Quando abbiamo letto “Pizza kebab” alla sezione titolo abbiamo fatto tutti un salto indietro nel tempo. A quel biennio tanto acclamato dagli appassionati della scena trap in cui Ghali era appena diventato un nome caldo, e pubblicava i primi singoli di anticipazione a quello che sarebbe stato il primo album.
In un certo senso, abbiamo rivissuto (almeno io) anche quella sensazione di aspettativa verso una “prima volta” di questo artista. Quel “vol. 1” ricorda, infatti, l’usanza tipica dei mixtape, ed è come se questo potesse essere in qualche modo il primo tape della carriera di Ghali (ovviamente intesa come quella post 2016, post “Cazzo mene”, per intenderci).
La verità è che ufficialmente si tratta del nuovo album, un anno e mezzo dopo un “Sensazione Ultra” che ha probabilmente raccolto meno di quanto sperato, spingendo l’artista a un riesame del suo operato. Se la sperimentazione non ha pagato, perché non provare la strada della semplicità, ritornando agli albori con quanto si è bravi a fare. Dopottutto è un qualcosa di già collaudato, di certa funzionalità, una zona di comfort che in realtà non è tale, ma è semplicemente quanto l’artista sa di saper fare al meglio.
Che questo disco venga pubblicato poco dopo “X2VR” probabilmente è pura coincidenza, ma è innegabile come questo finale del 2023 sia stato un ritorno al 2016, vuoi per una lettura delle dinamiche commerciali che stanno spingendo nuovamente la trap “old school” in cima alle classifiche, vuoi per una nuova generazione di ragazzi dedita a quel particolare sound, vedi Artie 5ive, Tony Boy o nerissima Serpe, e chiaramente le due cose sono vicendevolmente causa e conseguenza di se stesse.
Ghali si svincola dalla necessità di ricrearsi in nuove forme e, per una volta, guarda al passato invece di guardare al futuro, riportando prepotentemente le sue radici al centro dell’attenzione e riscoprendo le atmosfere che tanta fortuna gli hanno portato, la “Pizza kebab” in tutte le sue forme, aggiungendoci anche un featuring che riporta anche noi indietro nel tempo, quello con la Dark Polo Gang, che, seppur incompleta visto la mancanza di Wayne, fa venire gli occhi lucidi agli appassionati rivedendo Side con il resto della Gang.
La semplicità è la parola chiave dell’intero progetto, dalla cover ai beat, passando per la scrittura. E attenzione, non per forza questo aggettivo deve avere accezione negativa, anzi. Questo è l’esempio perfetto di come, con delle buone basi, non sia necessario andare alla ricerca della luna per proporre un disco valido.
Le atmosfere sono quelle ipnotiche che riconduciamo al primo Ghali, inizialmente più cupe poi via via più distese, fino ad arrivare al cuore dell’artista alla fine, con quelle vibes arabeggianti a lui tanto care. Le parole che fluiscono dalla penna del rapper sono quelle di un ragazzo italiano di seconda generazione che rivive il male a cui questo mondo l’ha sottoposto, mai cos’ attuali come in questo momento, grazie all’esplosione di ragazzi come Baby Gang che, di queste tematiche, hanno fatto il proprio cavallo di battaglia.
Ma non c’è solo questo. Ghali parla anche di com’è ora, ma in una chiave diversa, come se l’artista di “Sensazione Ultra” abbia provato nuovamente la fame di “Cazzo Mene” e l’abbia rifatta sua. Per un disco (o forse più, chi lo sa) il primo e l’ultimo Ghali coesistono. Ed è da questa coesistenza che si palesa una caratteristica che ha sempre avuto, ma che, personalmente, non avevo notato così chiaramente: nella sua scrittura si trovano frasi di un peso incredibile, cariche di emozioni come sofferenza, tristezza, nostalgia, rabbia, ma che, appunto, rimangono frasi. Le troviamo sospese in mezzo a sezioni di testo più semplici, alle volte scanzonate, quasi a volerle nascondere in qualcosa di leggero.
L’immagine restituita da questa abitudine è quella di un ragazzo timido, che ha sofferto molto e che ancora soffre, che vorrebbe esternare le proprie emozioni, ma che ha troppa paura per farlo fino in fondo, rifugiandosi nel suo mondo ideale dove tutto è bello e positivo. Ecco, quest’immagine si traduce nei testi di Ghali, soprattutto in questo album.
Che sia un album o un tape mascherato per stare dietro la corsa allo streaming di questi anni ’20 poco importa, ciò che conta è che “Pizza Kebab” è un passo indietro, ma di quelli necessari per farne due in avanti. Chissà che non diventi la zona sicura di Ghali, quella dove fermarsi per riflettere su se stesso e capire, ancora una volta, la propria strada. Il “vol.1” dopotutto, non è li per niente.
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