Precursore delle mode: è questo il primo concetto che ci viene presentato quando ci addentriamo nell’ascolto dell’ultima fatica discografica di Mondo Marcio; in un certo senso, come da lui stesso affermato, sarà letteralmente l’ultima, una sorta di finale di stagione, e ciò sarà da tenere in considerazione per commentare il disco. Dopo una prima stagione composta da alti e bassi, alcuni episodi riusciti e altri meno, tanti stili diversi provati, tante collaborazioni e tanti esperimenti coraggiosi, sorge spontaneo domandarsi come sarà questo primo epilogo.
Preannunciato dai singoli “DDR (Dio Del Rap)”, “Vida Loca”, “Leggenda Urbana” e “Angeli E Demoni” (quest’ultimo in collaborazione con Mina, in un duetto dal risultato positivo ormai scontato), Uomo di Mondo Marcio ha una forte vena malinconica, e per questo piacerà probabilmente di più a chi segue l’artista milanese da più tempo.
“E ho trent’anni fra, la gente pensa che ne ho quaranta
Perché gli mangio in testa da quando ne ho sedici”
– Top Five
Se alle grafiche ci ha pensato Mecna (ormai onnipresente nelle artwork della scena nostrana), alle macchine si alternano Swede degli 808 Mafia, MusicHeartz, Fast Life Beats, Fabrizio Sotti e Mondo Marcio stesso. Le produzioni risultano coese e offrono un comparto musicale di buona qualità. Sia chiaro, niente di innovativo, ma nel complesso risulta al passo coi tempi pur mantenendo un’anima più old school in certi campionamenti o scelte di suoni; secondo chi scrive, alcuni beat sono delle vere chicche. Forse leggermente scontato quando cerca di addentrarsi in sonorità più moderne e di tendenza, ma niente che ne pregiudichi la godibilità.
Parliamo ora del lato più importante per un album che si presenta come un riassunto di una carriera che dura da più di un decennio, a partire dal titolo: le liriche.
“Uomo” è un parola emblematica nell’attuale periodo della carriera di Mondo Marcio. Periodo che lui cita e rivendica in diverse canzoni, come se volesse riscuotere qualcosa che sente non gli sia stato interamente riconosciuto. Lui comunque ribadisce che ci sia la necessità di atteggiarsi da uomo, con i pregi e i difetti che ne conseguono.
Dente avvelenato verso certi cliché della scena odierna, verso chi prende “l’ascensore invece delle scale”, verso “i gangster col diploma, che non sono uguali se li incontri di persona”. E’ forse questo il lato più debole della scrittura di questo album. Si può concordare o meno con le sue tesi, ma non si può fare a meno di notare che certe rime siano ormai scontate, dato che da 4 anni ormai certi esponenti della vecchia scuola hanno intrapreso crociate verso la new school; in questo arco di tempo, diciamo che un certo numero di argomenti è già stato rappato e ri-rappato.
Altro discorso è invece quando si tratta di rievocare momenti passati della sua carriera o della sua vita privata. Qui sì che Marcio si dimostra perfettamente in grado di rievocare immagini e emozioni (vedasi la traccia conclusiva su tutte). Che sia un traguardo artistico che rivendica con legittima spocchia, che sia un racconto intimo sulla sua infanzia, che sia una descrizione della sua “Città del fumo”, non si può fare a meno di rimanere affascinati dalle liriche.
“Ho ritrovato mio padre quando ho fatto trent’anni
Per l’infanzia che ho perso chi è che può rimborsarmi“
– Fuck Up The World
Se lo si considerasse puramente come una sorta di riassunto del suo percorso musicale, come forse vuole essere inteso il disco, magari si riuscirebbe a passare oltre a qualche caduta di stile in quanto a originalità riuscendo ad apprezzare anche esse in ottica di una visione delle cose di un artista navigato, che ha visto tutte le transizioni che lo hanno attraversato e che non condivide la situazione attuale.
Cos’altro? Flow vari, featuring (notare la presenza dell’americano Gudda Gudda su tutti, in una riuscitissima collaborazione, anche se permane la sensazione che gli americani nei featuring nostrani non si impegnino più di tanto) che fanno bella figura pur non aggiungendo granché al disco nella sua totalità e alcune ottime punchline sparse qua e là.
Forse qualche pecca di superficialità in produzioni e scrittura non permettono all’album di essere un ottimo “season finale” per questa sua prima parte di carriera. Rimane molto amaro in bocca per il dislivello di ricercatezza tra i vari pezzi, facendolo risultare un po’ altalenante.
In definitiva, cosa dobbiamo aspettarci ora per la seconda stagione da Mondo Marcio?
TOP 3 brani secondo Simone, membro della redazione:
- “Questi palazzi”: si respira l’hip-hop originale, si sente la difficoltà e le vicissitudini che chi vive nei contesti sociali delle periferie (i palazzi appunto, o palazzoni, come spesso vengono identificate) deve affrontare ogni giorno. l’atmosfera dipinge immagini di quegli ambiti.
- “Sogni nella bottiglia”: le sfaccettature a metà tra il sognante e il malinconico rispecchiano tutto ciò che Marcio vuole trasmettere in questa canzone: il bisogno di continuare a sognare anche nell’attimo in cui si sta per mollare tutto e attaccarsi alla bottiglia. Il concetto viene espresso magistralmente in questa traccia, dal beat al titolo passando per il testo.
- “La canzone che non ti ho mai scritto” : una canzone molto personale in cui Mondo Marcio si mette a nudo, parlando a cuore aperto alla sua città, Milano, raccontandogli di ciò che essa gli ha dato e di ciò che gli ha tolto, e allo stesso tempo parla ad una sua fiamma del passato, pensando a quella che sarebbe potuta essere una vita insieme. Una vera e propria lettera, perfetta per chiudere il disco e, probabilmente, la carriera di uno dei rapper più significativi della storia del rap italiano.
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