Recensione di Gemelli
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È difficile convivere con due anime nel proprio corpo. Lo è ancora di più quando raccontare se stesso è il progetto su cui si poggia la genesi di un intero album. È però soprattutto nella creazione artistica – in quello sforzo immane e ineffabile che presiede alla costituzione di ogni opera d’arte – che nessuna delle due corde può rimanere inascoltata. I due volti di Matteo Professione, in arte Ernia, entrano ed escono nella fornace della sua penna portando colori e umori differenti: la sintesi che ne viene è, alla fine, una sintesi riuscita.
Sforzo di chi ascolta in profondità è quello di recuperare al di sotto dell’unità di un disco la traccia di una storia, di un travaglio, di una frammentazione: in breve, la memoria della sua gestazione. Perciò, prima di stenderci nella quiete della contemplazione, occorre situarsi nel cammino complesso che ha portato Ernia alla pubblicazione di ‘Gemelli’, suo terzo album ufficiale uscito per Island Rercords/Universal il 19 giugno.
Il viaggio – il titolo è già eloquente – attraversa il tema del doppio e lo sconta drammaticamente sulla propria pelle. «Fare un album significa riportare in musica quello che ho vissuto, pensato o fatto nello spazio che è passato dall’ultimo progetto. Vuol dire fermare il tempo per vedere quale forma ho preso nello stesso periodo, e quale me ha avuto la meglio». Dopo aver portato alla luce in 67 la tonalità cupa dei vissuti d’un adolescente nelle estreme propaggini occidentali di Milano e aver stemperato in un beige emotivamente fluttuante le storie e le vite di 68, Ernia punta la penna su di sé e fa del foglio la sua effigie. Un’effigie che – è ovvio – porta addosso il segno della dualità che sembra non poter evitare di perseguitare il suo artefice. Così il rapper: «Dualità, una caratteristica che mi è tornata molto utile in un’infinità di situazioni e che mi ha permesso di mescolarmi tra la gente, essendo quello di cui c’era bisogno nel momento giusto. Io sono entrambe le versioni di me.». Conosciamo il perverso amore di Ernia per le paranoie e il suo apparentemente eterno fuggire la quiete: potremmo pensare al dialogo tra i due volti come a una lotta tra fazioni, o come a un inesauribile guerreggiare. Eppure, dopo tutto, Ernia è «vivo» e, con la sua anima, anche il suo disco vive – e vive esattamente di questa tensione.
Portando lo sguardo indietro, lo posiamo su un viaggio negli States, datato giugno 2019 (di cui lo stesso ha raccontato in una recente intervista per EsseTv). Nelle strade da cui proviene «tutto ciò che ho sempre ascoltato», invece dell’entusiasmo che ci aspetteremmo trapassare il suo viso vediamo sopraggiungere una disarmante indifferenza. “Non me ne frega un cazzo” è il laconico grido che in questo grigiore tufferà un peso massimo della scena, quel Fabri Fibra che abbiamo imparato a conoscere per la sua eccezionale indifferenza. Più avanti, vediamo un ritorno in Italia e immaginiamo un agitato dialogo col proprio viso allo specchio, in cui il solo imperativo è: Vivi!.
A quel punto – e solo a quel punto – Ernia si riscopre vivo e la sua penna comincia a scivolare sul foglio con un’inedita leggerezza. Dopo due progetti la cui gestazione è stata «faticosa e macchinosa» e in cui il rapper milanese sentiva di dover «dimostrare di saper scrivere» (le citazioni sono tratte dalla sopraccitata intervista), finalmente la scrittura scorre agevole, senza missioni, senza titanismi. Dopo due album che «perdono nella fiammata e guadagnano nel lungo termine», ‘Gemelli’ è – non perché sia stato pensato così, ma perché “è uscito” così – un album che vive già (solamente, per alcuni) al primo ascolto, che non richiede l’attesa e la fatica della sedimentazione: un disco che vive dell’immediatezza della sua stesura.
Ernia è (quasi) finalmente sereno. E con ciò? Con ciò tutti i protagonisti della sua anima prismatica si cedono il passo come registi della sua storia. Non uno prevale sull’altro. Secondo una scansione visibile nella tracklist stessa, il pezzo introspettivo e più cupo segue il cantato più pop, all’ego trip rappato con arroganza subentra la sonorità più tenue e più accessibile. Non è un caso che in una strofa poi non pubblicata di ‘Cigni’ si leggesse che sembra figo però è triste dire “Non me ne frega un cazzo”, quasi a smentire la precedente esibizione dell’indifferenza come tratto di forza nella traccia con Fibra, e un’efficace descrizione della propria vita come luogo in cui ad ogni entrata trionfale c’è una pessima uscita, a illustrare ancora una volta come i propri vissuti percorrano un confine fluttuante tra luci eterogenee.
‘Gemelli’ è una miscela che tiene conto di istanze diverse – e di un bacino d’utenza variegato – e corre su binari paralleli che intrecciano tra loro un dialogo composto. A incrociarsi sono anche i due piani temporali dell’Ernia uomo, quel passato libertino di una gioventù esuberante e il presente della riflessione e della pausa. Un adulto che – come detto a EsseTV – è pronto a rinnegare la strada e a far la guerra a quell’ormai imperante «turismo della strada» che pare solleticare il gusto del nuovo ceto medio – quello stesso ceto medio a cui Ernia non ha mai nascosto di appartenere. Un uomo del poi che guarda con severità il suo prima ma si apre a nostalgie non troppo dissimulate, che in ‘Mery x Sempre’ assumono la fisionomia di un brano solido in cui il giovanissimo Shiva è chiamato a completare, tra strofa e strofa, il raccordo coi tempi. La voce per nulla baritonale di quest’ultimo sembra cantare dalle corde vocali di quella gioventù delle panchine e del quartiere che tutti noi portiamo come traccia indelebile dentro di noi. Sigillo di questo passaggio del testimone è – non serve nemmeno ricordarlo – il validissimo omaggio tributato a ‘Puro Bogotà’, quel ‘Puro Sinaloa’ in cui i figli esibiscono un’autonomia assai matura che non disconosce mai il proprio debito coi padri.
Per concludere: il romanzare musicale di Ernia è, come la sua vita che ne è materia, fatto di «doppi episodi» – si pensi alla coppia ‘Lei no (Il Tradito)’ e ‘Tradimento (Il Traditore)’ in 67 e a ‘Sigarette (L’Inizio)’ e ‘Tosse (La Fine)’ in 68. Si passi l’album di apertura al pop, di diluizione del puro rap in un nuovo formato più “di comodo” per i numeri, ma ‘Gemelli’ reca sempre il timbro dell’autenticità. Questo Ernia è l’Ernia del 2020, che non si scosta dal suo assioma fondamentale di non raccontare ciò che non abbia vissuto in prima persona ed ora, assieme ai suoi amici, può a divertirsi a ricreare hit del passato che hanno il volto dell’intoccabile. È un Ernia inedito che afferma una vita finalmente (ri)scoperta e, attraverso tonalità oscillanti, conduce il suo viaggio al di là del terreno di comfort, senza mai disconoscere la sua passione più profonda: fare rap.
Di Marco Palombelli
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