Era il 18 gennaio del 2019 quando Gianni Bismark pubblicava “Re Senza Corona”, il primo disco ufficiale del rapper romano. A distanza di poco più di un anno, più precisamente il 27 marzo 2020, ha visto la luce la sua seconda fatica “Nati Diversi”, di cui andremo a parlare oggi.
Il disco si presenta fin da subito come un passo avanti rispetto al precedente, vista la scelta di selezionare più produttori per la creazione dei tappeti musicali; tra i tanti Chris Nolan, Sick Luke e i 2nd Roof, pur lasciando la maggior parte nelle mani del fido G Ferrari, produttore dell’intero “Re Senza Corona”.
Questo passo avanti è controbilanciato da un’altra osservazione che si può trarre già da prima dell’ascolto: i nomi delle tracce che vanno a comporre la tracklist fanno percepire una linea di continuazione con il lavoro antecedente, con titoli come “Nse vedemo mai”, “Poche persone”, “Nati diversi” e “Fateme santo” che suggeriscono come tema di fondo anche per questo disco la romanità e il racconto del contesto in cui Gianni vive.
Iniziando l’ascolto, la prima traccia “Scherzo Rido” si presenta energicamente, con un beat davvero fresco ma con un testo un po’ impersonale rispetto ai precedenti a cui l’artista ci ha abituati, trattando con ironia e leggerezza il tema “hit estiva”. Con il proseguire dell’ascolto ci renderemo conto di come sia un’intro molto azzeccata: una critica agli attuali meccanismi dell’industria musicale italiana fatta con la tipica ironia romana, dello scherno simpatico.
Continuando la disanima del pacchetto, è possibile trovare una serie di tracce che riprendono le tematiche di “Re Senza Corona”, quali Roma, la vita per le strade della Capitale, i rischi della scalata al successo, come le persone che trovano interesse solo nel suo essere famoso e nel pericolo di cambiare sé stesso, il tutto su una serie di beat davvero meravigliosi per la loro capacità di mettere malinconia e allo stesso tempo serenità, che è anche un po’ la caratteristica della penna di Gianni B. Questo è il mood del disco, che già si era iniziato a percepire nel disco precedente ma che qua è stato ulteriormente sviluppato risultando perfetto per rispecchiare l’artista ma anche un po’ l’Italia in generale, rimanendo coerente e costante per l’intera durata dell’album ma riuscendo sempre ad evolversi e ad adattarsi a più forme nell’arco dell’ascolto.
I featuring sono scelti con cura, i partecipanti sono tutti rappers che vengono da contesti analoghi comprovando come riescano ad adattarsi bene su questo mood allegro/malinconico: l’esempio più calzante è sicuramente Franco126, ma anche Tedua, Quentin40 e Geolier hanno quel genere di caratteristiche che Gianni ricercava per questo lavoro. Ognuno di questi, con il proprio contributo, ha apportato al disco dei valori aggiunti che permettono di far diventare i tratti tipici romani anche segni caratteristici di Genova, della Campania e di tutta l’Italia.
Nella seconda metà del disco le tematiche cambiano leggermente, il contesto romano viene man mano tralasciato per andare verso una nuda analisi più introspettiva della personalità dell’artista (non a caso in “Quello vero” afferma “So’ Tiziano mica Gianni/ guardami nell’occhi quando parli“), con tracce fatte di ricordi (“Mi sento vivo” e “Negativi”), altre composte da elementi distintivi della persona dietro l’artista (“San Francesco”, con il beat creato con il fischio caratteristico di Gianni) e con un outro estremamente personale dove l’artista riflette su quanto fatto finora e su quello che sarebbe il suo lascito in caso di una sua dipartita.
L’unica traccia che apparentemente si discosta leggermente dall’inclinazione d’animo del disco è “Gianni Nazionale”, traccia autocelebrativa, arrogante, che spiega a chiare note all’ascoltatore che finalmente, da reietto, è diventato un giocatore di prima classe, titolare nella Nazionale italiana e quindi rappresentante di tutto lo Stivale.
Il brano apparentemente atipico, rispetto a tutto l’intero corpus dell’album, è stato scelto sapientemente come singolo precedente al disco, utilizzando una traccia in bilico tra i due lavori, richiamando allo stesso tempo quello precedente e anticipando quello successivo, “Nati Diversi” appunto.
L’intero pacchetto, in conclusione, è di ottima fattura, un prodotto genuino di cui si sentiva il bisogno in questo momento; in un periodo storico in cui l’Italia si trova a vivere una reclusione forzata tra le mura domestiche a causa di una pandemia, con tutti i centri di ritrovo chiusi, Gianni è l’amico del bar che viene a trovarti in cuffia, portando una semplice ma profonda chiacchierata capace di smuovere quelle emozioni autentiche che da qualche settimana sembravano atrofizzate.
La prova definitiva della maturità artistica di Gianni sta nell’aver evoluto il suo stile crudo dotandolo di una grande italianità grazie alla sua impronta cantautorale, evitando di innestare goffamente nella tradizione innovazioni mal congegnate o scadenti rivisitazioni. “Nati Diversi” è la riprova che il rap italiano autentico, che strizza l’occhio al passato, pulsa ancora fortemente senza dover per forza prendere ispirazione dall’estero per doversi adattare ai trend di mercato.
Di Simone Molina
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