in crisi tutta l’architettura di un disco che ricerca la scultura di uno status identitario e proprio.
Il progetto, orientato sui suoni a cavallo tra l’R&B e il pop rispolverato dei primi anni ’10 con delle vaghe sfumature di Drake di “Honestly Nevermind”, diventa tutto tranne che un prodotto immediatamente accostabile a Lazza, quasi più una copia sbiadita di The Weekend o Tory Lanez.
Ad un pubblico tipo della radio un tale lavoro potrà sembrare avanguardistico, non fa questo effetto agli appassionati di rap e Hip Hop internazionale che accolsero – con qualche perplessità – “Sirio”, ma che non del tutto riescono a percepire come progetto rivoluzionario un disco che porta con sé, a mo’ di centone, i tratti e le melodie di altri artisti più blasonati e navigati nelle loro dimensioni musicali.
Un caso analogo, seppur non perfettamente accostabile, è quello di Geolier con “Dio Lo Sa” e il comun denominatore dei due artisti, oltre all’innegabile bravura a rappare, è l’aver calcato il palco dell’Ariston. L’apertura ad una platea così nutrita ha comportato una sorta di uniformazione e normalizzazione musicale di una ricerca orizzontale, volta ad emulare cosa già funziona all’estero per avere delle reduplicazioni, come quelle de “L’Italia in miniatura”, nel nostro mercato.
Nella propria singolarità siamo tutti diversi, ma realizzare un prodotto artistico che ci rende simili ad altri, è proprio la locura che prima o poi ti prende in giro, fino a togliere il respiro, soprattutto di chi ascolta, perché a fine disco ci si arriva affaticati.
La locura di René Ferretti
io parlo della locura, […] La pazzia […], la cerveza, la tradizione o merda, come la chiami tu, ma con una bella spruzzata di pazzia, il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillettes…[…]questa è l’Italia del futuro: un paese di musichette, mentre fuori c’è la morte.
Aprea a René Ferretti in “Boris 3” (2010)
Quello che, personalmente, mi ha lasciato il disco di Lazza alla fine di svariati ascolti, insieme a qualche brano salvato tra i “preferiti” che tra un po’ verrà sormontato da altri, è un senso di impotenza davanti ad un mercato musicale che promette innovazione ma gioca sul sicuro, ricalcando formule già seguite e consolidate.
Secondo la mia opinione, non si può definire il progetto scadente, anzi, essendo ancora un ascoltatore che ascolta tutto il disco secondo l’ordine prestabilito, con qualche traccia in meno lo avrei apprezzato sicuramente di più. Ciò che mi ha messo in difficoltà nella fruizione è stata una mancata emotività condivisa, una mancata connessione sentimentale-emotiva con l’artista, con il quale ho avvertito uno scarto esistenziale non colmabile nemmeno con gli ascolti; quella che è avvenuta con “Morto Mai” davanti a San Siro, per capirci.
Quando Lazza ha guardato in faccia i suoi fan dicendo che avrebbe fatto la storia con questo disco, rivoluzionando il genere, ho rivisto in lui René Ferretti, il protagonista della serie TV “Boris”, proprio perché accomunati dal concetto di “locura“. Il regista della serie, stanco di dover lavorare in un ambiente dominato dalla mediocrità e dalla superficialità, in cui si lavora solo per produrre qualcosa in fretta e senza qualità, arriva a concepire la “Locura” come una sorta di via di fuga dal cinismo e dal conformismo che caratterizzano la produzione televisiva italiana fittizia mostrata dalla serie.
Che Lazza abbia messo sé stesso nel disco non ne dubito, ma la dichiarazione d’intenti e lo scopo del disco di rivoluzionare un genere, a mio parere, non vengono centrati. Come il più delle volte accade, alcune rivoluzioni nascono per caso e altre invece, quelle che partono con l’intento di gridare al cambiamento, stanno praticando il conservatorismo ma non lo sanno. Cosa c’è di avanguardistico nel riprendere ciò che altri artisti hanno già fatto?
“Locura” di Lazza, un disco che riscuoterà certificazioni su certificazioni, ma rappresenta l’ennesima occasione sprecata di aggiungere un tassello alla cultura del genere che, prometeicamente, un artista del suo calibro avrebbe potuto fare.
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