Ci sono eventi che portano a riflettere sulla concezione che noi, figli dell’occidente, abbiamo del tempo. Una linea retta che ha un inizio e una fine. Ciò che c’è stato prima, è passato. Ciò che ci sarà domani lo sapremo solo domani e cancellerà ciò che lo ha preceduto. Eppure, viviamo in costanti dejà-vu, attimi e comportamenti che sembrano ripetersi.
È così che la circolarità del tempo di cui parlava Nietzsche assume un valore tangibile. L’eterno ripetersi che ci dà gioia, perché non è giusto cancellare il passato dato è lì che risiede. Guè non si ritiene una persona malinconica: nell’intervista a GQ, in occasione del nuovo album “Tropico del Capricorno”, il rapper milanese associa la sua malinconia al mero ricordo di un evento passato. I bei ricordi, ma non è detto che siano solo quelli. Il passato che influisce sul presente, nell’eterno ripetersi.
Forse sta proprio qui il problema di “Tropico del Capricorno”. Forse Guè, per la prima volta in carriera, ha fatto troppi calcoli nel tentativo di ripetere qualcosa che aveva già fatto, seppur in altre vesti. Il disco vuole essere mainstream, non lo nasconde neanche lo stesso Guè sempre nell’intervista con Federico Sarica, Head of Editor Content di GQ: «È una versione 2.0 dei miei dischi big di una volta». In effetti ci sono dei riferimenti che rimandano a vecchi progetti di Guè.
Per chi non lo sapesse, questo è un chiaro riferimento al brano “La mia ragazza è gangsta”, contenuto in “Bravo Ragazzo”, l’album del vero boom della G del rap italiano. Non è l’unico: c’è anche il terzo capitolo della saga “La G La U La E” (uno dei brani peggiori del disco, ahimè) e poi forse solo io ho aspettato partisse un “ma ti ho portato solo rose nereee” nell’outro di “Astronauta”, ma va bene così.
“Bravo Ragazzo” è un disco che è similare in parte a questo, ma anche a tanti altri, come ad esempio “Gentleman”. La verità è che Guè, durante alcuni punti strategici della sua carriera, si è sempre fermato per realizzare un disco che reinterpretasse le tendenze e le mode, condendolo di suoni che andassero sia in Italia che non. Poi lui li ha sempre riportati a modo suo, con il suo stile e con originalità.
Guè è un artista polidentitario, riesce sempre a stare sul pezzo senza sbilanciarsi più di tanto. Questo gli permette di cambiare sempre forma e rimanere coerente. Infatti, come mi ha detto Riccardo durante la discussione sull’album, esistono veramente tanti Guè: esiste il Guè dei featuring; quello di questi album più mainstream come “Tropico Del Capricorno”; ma anche il Guè di “Vero” o di “Mr. Fini”; poi c’è il Guè che canta per la pecunia e così via.
Il rapper è stato in grado, durante l’arco della sua carriera, di creare tutte queste versioni di sé che coesistessero nella sua figura, ma anche di farle uscire singolarmente quando più opportuno. Questa è forse la sua più grande cifra stilistica.
Guè non ha più nulla da dimostrare.
È un concetto che viene ripreso ad ogni suo album, ma mai questa volta si esplicita così tanto. Guè è arrivato al punto di poter fare sì quello che più gli piace, ma anche di non sentirsi in dovere di essere chi non è per rispetto del proprio pubblico. Cosimo Fini adesso ha raggiunto il culmine di un percorso nobile, seppur con le sue tappe fatte di errori e tematiche che non verrebbero definite tali.
Non si parla neanche più di un frequentatore della “Milano Bene” come si tende a fare con certi personaggi, Guè ha vissuto abbastanza il bene e il male di quella città. Lugano è diversa, la Svizzera sì che è nobile. “Tropico Del Capricorno”, per buona parte di esso, ti trasporta in un club esclusivo dalle luci soffuse nel quale puoi sederti su una comoda poltrona di pelle, fumare un sigaro e sorseggiare un distillato costoso con in sottofondo del Jazz rilassante. Sono consapevole di essere partito per la tangente, ma è il primo scenario elegante che mi ha evocato il primissimo ascolto di venerdì notte.
Sul mio rolly sta scadendo il tempo / Sono un cattivo esempio, ma pur sempre un esempio
Tempo, maledetto tempo. Scorre, corre, rallenta. Ma non puoi fuggire da esso. L’animo nobile dell’artista lo porta a tentare di rimanerne al di fuori. Pancia in dentro, ego in fuori: tutti vogliono fare il disco “senza tempo”, è anche così che si intitola l’intervista già citata in precedenza. “Tropico Del Capricorno” non è un disco di quel tipo, Guè già ne ha fatti probabilmente. Semmai, è il disco che mi ha fatto capire quanto Guè sia il rapper migliore di sempre, seppur lo abbia capito per i motivi sbagliati.
La G capitale cambia flow a suo piacimento, lo ha sempre fatto. Al contrario di quanto mi aspettassi e di quanto leggo in giro, di Rap ce n’è eccome. Ci sono anche illustri riferimenti. Il “Do your dance G-U-E, do your dance” in “Akrapovic” con Artie 5ive altro non è che una citazione a “Twist My Fingaz” di YG; mentre meno esplicito è il collegamento tra “Le Tipe” e “Girls, Girls, Girls” di Jay-Z (consiglio la lettura del post di OutPump sul tema).
Poi c’è il campionamento e la riattualizzazione di frammenti storici della musica italiana: “Acqua e Sapone” degli Stadio e “Che Soddisfazione” di Pino Daniele vengono traslate in versione black direttamente nel 2025 di Guè, senza il bisogno di allarmismi vari. La prova che la storia può essere toccata, fatta propria, modernizzata senza dover gridare al sacrilegio.
Arrivati a un certo punto forse dovremmo accettare di essere questo, provare a cogliere i petali che attorniano il fiore all’occhiello della nostra cultura musicale. Parlo a tutti noi. L’Italia è un paese di melodisti, lo siamo sempre stati e forse lo saremo per sempre. Quindi è giusto pensare che “il successo enorme del genere in Italia è dato dalla deriva Pop”. Ma la reinterpretazione che Guè dà di certi suoni, che siano esteri o meno, non sono forse il modo migliore far avvicinare culture così distanti?
Guè lo fa da sempre, ma non è scimmiottare gli americani e basta. O voler essere Pop. Vuol dire prendere, fare proprio, rimodellare. Come uno scultore modella le sue opere, seppur ispirandosi ai grandi che lo hanno preceduto o ai colleghi con cui vige una sana competizione.
Poi, gli errori si commettono. Perché sì, “Tropico del Capricorno” non è un disco esente da critiche. “Movie” – “Kalispera” – “Nei DM” non è un tridente adatto per la Champions League, competizione in cui gioca Guè. O meglio, probabilmente lo sarà. Ma questo tentativo di riproporre la propria knowledge e reinterpretare non è andato a buon fine per i miei gusti, e forse la colpa è dei featuring di quei brani. Tranne per Tormento, lui c’ha sempre qualcosa che gli altri non hanno.
L’intenzione era quella di riproporre un kolossal, ma cercando di darsi un tono. Un po’ come quando vuoi lasciare un’eredità. Infatti, in molti lo hanno immaginato come un disco definitivo: “Definisce il mio stile, poi definitivo non si può mai dire. Il tempo colloca le cose al proprio posto, poi quello che percepisce la gente non sempre coincide”. Benedetto tempo.
Il rapper dalla grazia sgraziata
Abbiamo parlato di culmine di un percorso, un attico raggiunto da chi è partito dal racconto della strada. Succede che poi la strada ti rimane nelle vene, entra a far parte del patrimonio genetico, ma resta assopito sotto strati di pelle. La stessa che a forza di tagliarsi, si cicatrizza. Ancora e ancora. E le ferite portano alla crescita.
Guè in “Tropico del Capricorno” vuol mostrarsi maturo. Mi arriva proprio come una scelta volontaria. I suoni scelti, la copertina dell’album, l’universo elegante a cui ho accennato in precedenza, la promo. Dio, la promo. È tutto così genuinamente al suo posto: in occasione dell’uscita del disco, Guè si è raccontato al regista Paolo Sorrentino su “Il Venerdì”, il settimanale di Repubblica. Se non avete ancora letto l’intervista, recuperatela. Anche qui, si cerca un canale alternativo. Oltre i social, oltre il canonico. Ma vale anche per l’intervista a GQ, per com’è realizzata. Tutto così incredibilmente elegante.
Guè si conferma il miglior rapper italiano. Non tanto per le sue doti, ormai note. Ma per la sua capacità di risultare incredibilmente coerente nonostante le scelte controverse. Cosimo Fini è qualsiasi versione lui voglia farci ascoltare, dalla più grezza alla più erudita. Talmente mutevole che per voler accontentare sé stesso, finisce per accontentare tutti.
Un rapper dalla “grazia sgraziata”, come afferma Paolo Sorrentino. “Tropico del Capricorno” ha diviso i pareri, ma leggendo in giro sembra essere uno di quei dischi che cresce con gli ascolti. Forse Guè ha voluto strafare, un semplice e nobile peccato di Hybris. Ma finisce sempre per avere ragione lui in un modo o nell’altro, e sarà il tempo a dirci se sarà così anche questa volta.
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