Recensione di Gvesvs
GVESVS è il settimo album di Guè Pequeno, il primo pubblicato a nome Guè, nonché la sua seconda uscita del 2021.
Che Guè sia lo stakanovista per eccellenza nel rap italiano è appurato, non stupisce più: sono almeno venti anni di fila che, in un gruppo o da solista, riesce a pubblicare album ufficiali, mixtape e innumerevoli featuring.
A destare invece un po’ di stupore e leggera incomprensione è stato invece il titolo: per alcuni “GVESVS” è solo uno degli innumerevoli pseudonimi che Guè, dagli inizi della sua carriera, si diverte a coniare sovrapponendo il suo nome d’arte a quello di personalità illustri; per altri è stato solo una delle sue esibizioni di megalomania.
Proviamo insieme a rintracciare i motivi di questo progetto, il messaggio che Guè ha voluto inserire in un album così corposo e l’interpretazione che noi ascoltatori possiamo adottare come filtro d’ascolto.
Partiamo dal titolo: recuperando la sua discografia (la ri-edizione di “Ragazzo D’Oro 10 anni dopo” acquista ancora più senso in questo modo), comprenderemmo il concept del disco che, come un primo schizzo di tutto il disegno, veniva già proposto nella traccia “Il Figlio Di Dio” in “Ragazzo D’Oro” (2011)
“Il figlio di Dio/
Stava coi bugiardi e le puttane come faccio io
[…]
Outro:
“Guardami mentre cammino sull’asfalto
Moltiplico il cash
Trasformo l’acqua in champagne
E altre pagliacciate
Come faceva Gesù
Che non ha mai insegnato un cazzo a nessuno
Non ha mai salvato l’umanità
Cercava solo l’attenzione della folla
Proprio come me”
Il paragone portato avanti per tutto il brano, tramite gli espedienti delle similitudini e delle analogie, trova ancora più forza se si pensa che il rapper è nato proprio il 25 dicembre, giorno convenzionalmente contrassegnato come festa nella tradizione cattolica cristiana in riferimento alla nascita di Gesù, il figlio di Dio.
Ciò che veniva solamente abbozzato in un brano di dieci anni fa, nel 2021 riprende senso e viene sviluppato perché probabilmente Guè, mai come oggi, quel paragone lo sente suo.
L’ulteriore punto prospettico da cui ascoltare Gvesvs è quello di provare a comprenderlo come un successore di “Mr. Fini” e una pausa dalla “Fast Life”.
Il Guè della serie “Fast Life” rappa e racconta ciò che più ama: sé stesso, il lusso, le droghe e il rap. La vita veloce, senza freni, che lo porta da un punto all’altro del globo senza mai fermarsi. Il continuare lo stile di vita descritto, è l’unica via sostenibile per evitare di cadere in turbini di sofferenza. Quando Guè decide di fermarsi e di chiudersi in un luogo che reputa adatto ad essere uno studio, inizia il suo periodo di riflessione.
Il Guè di Mr. Fini, regista del suo kolossal figlio del cinema di strada, tira le somme e riflette sulla sua vita; in GVESVS, utilizzando più toni, da quello ironico a quello triste, intraprende il suo primo percorso di auto-giudizio.
“Ai tempi in cui mio padre mi inseguiva in corridoio
Alla fine mi beccava e mi mandava K.O.
A pensarci poi non era questo esempio di virtù
Ma non posso giudicarlo io, solo Gesù”
(Guè Pequeno – Ti Ricordi? Mr. Fini, 2020)
Forte della dicotomia della figura di Gesù, quella di vero dio e vero uomo, Guè si trasforma nel dio di sé stesso e, come più volte ha ripetuto citando Tupac (“Solo Dio può giudicarmi”), inizia quindi a giudicarsi, a giudicare.
In un percorso di 16 tracce, con altrettanti stili diversi ma senza far mancare mai il rap, accompagnate da 12 featuring (Coez, Dutchavelli, Elisa, Ernia, Franco126, Geolier, Jadakiss, Ketama126, Marracash, Rick Ross, Rose Villain e Salmo, dodici in quanto equivalenti degli apostoli), Guè inizia il suo calvario e il suo percorso di sacrificio verso il Monte Golgota, metaforicamente rappresentato da “Fredda, Triste, Pericolosa” con Franco 126.
Ri-cominciando dagli inizi Guè si ripresenta davanti alla folla che lo giudica colpevole: “La G La U La E pt.2” (oltre ad essere il seguito di “La G La U La E”, brano dell’album “Il ragazzo d’oro”) è l’ennesima affermazione del suo status e l’ammissione della sua natura davanti a tutti i suoi miscredenti e lapidatori, come il Cristo dopo il processo di Pilato.
Il disco in sé è denso, pregno di figure e di significati appena nascosti, pronti per affiorare nella mente dell’ascoltatore quando meno se lo aspetta, ma ciò che emerge in maniera limpida è il rapporto incredibilmente tormentato che Guè ha con sé stesso: Guè ama narcisisticamente la sua figura da rapper, ma odia profondamente Cosimo Fini, tanto da far diventare il suo nome da battesimo solamente uno dei suoi numerosi pseudonimi.
La sua “sofisticata ignoranza” e la sua “raffinata cafonaggine”, cifre stilistiche di Guè, prima svolgono e poi scavalcano il compito dell’autocelebrazione, diventando quasi gli espedienti per dimostrare che, in alcuni casi, è così povero da avere solo i soldi.
La malinconia dei tempi andati, le relazioni inconsistenti, non resistenti e vacue, la solitudine sono sentimenti che diventano veri e propri brani, che intervallano saggi stilistici che trasudano l’amore viscerale che lega Guè alla cultura Hip Hop e al rap: emblematiche le performance con i rapper stranieri ospiti dutchavelli, Jadakiss e Rick Ross, uno degli artisti preferiti da Guè, in cui riesce a dare risalto a tutta l’italianità del prodotto stesso facendo percepire questi come un grande valore aggiunto.
Sono le ultime due tracce, premio per chi ha ascoltato attentamente il disco, a rivelare esplicitamente le volontà e l’intento di Gvesvs nella sua interezza.
Attraversate tutte le stazioni della sua passione, godendo delle sue riprese e sopportando i suoi dolori, giunto sul Monte Golgota, Guè è pronto alla crocifissione: nell’unica strofa scritta e interpretata come un flusso di coscienza in “Fredda, Triste, Pericolosa”, mette via la sua pretenziosità divina, accetta la sua dimensione umana e si fa frustare dicendo “Hai bisogno te di quelli come me/Vuoi indicare il più cattivo per sentirti più pulito”.
La sua fast life con tutto ciò che ne comporta, il suo vissuto intriso di strada, il suo impudico modo di pensare, sono tutto ciò che lo va a consumare, che lo distrugge e che lo porta alla croce del giudizio, ma è anche ciò che riesce a sublimare per poterlo trasformare in musica offrendolo in sacrificio al suo pubblico. Questa è la natura di GVESVS.
Nonostante il suo racconto singolare di vita non strettamente universalizzabile, tramite la sua abile e matura narrativa, Guè riesce a far rispecchiare nelle sue barre qualunque tipo di ascoltatore, con tutti i propri sogni, le aspirazioni, le delusioni e i suoi problemi.
La paura di non essere ricordati per ciò che ci sentiamo di essere, la ricerca spasmodica di un amore autentico e viscerale in un mare di rapporti che si sfaldano, il timore della felicità e della sua ristretta durata si caricano per tutta la durata del disco per schiudersi nella traccia con Franco come un’istantanea illuminazione accecante che si volatilizza in “Too Old To Die Young”, recuperata dalla serie tv Netflix “Zero”.
La dimensione divina di Guè, si consuma, come una candela dalla breve durata, in tutta la riproduzione di Gvesvs lasciando un risveglio in una realtà infinitamente grande e caotica, per un essere umano, non per il vero dio, ma per il vero uomo che passeggia tra gli umani e condivide con loro l’effimera testimonianza d’esistenza.
Di Riccardo Bellabarba
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