Recensione di Moebius
Siamo ormai entrati in pieno autunno, almeno guardando il calendario, dato che il meteo ancora non ha intenzione di farci tirare fuori le felpe dall’armadio; quale periodo migliore per un personaggio cupo nei contenuti come Blue Virus per far uscire il nuovo disco: le giornate si accorciano, il freddo si appropria delle nostre vite e i tramonti talvolta variopinti ci avvisano che arriva la notte.
Concluso questo preambolo astratto vorrei entrare più nello
specifico affermando che “Moebius”, l’ultima fatica di Blue Virus e Jack
Sapienza, a livello di concept è un degno successore di “Fosse per lei”, l’album
precedente del duo torinese, uscito nel 2016. Infatti, la scelta del concept di
questo disco è oggettivamente originale, con metafore e citazioni culturali di
spicco e il riferimento ad una storia d’amore senza lieto fine caratteristica ormai
dei progetti di Blue Virus.
Il titolo del progetto è un riferimento al “nastro di Moebius”, l’unica figura geometrica che possiede un lato solo:
I due artisti hanno voluto fondare su questa immagine una storia che reggesse sul piano musicale. L’intera storia si basa su due temi, un tema micro ed un tema macro. Il tema micro è il racconto esplicito che troviamo nell’arco dei 40 minuti del disco: nella prima metà del disco viene narrata la storia di uno scrittore sulla trentina ossessionato dalla paura che sua moglie lo tradisca, terrore che si scopre poi essere fondato e storia che si conclude con l’uccisione di lei e il tentato suicidio di lui; tentato perché in realtà non muore ma si risveglia nel corpo di un ragazzo di 20 anni, il quale ha una relazione a distanza con una ragazza con cui ha in mente di pianificare una strage. Una volta riuscito a raggiungerla, nel momento in cui lei le apre la porta, il ragazzo di 20 anni torna ad essere lo scrittore della storia precedente all’improvviso, con lei che si scopre essere la sorella della vittima dell’altra storia. Il disco si conclude con un finale aperto, come se fosse un loop infinito.
L’idea iniziale però non è partita dal nastro di Moebius, bensì da “Lost Highway” di David Lynch, un film del 1997 che mi sono sentito in dovere di guardare per capire a pieno il concept del progetto. Ci sono diverse analogie tra le due storie, il cambio di personaggi, il movente del primo personaggio e le caratteristiche del secondo personaggio, giusto per dirne alcune. La storia è veramente complicata per essere raccontata per intero, consiglio caldamente la visione del film, ma l’analogia più importante e che servirà per spiegare il tema macro dell’album è “lei”. Come nella storia così come nel film le ragazze protagoniste si scoprono essere la stessa persona e questa “lei” rappresenta il super-io del tema macro. Sì, Blue Virus e Jack Sapienza hanno tirato in mezzo anche Freud per la realizzazione del progetto: senza che io spieghi il significato intrinseco di es, io e super-io (basta cercare su google), il primo è rappresentato dal ventenne, la parte più recondita di noi stessi che teniamo nascosta; il secondo dallo scrittore mentre il terzo dalle due ragazze che rappresentano “due facce della stessa medaglia”, la prima donna rappresenta la parte conscia mentre la seconda la parte inconscia di noi stessi.
Come si può ben intuire, la complessità di questo concept rende l’album, sotto quest’aspetto, di sicuro un passo avanti rispetto a quello precedente, il quale era sì ben strutturato ma meno studiato. Essendo entrambi due concept-album il paragone viene naturale e ho trovato le melodie di “Moebius” meno incisive e orecchiabili rispetto a “Fosse per lei”, le quali a mio parere sono state il vero motivo del successo di quel progetto nel quale ogni cosa era al posto giusto.
Non sto dicendo che il disco non suoni, anzi. In brani come “lieto fine”, “Non ti odio veramente” o “Mood” il livello è altissimo come intensità e le produzioni dell’intero disco mantengono lo stesso livello, contribuendo a creare l’atmosfera giusta che celebra a pieno l’alchimia creatasi negli anni tra i due artisti. Il disco è molto personale, e proprio per questo i due artisti hanno scelto di non chiamare featuring: 17 tracce (inclusa l’intro e due interludi) che compongono l’una dopo l’altra una storia articolata e che rende il progetto poco adatto ai grandi numeri, ma va benissimo così. Infatti, uno dei motivi per cui Blue Virus non ha mai realizzato quel salto di qualità a livello discografico come altri colleghi con cui ha collaborato è che lui ha sempre preferito mantenere la propria immagine e il proprio personaggio, forgiando nel tempo la sua nicchia di ascoltatori e scegliendo di non seguire le logiche del mercato musicale. Mi auguro che i due artisti proseguano il loro percorso non snaturando l’essere della loro musica dal sapore malinconico solo per aumentare la fanbase. Diciamocelo, tutti gli ascoltatori di Blue Virus sanno che meriterebbe più successo, ma come succede per molti altri artisti, la “gelosia” dei fan verso i propri preferiti e la poca voglia di condividere le emozioni estremamente proprie con gli altri fanno sperare che, sotto sotto, resti solo per quella nicchia ristretta.
Di Simone Locusta
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