Dopo essersi liberati dalle pesanti catene della morale e dell’istinto, sarà l’ego a parlare del disco.
Se fossi stato lo psicoterapeuta di Fabio/Marracash, al contrario del Dottor S. nella “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo, avrei pubblicato le memorie del paziente non per far lui un dispetto, bensì per dimostrare al pubblico come è possibile poter uscire dal buco nero delle turbe personali capaci di far impantanare anche il più forte e coraggioso degli esseri umani. Marracash/Fabio, al contrario di Zeno ha portato a conclusione la terapia e il prodotto che ne è venuto fuori è “Persona”, probabilmente il disco più aspettato dall’intero pubblico rap italiano.
Il prodotto artistico complessivo non merita giudizi precipitosamente legati al “brutto/bello”, catalogare tale album così oltre che limitante risulterebbe erroneo; l’album è concepito come un corpus di canzoni funzionale ad essere assorbito per far sì che ogni parte di esso entri nel profondo dell’ascoltatore, dando una leggera scossa a tutti gli organi citati nel disco.
Fabio/Marracash, nella sua dimensione frutto della sua percezione sensoriale ed extrasensoriale, ha preso dell’argilla musicale fornita da Marz, le sue storie personali e ha tentato di creare un essere che fosse a sua immagine e somiglianza, dotandolo delle necessarie parti anatomiche funzionali ad espletare tutte le funzioni vitali. Il manufatto musicale si presenta sì in una forma compatta, ma per poterlo analizzare bisogna necessariamente prendere coscienza del fatto che il simulacro di sé offerto dall’artista è la vittoria di Fabio su Marracash, che si erge su quest’ultimo offrendolo in sacrificio sull’altare pubblico al fine di santificare l’opera stessa con i fumi esalati. Ciò che arriva nelle nostre mani, altro non è che lo spazio liminale che intercorre tra Marracash e Fabio, lavorato, limato e scavato in alcuni punti specifici resi vuoti per far attaccare gli elettrostimolatori dell’ascoltatore, che al termine delle scariche emozionali si risveglierà in una condizione del tutto diversa rispetto a quella di partenza. Se con “Status” era stata rivelata la sua natura divina residente nel “pantheon” del rap italiano, Marracash in “Persona” si è fatto uomo. Il distacco sostanziale dai social ha fatto sì che l’artista abbia lasciato agli ascoltatori la statua di “Marracash” da adorare, tenendosi per sé l’inedita parte di Fabio, l’ente che ha scritto buona parte del disco.
Le analisi avviate sul composto vengono agevolate dalla scheda clinica che fornisce il prospetto del paziente (“Body Parts” – I Denti. Nella seconda strofa vengono elencate tutte le parti del corpo e vengono fatte allusioni sul come sono collegate tra di esse). Appurato che la persona in questione sia Marracash e non Mahmood (“Non Sono Marra”– La Pelle) evitando inutili disguidi come fecero anche i giornali, ciò che emerge è che il soggetto in questione è in preda ad una crisi identitaria; la mancanza di valori positivi non comporta una perdita materiale concreta, ma una perdita spirituale e ideale(“Qualcosa in cui credere”– Lo Scheletro), soprattutto nel momento in cui il cervello è in uno stato semi-atrofizzato (“Quelli che non pensano” – Il Cervello) a causa dello svogliato adattamento alla civiltà dello spettacolo che fatica a familiarizzare correttamente con la tecnologia, utilizzandola spesso nei modi meno produttivi. Il sangue selvaggio (Appartengo – Il Sangue) puramente siciliano e adattato nei quartieri di Barona porta ossigeno in tutto il corpo permettendo al soggetto di vascolarizzare bene il fegato (“Poco di Buono”), tanto da arrivare a permettergli di dire tutto ciò che gli passa per la testa in quanto sede della forza e del coraggio secondo i greci. Deleteri sono invece i risultati quando il liquido organico rosso si convoglia tutto nelle zone dell’apparato riproduttore (“Da Buttare” – Il Ca**o) scatenando azioni alquanto riprovevoli ma liberatorie. Nonostante il costante consumo di tabacco ed erba, i polmoni riescono ancora ad alimentare l’apparato fonatorio (“Bravi a cadere” – I Polmoni, seconda probabile hit radiofonica del disco) che riesce a fornire una prova canora senza il sostegno di terzi. L’ottima muscolatura allenata a colpi di rime e incastri (“Sport” – Muscoli) e l’ego esibizionista ingordo di palcoscenico (“Supreme”– Ego, primo brano in cima alla classifica Spotify) mascherano il punto nevralgico da cui si originano parte dei problemi: l’apparato nervoso (“Crudelia”- Nervi) appare teso e danneggiato per via del grande dispendio di energie dovuto ad una relazione tossica con un’altra persona. E’ consolante sapere che il soggetto in osservazione riesce comunque a trarre la sua forza dal soffio vitale (Madame – Anima) instillatogli dentro, sorprendente invece risulta il suo battito cardiaco (G.O.A.T – Il cuore) estremamente costante e capace di spingersi oltre nonostante tutti gli acciacchi subiti. Irregolari gli esiti dei test visivi (“Tutto questo niente” – Gli Occhi) poiché l’osservato sostiene di vedere il nulla cosmico quando viene posto davanti ai suoi averi.
La descrizione distaccata, clinica, priva di un qualsiasi soggetto concretamente visualizzabile nella mente del lettore che si appresta a scannerizzare le parole del testo è così costituita per far sì che l’ascoltatore del disco riesca a vivere l’esperienza dell’ascolto totalmente spoglio di qualsiasi preconcetto e di qualsiasi volto in testa, in modo tale da poter predisporre il suo viso nei film mentali che le parole accompagnate dalla musica sbloccheranno.
Non sono le rime e gli incastri le forze di traino del disco, in questo caso sono i flow. Marracash recupera dei flow utilizzati nei precedenti lavori e qui li innesta, li cresce e li rilascia nella loro completa maturità stilistica, rendendoli adattabili ad una narrazione che non deve essere né originale né troppo cervellotica, ma utile ad attecchire e smuovere su larga scala.
I featuring, nell’elencazione precedente, non sono stati nominati perché oltre a trovarli in maniera chiara e giustificata nel profilo Instagram di Marracash (per scrupolo li elencherò qui di seguito: Gué Pequeno, Coez, Massimo Pericolo, Mahmood, ThaSupreme, Sfera Ebbasta, Luchè, Madame e Cosmo) quelli sembrano delle prolunghe espressive e dei valori aggiunti ad ogni brano dal momento che l’ospitante ha fornito delle istruzioni ben precise ad ognuno di essi al fine di ottenere un accessorio esornativo che non sbilancia la composizione finale.
La menzione speciale va sicuramente fatta a Marz, vero demiurgo musicale ingiustamente lasciato in secondo piano da tutti gli intervistanti del rapper di Barona poiché il produttore si è preso in spalla un progetto di difficile lavorazione realizzando ben dieci produzioni su quindici, mettendo dentro dei campionamenti colti e facendo delle citazioni musicali molto fini (richiamo alla musica nera in “Qualcosa in cui credere”, citazione a “Un Ragazzo di Strada” de I Corvi, il sample di “American Fruit” di Zulema Cosseaux, un plauso invece a DJ Ty1 per la rielaborazione del beat “Quelli che ben pensano” in “Quelli che non pensano”). I generi estranei all’hip hop (rock mascherato dai synth e dagli scracth, suoni dance anni ‘80-’90, musica medio-orientale) che si intersecano nei tappeti musicali danno vita a delle nuove sonorità del tutto inedite particolarmente adatte al rapper in questione, ciò meriterebbe maggiore attenzione da parte di tutta la scena perché fatta eccezione per due samples utilizzati ( il beat di “Da Buttare” di Low Kidd che ricorda molto vagamente “Don’t Play” di Travis Scott e la base di “Crudelia” anch’essa richiamante “Slow Dancing In The Dark” di Joji) , le melodie delle basi finalmente affondano pienamente le radici nella Penisola italiana dando una forte identità al pacchetto sonoro non comparabile per nulla ad una copia di altri lavori esteri.
Abbandonati gli aspetti più formali, è doveroso mettere in risalto come l’intero disco sia una continua risalita dalle tenebre alla luce; con toni che descrivono la fragilità della psiche umana assimilabili quasi alla poesia di Camillo Sbarbaro (allego la poesia a chi fosse interessato), Marracash tuona dopo tre anni facendo capire che davanti a tutto questo niente è necessario buttare fuori tutto quello che si ha dentro al fine di non essere uccisi. Con “Persona”, giocando sul significato latino che è “maschera”, facendo leva sulla doppia personalità uomo/artista, Marracash propone una nuova forma di umanesimo traslabile nella contemporaneità liquida post-moderna, suggerendo di mettere al centro non gli avatar digitali né tantomeno le copie artefatte di noi, bensì la nostra vera natura, al fine di frenare l’inarrestabile disumanizzazione a cui si sta andando incontro.
No, Marracash non è un salvatore della patria, il disco è fatto per vendere, come qualsiasi altro prodotto musicale uscente da ogni casa discografica, ma la forza dell’album sta nel saper suonare e nel saper comunicare allo stesso tempo; davanti ad un tale lavoro, le coscienze musicali assopite degli ascoltatori novelli, per un minimo, si desteranno per forza.
Forse siamo prossimi all’estinzione della razza umana, ma dopo aver digerito (Greta Thunberg – Lo Stomaco) tutti gli sconvolgimenti sociali e tutto questo tempo senza Marracash, probabilmente resisteremo anche a quella.
Di Riccardo Bellabarba
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