Le ultime nomination, il ruolo del rap e le declinazioni polemiche dei Grammy Awards
Le nomination per i prossimi Grammy Awards, che si svolgeranno la notte del 31 gennaio in diretta da Los Angeles e saranno condotti dal Trevor Noah, sono state l’oggetto di discussione totale degli articoli, dei servizi e dei post dell’ultima settimana.
Ci siamo sentiti come quando guardavamo Mean Girls – è necessario ammettere di aver visto uno dei più grandi pop cult della pink culture dei primi Duemila – e la temibile Barbie girl del liceo, Regina George, spargeva per i corridoi le pagine dell’album delle malignità. Le slideshow animate di @sainthoax, Po-Politically Incorrect account, ritraggono perfettamente le reazioni dell’industria musicale al comunicato stampa definitivo della Recording Academy con lo stesso parallelismo tra le lacrime adolescenziali del teen-drama e i tweet di paura, delirio e provocazione degli artisti esclusi o, come da copione, “personally victimized” dalle selezioni.
Da una parte, i dati statistici confermano lo strappo del cielo di audience dei Grammys, ma, dall’altra, l’etimologia della parola grammofono ribadisce la ragione dell’esistenza della premiazione senza lasciare alcun dubbio: […] γράμμα «segno inciso» e φωνή «suono». Se gli Awards più autorevoli della musica nascono per proclamare gli artisti capaci di lasciare un segno attraverso i propri album, singoli o music film, è sempre più lecito chiedersi se delle nomination pre-confezionate, limitate – e probabilmente strategicamente dirottate – abbiano ancora un senso. Ma, ancora di più, è urgente riflettere sul ruolo della cultura hip-hop e del genere rap nei corridoi della Recording Academy.
Il protagonista delle nomination hip-hop di quest’anno è Roddy Ricch, che concorre in sei categorie con i lavori Rockstar e The Box, seguito da Lil Baby e Da Baby, ma anche dal neo-vincitore del talent Rythm + Flow di Netflix D Smoke. Travis Scott, invece, concorre per la miglior canzone rap melodica con il brano Highest in the Room. Meghan Thee Stallion e Chika si inseriscono tra le major rivelazioni della scena musicale, oltre che della rivoluzione sui generis del rap.
Fino a qui tutto bene, ma c’è un però distopico che ha il flow dei Run The Jewels, la voce delle proteste antirazziste del movimento Black Lives Matter e le recensioni delle migliori riviste specializzate: BTW4, l’album rilasciato nel 2020 da El-P e Killer Mike, è stato ignorato dalla commissione degli Awards.
(Lista completa delle nominations qui)
Il divario tra nomination e realtà che ha portato all’esclusione del duo hip-hop statunitense dalle metriche socio- politiche è alla base dello stesso discorso per cui The Weeknd, che non poteva non vincere tutto con l’album After Hours e con Blinding Lights, In Your Eyes e ogni altro singolo brano – e che più di tutti ha scatenato le polemiche dal 24 novembre in poi – è stato incredibilmente tagliato fuori dalle graduatorie di riconoscimento più importanti per la seconda arte.
Le altre declinazioni polemiche dell’hip-hop ai Grammys riguardano la tendenza al riconoscimento dei lavori di artisti di colore alle categorie musicali comunemente attribuite alla black culture. Nella lista dei prescelti per le categorie assolute – miglior album dell’anno, miglior singolo, miglior music film, miglior artista emergente – i nomi dei rapper non compaiono quasi mai e, per di più, gli artisti afroamericani e le voci femminili risultano, ancora una volta, i più penalizzati dallo scarto.
Nel 2018, la vittoria di Kendrick Lamar è politica, mentre nel 2019, Cardi B diventa la prima rapper donna ad aggiudicarsi il titolo di Best Rap Album con Invasion of Privacy; nello stesso anno, l’inno sociale This Is America di Childish Gambino è il primo brano a vincere il premio di Song of the Year, oltre a spiccare in altre quattro categorie, a tal punto da far credere che fosse l’anno della rivincita del rap – per come lo conoscono tutti in superficie – ai Grammys.
Le premiazioni degli Awards degli ultimi anni sono state un tentativo di rincorrere il presente della realtà per continuare a raccontare il sogno dei Red Carpet della musica. Alcuni risultati delle edizioni più recenti hanno un senso compiuto che oscilla sul filo logico-emotivo e collega la musica con il reale impatto degli album, dei singoli e dei videoclip sulla società.
Nel 2005, la fusione delle categorie rap maschile e femminile rappresenta un’evoluzione necessaria della struttura dei Grammys, a cui è mancata la conseguenza necessaria del riconoscimento maggioritario di più artiste donne; le eredi di Nicki Minaj e CardiB sono poche e hanno più difficoltà d’inserimento, ma le proporzioni non giustificano il sessismo in una competizione di tale portata.
È probabile che, nel caso dei premi Awards e oltre, il rap subisca gli effetti dell’ignoranza comune e del descrittivismo superficiale legato agli elementi identitari della cultura hip-hop. L’esempio più eclatante è il caso di IGOR di Tyler, The Creator, che nel 2020 “was not a rap album” – è molto di più; eppure è stato proclamato vincitore nella categoria dedicata dalla Recording Academy. La dichiarazione dell’artista è puntuale, critica e risoluta: i Grammys hanno, ancora oggi, un’autorità inequiparabile e forniscono una visibilità non indifferente ai vincitori. Superata la gratitudine, la circoscrizione di un progetto sperimentale come IGOR ad una categoria tipicamente urban risulta solo un modo diverso, incompetente e quasi camaleontico, di affibbiare la N-word ad un artista afroamericano. Se c’è un premio per cui IGOR meritava di competere è Best Album of the Year, ma, ovviamente, non è stato considerato.
In questo senso si inserisce il discorso di Drake durante la premiazione di God’s Plan come Best Rap Song dell’edizione del 2019: una critica cruda e diretta ai Grammys durante i Grammys, per contestare l’arretratezza mentale della giura nell’assegnare le nomination per le categorie – oltre che di corruzione degli esperti della Recording Academy. Un artista canadese è automaticamente pop, anche se suona RnB, o al massimo può fare la miglior canzone rap per il colore della sua pelle, come avvenuto per la vittoria infondata, nel 2017, di Hotline Bling. Allo stesso modo, Cardi B, rapper newyorkese di origini latine, non è abbastanza black per inserirsi nel rap game musicale; Nicki Minaj, the queen of New York, ha rivendicato più volte la nomination come miglior artista emergente ai tempi degli esordi da sette brani alla volta in Billboard, e continua tutt’ora a denunciare il furto.
Eppure, senza andare troppo lontano, alla nascita del riconoscimento più importante della scena musicale, basterebbe ritornare idealmente al 1995 e al momento in cui dei giovani OutKast vincono con l’album Southernplayalisticadillacmuzik ai Source Awards, l’equivalente dei Grammys per l’hip-hop. In quel momento, al Madison Square Garden di New York, la vittoria di due rapper emergenti del Sud rappresenta la ridefinizione socio- politica dell’hip-hop e manda un messaggio definitivo alla scena musicale del genere.
Oggi, le nomination dei Grammy Awards, ancor prima dei trofei, hanno perso la dimensione reale e forse si avviano a farlo anche con il sogno. Il grammofono si è rotto, non incide il suo segno artistico e non produce un messaggio sociale attraverso le sonorità musicali, comprese quelle rap. Serve una ridefinizione delle dinamiche di selezione e distinzione mirata, più aperta e consapevole, che non sia semplice tappabuchi delle polemiche artistiche e delle accuse di corruzione e che guardi alla scena musicale contemporanea globale contemporanea – di cui il rap costituisce una parte imprescindibile – con nuove definizioni.
Come quando Regina George di Mean Girls apre gli occhi e realizza di aver rovinato tutto, non possiamo credere che sia troppo tardi per ricominciare.
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