Quando ho letto che Sick Budd avrebbe pubblicato il suo primo album da producer, ammetto di aver pensato “ecco, l’ennesimo producer album”. Avevo come la sensazione che la scelta di pubblicare un progetto interamente suo fosse dovuto alle esigenze della scena attuale, alle pressioni che le regole odierne dell’industria musicale impongono sui musicisti e sugli artisti.
Ci ho messo poco a cambiare idea: “BISTRO!” di Sick Budd non è un producer album, ma un luogo. È un tavolo apparecchiato sotto una luce fioca e i piatti serviti sono portate che ti saziano e ti destabilizzano allo stesso tempo.
14 tracce totali, ma 3 disponibili solo sulle copie fisiche e 2 esclusivamente strumentali: il lavoro di Sick Budd in “BISTRO!” non si limita alla produzione musicale, ma costruisce un ambiente. Non c’è mai la sensazione di un pasto “industriale”: la musica che si ascolta è più vicina all’arte culinaria che alla musica da classifica.

Il titolo “BISTRO!” non è solo un nome evocativo: è una dichiarazione di intenti.
L’album è concepito come un luogo intimo e underground, in contrapposizione ai grandi ristoranti che rappresentano il mainstream rap: come il producer ha ammesso, il sound del disco è un mix di hip hop nudo e crudo, soul, jazz, R&B e riferimenti alla musica Black America.
La spiccata passione per le sonorità underground americane si riverbera in tutte le tracce in maniera particolarmente curata: l’impianto sonoro ideato da Sick Budd ha il rigore di un architetto e la visionarietà di un regista.
Ogni beat è progettato come uno spazio da abitare dagli artisti, che hanno contribuito al disco adattandosi ai beat di Sick Budd senza rimanere mai banali: non c’è un elemento lasciato al caso, le tracce scorrono con naturalezza.
Ascoltandole una dopo l’altra, l’immagine che mi si crea in testa è quella di un locale suburbano a Orlando: tavolini rotondi con una tovaglia bianca sopra, un po’ bisunta e tutti gli artisti coinvolti nel progetto seduti intorno ad ascoltare Sick Budd mentre mette le sue idee in tavola.
E, proprio come in un vero bistrot, quello che conta non è l’apparenza ma il gusto, l’intensità che ti resta in bocca, la memoria di un’esperienza che non è replicabile altrove.
La forza del progetto sta anche nella sua natura corale: gli ospiti che passano da “BISTRO!” (22simba, Il Ghost, Jake La Furia, Joshua, Kuremino, Massimo Pericolo, Mezzosangue, Mondo Marcio, Nitro, Pessimo 17, PRACI, Silent Bob, Speranza e Vegas Jones nella versione digitale, più Ernia, Dani Faiv, Réve, Sayf, Johnny Marsiglia, Ensi e Marte nelle copie fisiche) sono avventori e complici, sono i clienti che conoscono il posto, si siedono al bancone e si raccontano.
Ognuno porta con sé un lessico, un’immaginazione, un vissuto, e tutti si intrecciano senza sovrastarsi. Il risultato è una polifonia che non celebra l’individualità ma la convivenza, l’atto collettivo della creazione. Ognuno di loro aggiunge una nota di gusto diversa al progetto, ma l’impronta del producer rimane sempre inconfondibile.
In questo spazio, la penne che in assoluto mi ha colpito di più è quella di Silent Bob.
“Per quella madre con tre bimbi da sola
Sick Budd – Finchè morirò feat Silent Bob (“BISTRO'”2025)
Non li vuole per strada, lavora e li porta a scuola
Non è mai stata ragazza, presto è diventata donna
La spesa spesso non basta, anche oggi salta la cena”
Silent Bob, che, come lo ha definito Sick Budd stesso al pre ascolto del disco, è il suo “socio in affari”, apre e chiude il progetto, rispettivamente con le tracce “Finché morirò” e “Player”, con Joshua.
In entrambe le tracce, l’artista si è staccato dalla sua immagine più conosciuta, cioè quella che emerge da canzoni come “Zitta” (2020) e “Autostrada del Sole” (2020), del rapper cattivo e costantemente arrabbiato.
In particolare, in “Finché morirò” il focus di Silent Bob si sposta sulla forza che individui comuni, come una madre di famiglia, uno studente, una prostituta o un normale lavoratore, hanno tutti i giorni per andare avanti, per non mollare, per cercare di costruirsi un futuro.
“Per ogni ragazzo in terapia
Sick Budd – Finchè morirò feat Silent Bob (“BISTRO'”2025)
Che si sente il solo a stare cosi male al mondo
È invisibile agli occhi degli altri la sua malattia
E lui conduce la sua lotta in solitudine ogni giorno”
In un panorama rap che troppo spesso ripete la stessa ricetta, “BISTRO!” si colloca altrove: è un atto d’amore per la cucina lenta, per la ricerca degli ingredienti rari, per la sperimentazione che non dimentica le radici. È un invito a sedersi e ad ascoltare, con calma.
Alla fine della cena, quando le luci del bistrot si abbassano e restano solo i piatti vuoti e le macchie di vino sulla tovaglia bianca, la sensazione è chiara: non sei semplicemente sazio, sei anche un po’ cambiato.
In definitiva, “BISTRO!” è un’opera che rifiuta le logiche del consumo rapido e della produzione seriale. È rap che si comporta come arte, non come merce: non cerca la classifica, ma l’impatto; non rincorre l’effimero, ma costruisce memoria.
Sick Budd dimostra ancora una volta che il rap, se trattato con dedizione e curato senza correre dietro alle esigenze delle etichette, può essere non solo musica di intrattenimento o un prodotto industriale, ma un dispositivo culturale capace di leggere e riscrivere il nostro presente.
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