La realtà è sempre un po’ più lontana da dove ti aspetti che sia. Tu vai a passo d’uomo, il tempo va più veloce e ti ritrovi a rincorrere e dover metabolizzare allo stesso tempo. È come se fosse diventato un lavoro riconoscere i bias cognitivi, ma a volte se qualcuno non ti dà la risposta che cerchi non puoi arrivarci da solo. No, Paloschi non è più una giovane promessa. Ve lo dico io. Tra poco sono dieci anni che è uscito “Status”, non sei andato all’instore quattro anni fa, ma dieci. Vuoi sapere invece da quanto tempo è nella scena Nayt? Forse dovevi ancora imparare a camminare.
William Mezzanotte è un classe ’94 e, come i bomber di provincia, sembra esser venuto fuori tardi. Ma non è proprio così. Nayt ha vissuto diverse fasi di carriera, alcune più fruttuose di altre ma com’è giusto che sia. Senza il bisogno di fare excursus, sento la libertà di dire che questo sia il periodo migliore della sua carriera.
Il trittico “MOOD”, “DOOM” e “HABITAT” ha invertito la rotta di una nave che rischiava di schiantarsi contro un iceberg. Nayt è riuscito a diventare quello che avrebbe dovuto essere e “Lettera Q”, il suo nuovo album, è il manifesto di questo percorso.
Il rischio che entrasse nel vortice dei rapper dimenticati era alto. Dopo “Gli occhi della tigre”, Nayt ha scelto il percorso giusto. Incredibilmente bravo nel trasformarsi dal rapper dei dissing al rapper che parla alle coscienze delle persone, senza che nessuno se ne accorgesse.
Il valore caratterizzante della sua persona arriva da molteplici azioni, dalle parole che utilizza al suo sguardo, passando per le tematiche trattate. Nayt è un artista e una persona di una sensibilità con pochi eguali in Italia. Con questi termini mi riferisco a quelle vibrazioni che sente la superficie sensibile quando viene stimolata. Un soffio leggero o una carezza, Nayt grazie al suo timbro pacato arriva al cuore delle persone e riesce a farle empatizzare con lui.
In “Lettera Q” la delicatezza della persona emerge ancora di più: Nayt parla poco ma cerca dire tanto, anche se a volte i discorsi possono sembrare retorici a chi non ha instaurato un rapporto di fidelizzazione con la sua arte.
In merito a tutti questi discorsi, ci tengo a riportare il monologo del rapper romano a Le Iene, in occasione dell’uscita del nuovo album:
“Che cos’è l’arte? Cos’è che dà veramente senso alle cose in un periodo storico dove la raccolta di dati fa da padrona? Un’epoca in cui siamo sommersi dalle informazioni. Io credo che la risposta sia il racconto. Avere la capacità di mettere in ordine i dati con lo scopo di ricostruire la storia, la nostra. È questo a darci un senso. Forse inconsciamente l’ho sempre saputo ed è questo che mi ha portato ad innamorarmi della scrittura e a farlo con la musica. E oggi che l’industria si rapporta al pubblico esclusivamente come una macchina fa con i suoi consumatori io è proprio al racconto che voglio nuovamente rivolgere l’attenzione.
Qualche tempo fa ho letto che gli antichi greci sostenevano che, se qualcosa non ha un nome per essere chiamata, allora non esiste. Immaginiamo di non avere dei termini per esprimere quello che sentiamo. Oggi non mi sembra una condizione tanto rara. Io credo che porti ad uno stato di solitudine devastante ad una vera e propria incapacità di vedere se stessi e gli altri. Esatto opposto di quello che io trovo che sia la cultura. Allora ho pensato che in questo senso riuscire a dare un nome alle cose significa diminuire il dolore nel mondo.
E io come artista posso concentrarmi su questo. Posso provare in qualche modo a trovare il vero nome delle cose e magari a fare la magia di chiamare le cose con il loro vero nome”.
Nayt è un artista mosso da intenti nobili e sinceri, non traspare in alcun modo riciclaggio o senso di precostruito, la sua musica è genuina e su questo è inattaccabile. Poi ci possono essere i gusti, anch’essi inattaccabili. Il disco è ben fatto e confezionato bene, che guarda a un target più o meno specifico e che difficilmente può intaccare al di fuori di quello. Questo non è inattaccabile, è più una sensazione.
Perché se è vero che in Nayt si riscontrano tanti pregi e pochi difetti, lo è altrettanto il fatto che non è mai riuscito a diventare realmente mainstream e a raggiungere il Quorum necessario per diventare lui stesso inattaccabile. Questa considerazione è un non problema, perché forse questo aspetto è uno dei tratti che lo rende forte. Nayt parla a chi vuol parlare e lo raggiunge con chiarezza e semplicità. In più, la sua fanbase è organica e fidelizzata, fa parte di quella categoria di artisti. L’ambizione è essere l’Atalanta, ma chissà se questa supererà il talento.
In “Lettera Q”, Nayt cerca di smuovere le coscienze, tenta di costruire mattone dopo mattone un riparo per gli altri, un luogo dove sentirsi compresi e dove lui stesso potrà ritornare a rifugiarsi quando ne avrà il bisogno. Cosa c’è di più intimo della propria discografia? Soprattutto se all’interno, tra le righe di testo, vi si annidano gli scorci di una vita vissuta nella sofferenza.
Soprattutto da adolescente, con un padre assente (con cui avrà un confronto negli anni a venire) e una situazione familiare precaria che vede nella madre come unico porto sicuro. Nayt vede in buona parte del male nel mondo un ragazzino che non ha risolto con il proprio passato, spesso troppo logorante. È così che si sviluppa quella sensibilità che lo caratterizza, e in questo disco viene evidenziata ancora di più.
Un esempio è “Di abbattere le mura (18 Donne)”, il brano che più ha fatto discutere (in positivo) di “Lettera Q”. Difficilmente parlo delle singole canzoni, ma qui Nayt si dimostra ancora una volta portavoce di malesseri intergenerazionali. In questo caso, sceglie fare da eco a personalità femminili che hanno fatto la storia, anche la sua. Non a caso parla anche della nonna e della madre.
La sua empatia però, prima di diventare tale, è stata rabbia. Quella esplicitata nei primi anni di carriera, addolcita nel tempo e diventata consapevolezza di avere lo spazio di cambiare il mondo, come detto anche a Le Iene.
Nayt ha un’anima pura e gentile, si allontana dall’immaginario di molti altri rapper e forse ormai è anche sbagliato definirlo tale, ma devia dai binari come tutti noi. Nayt non si erge sull’altare dell’artista ma parla sullo stesso piano di chi lo ascolta, consapevole di avere il privilegio di essere ascoltato.
Sa di avere un dono o di essere stato fortunato, magari entrambi. In “Certe Bugie” si spoglia con umiltà, ammette di non essere Battiato, Califano, Primo o Fabri Fibra. Ma William è solo Nayt. E questo è tutto ciò che serve ai suoi fan che parlano la sua stessa lingua.
Nessun commento!