“Magico“, uscito venerdì scorso, segna il giorno in cui, dopo tre anni e un annuncio di quello che sembrava essere il suo ritiro, possiamo ascoltare nuovamente un disco di un nome storico nel panorama rap italiano.
Mondo Marcio è un nome particolare all’interno della scena, visto in modi diversi a seconda dell’età e del periodo in cui un ascoltatore si è appassionato al genere. Per chi, come me, la scintilla è scaturita nel primo decennio degli anni duemila, Mondo Marcio nella maggior parte dei casi risulta un big, un nome storico del rap nostrano, che negli ultimi anni ha raccolto probabilmente meno del seminato. Chi invece al genere ci è arrivato post 2015 con l’ultima grande rivoluzione, farà addirittura fatica a conoscerlo, quasi come fosse un’artista di nicchia.
Io personalmente appartengo al primo segmento di pubblico, conobbi questa figura nel lontano 2012 con il disco “Cose dell’altro mondo” (tutt’ora uno dei miei preferiti tra i suoi) per poi recuperare classici come “Mondo Marcio” e “Solo un Uomo”, innamorandomi dello stile profondamente legato agli States e alla cultura Hip-Hop, arricchito da una penna fine e mai banale.
Chi mi chiede “ma che fine ha fatto Marcio?” (e fidatevi, è capitato) mi coglie sempre impreparato. Non so mai cosa rispondere a questo quesito, in primis perché ai miei occhi non è mai cambiato, secondariamente perché di fatto non riesco a comprendere le dinamiche che lo hanno tagliato fuori dal giro grosso del rap italiano.
Ma oggi non siamo qui a parlare di questo.
Chi come me conosce bene la discografia del rapper milanese noterà come questo disco ricalchi la struttura tradizionale utilizzata per impostare i suoi progetti: un dualismo che vacilla tra pezzi profondi e personali ed altri di pure barre, tra autocelebrazione e sfogo. Un equilibrio che ha sempre permesso ai suoi album di risultare variegati e godibili, senza mai avere momenti di noia o pesantezza. L’unico che si discosta parzialmente da questa struttura è stato l’ultimo precedente a questo, “Uomo!”, disco dedicato alla strada che persegue questa lettera d’amore verso quello che è il suo habitat naturale.
Proprio di dualismo voglio parlare cercando di raccontare “Magico”. La percezione è di un uomo, Gian Marco, che si mette a nudo come raramente si è visto fare raccontandosi in un turbine di sentimenti crudi e dolorosi. Troviamo un rancore mai spento per quanto non gli è mai stato riconosciuto a fronte di un amore e un sacrificio unico nei confronti della cultura hip-hop, palesato in più momenti che raggiungono l’apice in “Fuoco e Ghiaccio” con la barra emblematica che lo descrive alla perfezione:
“Qua ti tagliano la testa, San Giovanni Battista
Mondo Marcio – Fuoco e Ghiaccio (Magico, 2022)
Dopo il fumo cosa resta? Penso al buio, fumo shisha
Sogni di essere Jay-Z nella patria di Striscia La Notizia”
A testimoniare il risentimento verso un pubblico e un contesto sociale che non condivide i suoi ideali e non riesce a cogliere la volontà di divulgazione che hanno sempre contraddistinto le intenzioni di Marcio. Più personale, invece, è il rapporto difficile e a tratti quasi malato con l’amore, raccontato in modo schietto e diretto in brani come “Bambola Vodoo” e “Senza Veli”, che personalmente non sono riuscito ad apprezzare a pieno per l’eccessiva centralità del sesso nel racconto, ma rimane una tradizione storica del rap quella della narrazione in questi termini e parliamo di semplice gusto personale. In altre canzoni invece il punto di vista è più emotivo ma non per questo meno sofferto e complicato, come “Scema”
A contrapporsi a queste catene c’è una libertà che compete invece all’artista, a Mondo Marcio, libero dai vincoli del mercato, che pensa e progetta il disco esattamente come vuole, senza rincorrere la hit o determinati usi ricorrenti nel rap di oggi. Sceglie di sperimentare nuovi modi di cantare, sceglie di dare importanza agli strumenti come la chitarra, ne è un esempio il riff di “Show Off”, o il basso, di grande fascino e poco utilizzato in Italia, che si percepisce chiaramente nella già citata “Bambola Vodoo”. Marcio sperimenta, prova, si mette in gioco, nonostante una carriera che potrebbe permettergli di mollare la presa e fare semplicemente il suo, forte di dimostrazioni già date. Invece, dopo quasi vent’anni nella scena, ha ancora fame e voglia di fare sempre meglio, di innovarsi, di crescere artisticamente, ma senza mai abbandonare quello che è il suo background e la sua passione intramontabile, quell’hip-hop che ha sempre spinto e lodato, e che tanto gli ha dato nel tempo.
Il risultato è un disco maturo, personale e identitario, che si percepisce fin da subito essere di Mondo Marcio. Un disco che, forse, non è effettivamente “Magico”, ma racconta perfettamente la diversità tra uomo e artista, sempre in bilico tra libertà e dannazione, tra benefici e svantaggi, dannato da un risentimento che a poco a poco lo ha logorato fino all’esclusione (a cui lo stesso artista mai si è opposto) dalla scena che lui stesso ha contribuito enormemente a generare.
La speranza è che col tempo gli venga riconosciuto quanto merita, in modo da restituirgli quella serenità che da tanto cerca, quel istante “Magico” in cui uomo e artista potranno finalmente coesistere in pace, libero dalle catene che mai si è posto nella produzione della musica, sua raison d’être che tanto gli ha dato e altrettanto, a quanto pare, gli ha tolto.
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