A 6 anni di distanza dal primo e iconico “Succo di Zenzero” Wayne Santana ha pubblicato il secondo volume della saga (se così si può definire, essendo composta solo di due volumi) che l’ha reso famoso al grande pubblico: SDZ 2.
Anticipatamente all’uscita del progetto i giudizi e le aspettative erano già divisori, con una parte di fan colma di aspettativa e un’altra preoccupata per un possibile deterioramento del ricordo a cui tanto sono affezionati. Chi partiva già prevenuto lo faceva prevalentemente per la tracklist ricca di featuring inaspettati, considerato il trend a cui il rapper romano ci ha abituati nel 2016, e a delle sue ultime uscite stilisticamente molto distanti da esso. L’aspettativa e l’immaginazione solitamente sono diversi da quello che poi è la realtà ma, citando Andreotti, a pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina.
SDZ 2 è un degno seguito del primo capitolo?
In realtà non c’è una risposta corretta a questa domanda perchè i fattori di analisi sono molti e, in questo caso molto più di altre saghe, contraddittori.
Sotto il punto di vista del mood e delle atmosfere sicuramente non siamo sui livelli del primo ma potrebbe essere una scelta dello stesso artista, sia per la diversificazione dei produttori, con BDope, Drillionare e Luke Lies per la maggior parte dei beat, rispetto al solo Sick Luke (che si incaricò della totalità dei beat e dell’intera direzione artistica del primo capitolo) sia per una scelta di varietà anche dal punto di vista dei sound, con l’inserimento di Reggaeton, House, Pop e Drill (con il campione magistrale di “Ciuri Ciuri”, canzone tradizionale siciliana, in “Minkia”) a variegare le atmosfere Vaporwave che contraddistinguono la saga. Quelle che possiamo definire “vibrazioni vapor” sono presenti in questo secondo capitolo ma in modo diverso, meno cupe e tendenti alla nuova versione resa famosa da The Weekend con “Blinding Lights” e che sta spopolando nelle classifiche e nei dischi di tutto il mondo. La capacità di re-interpretare le nuove tendenze in chiave vapor rende SDZ 2 attuale e appetibile anche per un pubblico che, con tutta probabilità, il primo capitolo nemmeno l’ha ascoltato, ma questo potrebbe far storcere il naso a chi invece ci è affezionato.
Questa scelta di attualizzarsi e di sperimentare nuove sonorità ci rende un Wayne maturato dal punto di vista artistico. La crescita dell’artista è confermata dalla capacità di disegnare flow e ritornelli più melodici di quanto abbia mai fatto, ne sono un esempio lampante “Egoisti” con Fred De Palma e “Dancefloor” con Sangiovanni, oltre a dimostrare una nuova sensibilità anche dal punto di vista personale, mantenendo le solite tematiche a cui ci ha abituati ma con una visione più coscienziosa: l’emblema lo troviamo in “Bad Vibes” con Side Baby, dove Wayne apre la sua strofa dicendo “ho smesso con quello schifo / mi sento bene, sono ripulito / quella merda mi stava uccidendo”. Parlando meno di droga e concentrandosi più sulla ricchezza, gli affetti e la fama, Wayne porta una vera e propria trasposizione di come la vita del rapper sia diametralmente opposta rispetto ai tempi del primo capitolo, motivo in più per cui chi si aspettava un disco costruito al pari del mixtape sbagliasse clamorosamente.
Di maturazione non si può parlare quando si osserva la scrittura del disco, forse l’aspetto meno brillante del progetto, tasto da sempre dolente quando si parla di Wayne, che non fa della tecnica il suo cavallo di battaglia e predilige una ricchezza di ritornelli e ripetizioni. Se da una parte i suoi leitmotiv aiutano l’identità del disco e dell’artista, alla lunga possono pesare sul pieno apprezzamento dell’opera , anche se, chi conosce l’artista sa bene che questa è una sua caratteristica da sempre, per cui non ci si poteva aspettare un’evoluzione stupefacente in questo senso.
Ritorniamo quindi alla domanda di prima e rielaboriamola in una forma nuova e più adatta: Wayne ha fatto bene a chiamare il suo primo disco ufficiale SDZ 2?
Probabilmente no. Essendo maggiormente pop e discostato dal mood del primo capitolo ha poco a che fare con esso, deludendo con tutta probabilità una grossa fetta dei propri fan affezionati al mixtape, troppo grossa per essere trascurata quando si parla di un primo disco. Inoltre il pubblico nuovo, che si affaccia su questo nuovo lavoro anche grazie a collaborazioni con artisti molto più mainstream rispetto al solito (come i già citati Fred De Palma e Sagiovanni, ma anche Miss Keta), non sarà attratto dal richiamo, pertanto questa scelta potrebbe nuocere alla percezione e all’idea che hanno sempre contraddistinto il progetto.
Sicuramente non è un disco brutto, anzi, rappresenta una crescita non indifferente, ma è difficile vederlo come secondo capitolo della saga “SDZ”. Un titolo a sé per un disco a sé sarebbe potuta essere una scelta più azzeccata, con una probabile inferiorità di aspettativa generata precedentemente alla pubblicazione, ma con una quasi certa migliore recezione del pubblico.
Repetita iuvant, ma non in questo caso.
Di Simone Molina
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