Nel marasma della discografia rilasciata ogni giorno, raccontare un’uscita a distanza di diverse settimane diventa sempre più difficile a causa dell’hype e dell’effetto “musica mangia musica” che stiamo soffrendo durante l’era delle piattaforme digitali.
Capita, però, che un progetto riesca a lasciarti spiazzato, dimostrandosi lontano dalle dinamiche fast food dell’industria discografica solleticando l’attenzione all’ascolto nel tempo, facendosi apprezzare soprattutto nel lungo periodo; Ketama ha ottenuto proprio ciò il 3 giugno, un tempo quasi biblico a quasi 3 settimane dalla data se constatiamo l’effetto scadenza a cui si sta assistendo ogni settimana e sembrerebbe, per di più, una pazzia parlarne solo ora, ma Armageddon merita di essere approfondito.
Risultando sin dall’inizio dalla difficile digeribilità, il secondo disco ufficiale dell’artista romano si fa apprezzare col tempo, un passo alla volta, generando curiosità e forzando il fruitore al riascolto per poter carpirne i significati intrinsechi e le diverse atmosfere evocative di cui è pregno.
17 tracce in cui Kety viene messo a nudo consegnandosi all’ascoltatore, mentre in sottofondo i propri umori ed emozioni vengono rappresentati dall’eterogeneità delle influenze musicali, di cui egli stesso si fa artefice e supervisore, assistendo nella creazione delle strumentali la folta schiera di produttori come Drone126, Nino Brown, Night Skinny, G Ferrari, Il Tre, e volti nuovi come Toxicismad, Baby Pantera e Kamyar.
Il comparto sonoro tocca vette elevate di sperimentazione tra i generi dando vita a vere e proprie alchimie sonore dalle diverse sfaccettature: mentre sonorità più esotiche arricchite da chitarre, batterie e sassofoni si mischiano alla trap, episodi affini alla drill assumono tendenze più melodiche e calde, non mancando di brani dalle influenze latine e più reaggeaton o ritmi da club che si discostano dai canoni per rappresentare atmosfere più cupe e ridondanti.
Il vero punto di svolta e di forza attuato traccia dopo traccia è la forte compattezza dell’intero lavoro che non viene destabilizzato dalla costante presenza delle diverse influenze, ma anzi ne scaturisce una coesione perfetta alle atmosfere crude e alle suggestioni più tormentate che lo animano dall’inizio alla fine.
Se da un lato il concetto insito nel titolo ci consegna l’immaginario del vivere ogni giorno come fosse il giorno del giudizio costantemente sull’orlo del precipizio, scavando più a fondo si può scorgere il vero conflitto apocalittico che in realtà si sta consumando nell’animo tormentato dell’artista.
Una continua lotta interiore tra il suo io più ribelle e distruttivo, schiavo degli eccessi e delle droghe, contro la sua parte più intima e malinconica, con le sue fragilità e le sue incertezze che si dimostrano essere il vero fulcro di Armageddon, per la sola ed esclusiva salvezza di sé stesso.
L’introspezione personalissima dell’artista presente in Armageddon raggiunge anche gli ospiti, veri e propri compagni di viaggio nell’inferno della sua psiche, adoperati anche per l’equilibrio e la coesione delle ambientazioni sonore buie, dai toni più caldi.
Dai compagni della 126 come Franco e Pretty Solero, si passa agli amici Carl Brave e Noyz Narcos, oltre a nomi internazionali variegati come l’austriaco Raf Camora e gli spagnoli Kaydy Cain e Young Beef, riuscendo nella difficile impresa di farli coesistere al meglio per la compattezza del disco.
Costanti riferimenti alla morte e autodistruzione si alternano a momenti di lucidità e consapevolezza delle proprie debolezze riflettendosi in una successione asfissiante di tracce più dure e cattive, episodi malinconici, viaggi psichedelici e riflessioni più buie.
Già dall’ “Intro (Vivo Per Vincere)” si viene catapultati nella poetica di ketama del “nati per perdere, vivi per vincere” impreziosito dagli scratch di Dj Gengis che rafforzano il sound tenebroso della strumentale. Tale scenario, ripreso lungo tutta la durata del progetto e soprattutto nella title-track, diventa un inno all’eccesso e al vivere oltre i limiti.
Tutto questo però cambia presto, la consapevolezza delle sue debolezze prende il sopravvento donandoci “Ragazzi Fuori” e “Dimenticare“.
Il primo, singolo di anticipazione del disco, assume le fattezze di un intimo storytelling che, accompagnato da un giro di piano dall’atmosfera nostalgica, fa susseguire scene di vita dell’infanzia, i primi drammi vissuti in gruppo e le esperienze di strada, mentre sullo sfondo la Roma dei sanpietrini dei suoi vicoli assumono una vena introspettiva, culminando con l’omaggio a Gordo, venuto a mancare tragicamente durante la loro adolescenza.
Il secondo, porta a galla i traumi del passato e l’impossibilità di dimenticare gli avvenimenti più dolorosi, aiutato dalla collaborazione con l’amico e compagno di disavventure Franco.
La droga è un riferimento onnipresente nella discografia del rapper trasteverino, suo demone interiore ma anche musa liberatoria dalle oppressioni, ambivalenza che viene riassunta in “Su e Giù“, il cui tema centrale vede la rappresentazione degli sbalzi d’umore provocate dalla loro assunzione, ma anche in “Stop“, brano trap dalle sonorità psichedeliche che vede la droga come mezzo per prendersi una pausa e staccare dalle ansie giornaliere.
La sua essenza più ribelle, invece, dà vita a stacchi distruttivi e incisivi come “Guerra“, banger trap in “Big Bang” e veri e propri manifesti di rivoluzione come “Ribelle“, accompagnata da un coro di bambini.
Armageddon inaspettatamente mostra anche un volto nuovo dell’artista, il suo eclettismo e la voglia di giocare con gli sperimentalismi regalano reaggeton cupi come “Tanga” e un electro-dancehall dalle atmosfere tristi come “L’Ultimo Treno“, ma anche il funk di “Sotto la Luna“, bonus track dalle influenze elettroniche e dalla strumentale cadenzata, accompagnata da un sax capace di arricchire le melodie.
Con “Armageddon” Ketama sembra aver fatto il giusto passo per la maturazione artistica e, soprattutto, personale; un viaggio interiore che porta l’ascoltatore nell’abisso delle paure e dipendenze dell’artista tenute su da un’attenzione maniacale per la costruzione di un sound coerente e soprattutto legato ai racconti del suo vissuto, delle sue inquietudini in una maniera sincera.
Diamogli più di un ascolto.
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