Già dall’annuncio della tracklist, 10, il primo disco di Drillionaire fece storcere il naso a molti: ci si lamentava della scelta dei soliti nomi, della poca originalità nelle combinazioni, titoli che non facevano ben sperare ed altri dettagli che non mettevano quest’opera sotto una buona luce.
Ora però è uscito, lo abbiamo ascoltato e possiamo capire se le brutte sensazioni erano fondate o meno. Lo erano.
Molto spesso – sarà capitato a chiunque – quando ascolto un disco ad un certo punto dico:
“Ecco questa è la hit estiva per pompare gli stream.“
Nulla di male in ciò, il problema è che ascoltando questo 10 quella stessa frase viene in mente almeno sette o otto volte. Il disco è un concentrato di artisti in hype che si limitano a fare quello per cui sono in hype: Lazza sarà nel mood della sua “Cenere” e Sfera farà strofe corte e ritornelli.
Ho citato proprio Lazza e Sfera in quanto quasi onnipresenti all’interno del progetto ma – paradossalmente – irrilevanti, gestiti male e banalizzati a non finire.
E sta proprio qua il vero difetto di 10: banalizza troppo.
Per andare sul sicuro verso il successo, per inseguire una formula infallibile, garantito va a fallire verso una landa desolata di già sentito e non brillante.
Ma se era così garantita la buona resa come ha fatto 10 a scatenare tanto malcontento?
Non è la prima volta che siamo davanti ad un prodotto banale che non spicca particolarmente in nulla, allora perché 10 è stato, anche dal pubblico di massa al quale è rivolto, accolto così male?
Perché il pubblico si è stufato dei soliti nomi, delle solite accoppiate e delle solite tematiche.
La tracklist, dalla quale siamo partiti per entrare in questo discorso, sembra generata da un’intelligenza artificiale per quanto è scontata; il pubblico è stanco di questa scena che rischia di essere sempre più stantia se continua a proporsi unita in prodotti come questi.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare però, l’idea alla base, quella del calcio, è molto interessante, originale ed il disco è prodotto molto bene, con picchi interessanti.
Ma anche nei pregi vediamo l’altro lato della medaglia: tolti dei riferimenti nella title track, solo Salmo ha rispettato l’idea di base, tutto il resto sembra preso a caso da una qualunque playlist e messo in ordine sparso su una suite, sì ben costruita, sì con bei punti, ma che allo stesso tempo ha punti anche molto bassi, si veda “90 Special” o “Fashion”, dove praticamente ci si limita a riproporre hit del passato che hanno funzionato per creare hit nel presente, strada già battuta ed abbandonata da Tony Effe quando realizzò Boss.
Questo disco, fosse uscito nel 2021 sarebbe stato apprezzato da tutti, ma la gente sta prendendo consapevolezza che può pretendere di più dagli artisti perché essi stessi hanno dimostrato di poterlo fare. L’impressione generale è che i big si siano adagiati sugli allori di un successo senza dubbio meritato, ma che va mantenuto.
La scena emergente, che solitamente viene ingerita da quella vecchia entrando a farne parte, visto il clima generale potrebbe davvero fare come Zeus con suo padre Crono e distruggere la precedente, imponendo un nuovo stile, del quale, dopo l’ascolto di “10“, sento veramente il bisogno.
Nessun commento!