Recensione di Aletheia
Aletheia, terzo disco in studio di Izi, nasce dopo 735 giorni di gestazione, più di due anni di distanza da Pizzicato, che ad oggi è considerato uno dei migliori album del 2017.
Un lungo periodo divide i due progetti, Diego si è preso il tempo necessario per permettere al pubblico di rendersi conto della sua crescita artistica ed umana.
Aletheia è il timelapse che, dopo la ripresa di un movimento lento e prolungato, ci permette di apprezzare meglio la maturazione del rapper genovese.
La ricercatezza di suoni, concetti, linee melodiche e scrittura sono la prova di un lavoro intenso e duraturo.
La scelta delle produzioni, curate nei minimi dettagli e caratterizzate ognuna da un differente strumento musicale suonato e non campionato, e dei featuring, sono la dimostrazione che Izi non considera niente scontato e/o superficiale.
Una delle tante peculiarità del progetto è che assume una forma differente ogni qual volta lo si ascolti; non ci si riferisce solo ad una maggiore comprensione ma è come se lui avesse voluto spiegare che il mondo e la comprensione che l’umano ha di esso sono soltanto una presunzione, perché ciò che si vede non è realmente ciò che è.
Il rifacimento infatti è di matrice platonica, lo si può evincere subito dal titolo: Aletheia, un termine greco che non trova una traduzione univoca, può significare “verità”, “rivelazione” o “schiudimento”. L’Aletheia è quello stadio finale che si pone al di sopra di un’opinione fallace o di un mero assioma matematico. Questo è il primo messaggio che l’artista ligure intende trasmettere; il suo ardito desiderio è quello di instillare una sua piccola verità in ognuna delle 16 tracce.
La cultura greca, sostrato basilare e fondamentale della cultura occidentale non ci abbandona subito, ma ci tiene per mano lungo tutto il percorso, come Virgilio fece con Dante, al fine di far rinascere ogni ascoltatore con una nuova coscienza.
Izi è consapevole del fatto che non tutto il suo pubblico sarà in grado di comprendere il messaggio del suo disco, non a caso il titolo dell’intro è “Il Nome della Rosa”; noi possiamo cogliere solo nomi ma non l’essenza reale di ciò che ci circonda. Tale concetto deriva dall’omonimo romanzo di Umberto Eco, leggendo le ultime pagine dell’opera narrativa ci si imbatte infatti nel messaggio che l’artista ligure è riuscito abilmente a comprimere in pochi versi nel brano d’apertura del suo nuovo album.
La crescita e la maturazione sono tangibili, ed è per questo che sente il bisogno di dare una seconda vita ed una rinascita ad uno sei suoi brani più iconici. Palpabili sono anche le differenze di tematiche e mood adottati nel secondo capitolo di Volare: il primo risultava essere meno saturo di messaggi e più spensierato, non viene però rinnegato e nel finale di Volare II Izi ripropone parte del ritornello del progetto originale.
Il classe 95, come riporta nel brano “Pace”, si sente parte della cultura anni 90, anche senza averla vissuta consciamente. L’attitudine old school si percepisce anche dalla decisione di invitare sul palcoscenico un emergente e dargli la possibilità di dimostrare ad un pubblico più ampio le sue capacità. “OK” vanta la collaborazione di Speranza, che si dimostra all’altezza e risponde presente all’appello. Il suo stile street si associa alla perfezione all’aggressività della strofa del padrone di casa ed il casertano in spietate barre bilingue (italiano e francese), passando per un racconto di ciò che accade intorno a lui e riferimenti alla fede cristiana vuole far capire a tutti che lui è differente, suggerisce di diffidare dalle imitazioni e che con il rispetto dell’intera scena è pronto a prendersi ciò che merita.
L’altro, e ultimo, featuring italiano è Sfera Ebbasta. In 48H, su un beat di Charlie Charles disegnato sulla melodia di un pianoforte, il genovese e il milanese sposano un mood più conscious: Izi attraverso i riferimenti alla sua città (Cogoleto), al suo rifiuto per le istituzioni ed il suo viaggio introspettivo, Gionata invece, grazie alle good vibes del collega, trova la possibilità di rivelare la sua inquietudine e i ricordi tristi della sua povertà da ragazzo, inoltre non sembra aver superato completamente tutti i casi mediatici creati attorno al suo personaggio e manda una provocazione a chi lo sta ancora odiando ed in maniera quasi nostalgica termina la strofa con un riferimento al suo celebre brano “Panette”.
La collaborazione più curiosa e intorno alla quale si è creato più hype da tutti gli ascoltatori del rap italiano è quella in Weekend. La seconda strofa infatti, sul beat a tratti old school di David Ice, è recitata dallo stesso Izi ma in lingua inglese. La pronuncia e l’accento, per l’orecchio più attento, possono essere riconducibili al patois giamaicano, l’ipotesi è che Izi potrebbe avere trascorso un periodo di formazione artistica in un quartiere giamaicano della metropoli di Londra. La sua scelta sembra quella di voler portare in Italia il suono black, conscio del fatto che la cultura nera non esiste e probabilmente mai esisterà nel nostro paese.
Tutto ciò può essere inteso come un’apertura ad un pubblico internazionale, per poter portare il suo messaggio e la sua musica fuori dai confini italiani.
Il rapper genovese non si priva inoltre dei pezzi più disimpegnati come “A’Dam”, brano in cui sembra sciogliersi i muscoli e rilassarsi in piazza Dam per continuare poi la sua passeggiata in bici tra i musei, le librerie e i coffeeshop di Amsterdam. Giunge dunque a “Dammi un motivo”, canzone più emotiva e sentimentale ed arriva a sostenere di poter rendere umano anche un alieno, attraverso le emozioni che suscita e alle quali non si può sfuggire in “Uh! Che peccato!”.
L’influenza e la parziale appartenenza al cantautorato genovese
di Izi si percepiscono chiaramente nel brano Dolcenera, un remake e tributo
alla famosa canzone del maestro De Andrè. Riporta infatti i due storytelling
paralleli, l’alluvione che ha sommerso Genova nel ’70 e un matto innamorato che
aspetta la sua amata.
L’attaccamento alla città di Genova continua nel brano
successivo, “San Giorgio”, che è appunto il nome del santo simbolo della città.
Con la collaborazione dei transalpini Heezy Lee e Josh, i quali si occupano
anche della produzione musicale.
Carioca è la dimostrazione lampante che Izi, nonostante i cambi
di stile, è ancora in grado di rappare in maniera aggressiva e dare sfogo ad
esercizi di stile, sul beat fluido, particolare e quasi caraibico di Tha
Supreme e Charlie Charles. Non perde l’occasione di denunciare il fatto che per
fare rap ci vogliono le rime ma non le medicine (riferimento ad antidepressivi,
sciroppi ecc.), egli sa di avere le carte in regola per essere un Mc di alto
livello e lo vuole sottolineare ed urlare a l’intero stivale.
“Grande” ci ripresenta la crescita del rapper genovese. Nella prima strofa descrive un ragazzo in terza persona, che non è altro che sé stesso. Un trip quasi bipolare e psicopatico, che lo porta a crescere e tornare “come un lupo”. La sua crescita è in divenire, e proprio come chi, correndo forsennatamente si volta e si rende conto di aver lasciato qualcuno indietro, volge lo sguardo alle sue spalle e fa un ultimo disperato appello: ora non canta più, bensì parla con l’intento di farsi capire ancora più chiaramente. La citazione al mito della caverna di Platone crea delle immagini forti e vivide nella mente del destinatario che hanno l’intento di risvegliarlo dal sonno profondo, o meglio dalla sua morte emotiva. (Zorba).
Il clima creato dall’album è una sorta di Illuminismo 2.0, Izi, in quanto portavoce di questa nuova corrente, ha fiducia nel suo pubblico e vuole dargli la chiave di lettura del suo disco. Prova a farlo mantenendo viva l’attenzione durante l’intero ascolto pronunciando una parola alla fine di 11 tracce dell’album. Le 11 parole ci arrivano in maniera disordinata, come nel famoso capolavoro “Interstellar”, Izi sembra quasi urlarle da un altro universo per aiutarci a trovare la retta via. Una volta riordinate infatti si ottiene una frase dal significato ampio e profondo: “Ma un bambino ha paura del buio quando possiamo comprendere Aletheia (la verità)”.
Più si studia una cosa e la si conosce, più la si teme. La consapevolezza che nasce da un ascolto attento del disco è che Izi non sta cercando di curare le malattie dell’uomo post-moderno ma prova a curare l’uomo stesso.
Di Ismail Ezzaari
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