Recensione di Popstar
Keith Richard, Jimi Hendrix, Sfera Ebbasta.
In comune hanno solamente una chitarra elettrica e gli occhiali.
Sfera, quasi sicuramente, non ha mai suonato una Gibson Flying V, ma essa compare nella copertina del suo ultimo disco Rockstar uscito nel Gennaio del 2018 e decretato da Spotify il disco con più streaming dell’anno.
Per
capire a trecentosessanta gradi l’artista è necessario esaminare tutti i tipi
di linguaggio che adopera per esprimersi; osserviamo nel dettaglio la copertina
del disco.
La chitarra sopra nominata è retta al contrario da Sfera, una dimostrazione del
fatto che per scalare una classifica oggi, non si deve per forza saper suonare
magistralmente uno strumento.
Lo scenario è vuoto, c’è solamente Gionata Boschetti in posizione accovacciata.
Il suo taglio di capelli basic spicca per la vistosa tinta rossa, gli occhiali
Yves Saint Laurent ‘98 richiamano il modello indossato dalla leggendaria
rockstar Kurt Cobain, icona dei Nirvana.
La pelliccia rosa shocking, simbolo di prestigio, lusso ed opulenza, prima si
scontra e poi si sposa con lo sfondo giallo ocra, colore simbolo dell’oro.
Il rosa, colore già usato precedentemente dai “Dipset” nel merchandising, soprattutto
nelle sue tonalità più scure, è una tinta che ami o che odi, proprio come il
giovane fenomeno del rap italiano.
Nella prima traccia del disco, la title track “Rockstar”, il rapper parla proprio del fatto che ora è lui ad essere amato o odiato, ora è lui a scaricare, non ad essere scaricato.
Il disco infatti riporta alcuni spaccati dell’esperienza vincente del rapper di Cinisello Balsamo, che ora si trova nel suo “Uber” privato e gira per la città, guardando i palazzi e ripensando al fatto che un tempo viveva in quelli popolari, invece ora, tra un sorso di purple drunk e una sbuffata di blunt, se riuscirà a comprare una degna dimora, lo farà nel quartiere della “Leggenda”, perché a quanto pare, vuole rimanere lì.
La vita da rockstar scivola in fretta, una cometa che dura 34 minuti per la precisione. La pellicola che scorre nella cinepresa proietta la sintesi del suo successo, dalle serate brave passate nel privé con le bocce di Moet, contorniato da ragazze che fa innamorare con una strizzata d’occhio, come Cupido, ai ricordi più malinconici di quando non aveva il pane in casa, senza tralasciare le amicizie marce incontrate nel percorso, paragonate a “Serpenti a Sonagli” che gli strisciano accanto solo per poterlo affossare, nel frattempo manda un bacio a chi lo odia e uno a chi lo ama.
Tematiche non troppo impegnate e numeri stratosferici per un ragazzo di 26 anni.
Nella semplicità di questo disco c’è la genialità di saper rendere suoni basilari ed elementari un sofisticato cocktail che ha il sapore del successo.
Nel 2015 Sfera, con la pubblicazione del suo primo album “XDVR” ha causato un foro nel muro della scena musicale contro cui si è violentemente scagliato, generando una frattura e un dilagamento di sonorità trap che oggi fanno da padrone nell’inventario musicale di un qualsiasi beatmaker.
Senza l’entrata in scena di Sfera Ebbasta, probabilmente saremmo rimasti ancorati al vecchio concetto di “boom bap” e metriche complicate poco funzionali alla diffusione del genere che tanto desideravano i primi rappers.
Via le chitarre elettriche, vengono prese in prestito le batterie e il gesto delle corna, ora la nuova rockstar italiana si identifica con ornamenti d’oro, cime di erba tritate messe in foglie di tabacco e con la purple drank o lean, miscuglio formato da sciroppo per la tosse contenente la codeina e bevande gassate.
Emblematico così diventa il pezzo “Sciroppo”, in cui vediamo la collaborazione di Dref Gold, giovane rapper bolognese classe 97. Tale pezzo andrebbe preso in esame collegato a “Bancomat”, da alcuni considerata come una traccia riempitiva, ma se vista con più attenzione spiega uno dei motivi per cui Sfera è diventato famoso: è stato il primo in Italia a cambiare definitivamente il rap con “la Sprite e l’autotune”, due elementi che sono sempre stati sotto gli occhi di tutti i rappers italiani, ma che non hanno mai saputo rendere propri prima di lui.
“Sprite” è un riferimento ad una componente della purple drank e con “autotune”, oltre all’effetto utilizzato per modificare la voce, allude alle nuove sonorità che è riuscito ad imporre. In “Sciroppo”, altro pezzo iconico dell’immaginario di Sfera e dell’album, con un gioco di parole spiega come lui e Dref rimangano sempre sulla cresta dell’onda delle classifiche e delle tendenze, a differenza dello sciroppo, liquido con un volume più denso della bevanda gassata, che cala sul fondo del bicchiere, come d’altronde fa anche l’MD.
Per quanto possa sembrare strano il pezzo sprigiona un’aura altamente hip hop, non nei suoni, non negli argomenti, ma nell’attitudine: Sfera, come facevano gli MC agli albori del genere, ha preferito chiamare un artista emergente considerato talentuoso piuttosto che un artista affermato che avrebbe portato vendite sicure.
Dref Gold infatti non delude le aspettative di Sfera e per di più il rapper bolognese nella sua strofa raccoglie il testimone lasciato dal suo compagno e spiega come tutti possano cantare la canzone perché “a u a le parole sono semplici”.
Rockstar nasce come un disco con indole e ambizione internazionali, lo testimonia il featuring (senza tralasciare l’edizione appositamente gremita di feat importanti esteri), nato in provetta, con Quavo Huncho, componete del celebre gruppo trap statunitense dei Migos.
Non bisogna stupirsi che i testi di Sfera non siano ricercati e che risultino piuttosto semplici, privi di suoni troppo duri; l’italiano è una lingua romanza complessa, con una sintassi estremamente complicata e poco riproducibile a chi non può vantare la conoscenza della lingua. Sfera ha tentato di rendere i testi ancor più semplici per far sì che il suo disco venga cantato all’estero come in Italia.
Sì perché agli italiani piace cantare, cantare e cantare; questo è uno dei mille motivi per cui Sfera ha riscosso tutto questo successo, perché ha rimodulato il suo flow rendendolo più canticchiato e facilmente fruibile. La magistrale post produzione di Charlie Charles, il re Mida del beatmaking, ha aumentato esponenzialmente la qualità del disco, le melodie presenti e i suoi bells (“campanelle” usate nelle basi) sono diventati i suoi marchi di fabbrica e hanno permesso di far avvicinare al rap anche i non ascoltatori rap.
Il suo tour ha riscosso continui sold out, l’epilogo è sempre stato lo stesso: sulle note di “Rockstar” Sfera stappa la boccia di champagne e lo spruzza sulla folla, andandosene via con il pubblico in sottofondo che urla il suo nome.
Esce dal locale,” è finito lo show, con il soldi in tasca e lo zio Tommy che lo scorta”, finisce nella stanza d’hotel, stremato si lascia cadere nel suo letto comodo e pensa al fatto che in fin dei conti, non importa se sarà per tutta la vita così, le esperienze che sta vivendo lo stanno rendendo più ricco dei soldi che pompano il conto in banca. La sua metamorfosi è in fieri. Da Sfera Ebbasta, ad S.E. a $€. Da rapper di Cinisello Balsamo, a Bravo Ragazzo nei Brutti Quartieri a Rockstar ed infine a Popstar.
Non una vera e propria popstar, ma con la fama simile a quella di una stella della musica pop, che sta man mano uscendo dallo Stivale e sta arrivando in diverse parti del mondo: non a caso nell’edizione deluxe di “Rockstar: Popstar edition”, si possono trovare, oltre a dei remix dei brani precedentemente usciti, anche delle tracce sperimentali realizzate sulle basi di Rvssian, un produttore giamaicano che più volte ha cucito beat su misura per artisti stranieri di fama mondiale come Sean Paul o Nicky Jam.
Nei nuovi pezzi presenti nella deluxe, il rapper ha cercato di inserire frasi, anch’esse semplici, in inglese e in spagnolo (vedi “Happy Birthday”, “Popstar” e “Uh Ah Ye”), nel remix di “Cupido”, ad esempio, ha intonato un ritornello in lingua ispanica.
“Popstar”, il suo nuovo progetto, è il tentativo di rendere il rap italiano un prodotto dalla portata internazionale.
Sfera è un inno e un affresco istantaneo della società contemporanea, sì, perché “Sfera Ebbasta piace a tutti come il Mc Donald, come i soldi, le modelle e l’erba buona, come Cristiano Ronaldo, o Maradona”. Tale citazione è ripresa da “20 Collane”, brano icastico e incastonato nei titoli di coda del disco, come se fosse un riassunto per chi non ha ancora capito a fine album chi è Sfera Ebbasta.
Il rapper, piuttosto che lamentarsi e piangersi addosso per i dettami imposti dai ritmi consumistici e capitalisti, prende in mano la situazione: studia il sistema da vicino, capisce come poterlo attaccare e ne diventa una delle massime espressioni. L’ideale hip hop prende finalmente vita: Sfera con la sua scaltrezza ha domato e dominato le correnti economiche e musicali di un momento storico al fine di cambiare la sua situazione.
Il rapper si associa volutamente a tutti questi esempi di capitalismo: la famosa catena di fast food, i soldi, le ragazze sulle passerelle che sfilano con capi di alta moda, il famoso asso portoghese del calcio distruttore di record sportivi e infine il fenomeno argentino, idolo del popolo napoletano e dello stato del sud America. La sua musica viene venduta come fossero panini caldi, il trap boy ha avuto l’onore di farsi realizzare dei capi appositi da stilisti e sfilare per loro (Dolce & Gabbana e Marcelo Burlon), ha infranto tutti i record dell’industria della musica italiana ed è diventato l’idolo delle folle in soli 3 anni. Sfera Ebbasta non è più solo un personaggio, ora è un marchio, è un brand della musica.
Il marchio “Sfera Ebbasta” fa gola a tutti, soprattutto ai giornalisti che non si risparmiano nel mettere il suo nome in prima pagina, soprattutto dopo la tragedia avvenuta recentemente nella discoteca a Corinaldo. Piuttosto che fare articoli informativi sulle norme di sicurezza che i locali devono adottare, si preferisce mettere il nome d’arte del giovane ventiseienne in prima fila, sfruttando le smanie da rotocalco della prosa di facile consumo.
Stando alle dichiarazioni rilasciate dalla stampa e dai genitori di ragazzi che ascoltano il rapper lombardo, se i ragazzi oggi si ubriacano e fanno uso di stupefacenti è colpa del cantante.
Per quanto i genitori delle nuove generazioni possano mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, i ragazzi di adesso (come quelli di molte altre epoche), si fanno le prime canne, si ubriacano e fanno le prime esperienze sessuali, ma non lo fanno di certo perché un rapper lo dice esplicitamente nei pezzi, se dovesse essere così, chiunque sia cresciuto con il buon vecchio rock ora dovrebbe essere un eroinomane. Al fine di evitare tutto questo servirebbe una buona dose di educazione imposta nelle mura domestiche, ma non mi voglio addentrare in cose che non mi competono.
La verità è che Sfera fa comodo a tutti, è il capro espiatorio contro cui scagliarsi additandolo come il vaso di Pandora che sprigiona tutti i mali, avere un’apparente causa sotto al naso fornisce un senso di sicurezza che permette a chiunque di scrollarsi le colpe da dosso e di sentirsi pulito. Gionata Boschetti, signori miei, racconta ciò che ha vissuto nelle periferie e ciò che vede ora, non a caso termina il brano sopracitato (“20 Collane”) con il verso “come a dire che in Italia niente funziona”.
Come il capitalismo, Sfera Ebbasta si è espanso ovunque.
Odio, amore, fama, soldi, successo, sesso, droga e musica.
Siete proprio sicuri che Sfera non abbia l’attitudine da “rockstar” e che non meriti tale fama?
Di Riccardo Bellabarba
Nessun commento!