Era il 2013 quando per la prima volta ascoltai Nayt e trovarmi oggi a parlare di “Habitat”, il suo ultimo album, mi fa sentire un po’ sconnesso con la percezione del tempo che passa. Eppure per molti il rapper romano sembra quasi un emergente, quando in realtà è un veterano.
Nayt, considerato fin da giovanissimo un rapper di sicuro successo, si è modellato con calma ed è diventato un artista consapevole dei propri mezzi e delle proprie responsabilità. Il timbro lo ha contraddistinto negli anni e ha rappresentato un plus che gli ha permesso di alternare la figura del Nayt rapper con quella del Nayt “cantautorale”, fino a farla diventare una co-presenza sistematica.
Con “Habitat” l’artista romano non si è spinto oltre: come con i dischi precedenti, già sapevo cosa sarei andato ad ascoltare, perché Nayt ha la stessa formula da anni e non gli interessa dover sorprendere. Non è responsabile di questo, per lui conta solo essere sincero e in pochi lo sono come lui nei testi e nel modus operandi. Questo porta il bene e il male in pasto agli ascoltatori.
Il disco non ha picchi, è equilibrato, oscilla da un estremo all’altro del continuum malinconico di Nayt che, quando lo è meno, diventa irascibile, tanto per estremizzare. Cambia il tono, diventa polemico verso l’industria e verso tutto ciò che gli ha provocato dolore. Ma sembra come se Nayt si nutrisse di ciò, di tutta l’emotività, un po’ lo lascia intendere:
“sono belle le cose che scrivo, più intenso è il male che ricevo”
Nayt – Romantico Finale (Habitat, 2023)
E’ sempre stato questo e solo i più disattenti potevano pensare che Nayt fosse “quello dei dissing” o “uno di quelli che rappa veloce”. Poi sa fare uno e l’altro se vuole, ma credo che l’episodio de “Gli occhi della tigre” gli abbia donato un po’ di esperienze, oltre a una maggiore notorietà, portandolo fino ad “Habitat”, con i progetti precedenti che hanno lo stesso stampo: c’è sempre più William che Nayt. A volte forse troppo per qualcuno.
In “Habitat”, infatti, rime e concetti sono il punto cardine, e spesso riguardano lui in prima persona. Anche musicalmente non importa seguire la tendenza, Nayt insieme a 3D ha costruito un’identità marcata e riconoscibile. Ma forse è arrivato il momento di cambiare qualcosa?
Sono diverse le critiche mosse all’artista romano, ma durante l’ascolto di questo disco non ho potuto fare a meno di percepire la tanta sofferenza che vuole trasmettere. Si percepisce ancora di più lo scopo terapeutico che sembra voler avere per i propri ascoltatori. Nayt è consapevole di essere anche fragile, così come s’intitola la prima traccia del disco.
Scrivere di sé è sempre stata una sua peculiarità e mostrarsi spoglio di ogni finzione ha contribuito a costruire una comunità molto vicina all’artista, si percepisce questo affetto e Nayt anche lo sa. Sa di dover parlare a persone fisiche e non a un’identità astratta (come può esserlo la semplice definizione di “fanbase”). Sente di avere una responsabilità, e gli piace.
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