Di “Tunnel” si potrebbero dire infinite cose e sollevare altrettante questioni, dopotutto Simba La Rue è uno di quegli emergenti che vengono già percepiti come big affermati, da qui l’hype quasi esasperato intorno a quello che è il suo primo disco ufficiale.
Ci sono i fan che gridano già al disco dell’anno (probabilmente eccessivo visto che la data di uscita indica il 5 gennaio e che venerdì prossimo pubblicano un gruppo di ragazzini che risponde al nome di Club Dogo), gli hater lo odiano per tutta la questione criminalità/maranza di cui tanto si è discusso negli ultimi mesi.
Io, non avendo mai dato particolare attenzione a questo artista, spero di stare nel mezzo, e di riuscire a dare una visone quanto più obiettiva possibile di uno dei dischi d’esordio più attesi degli ultimi anni.
Partiamo da un concetto fondamentale, che ci aiuterà a comprendere cosa c’è in questo album oltre al Simba che già abbiamo avuto modo di conoscere, quello di “Tunnel”.
Il tunnel è di per se un elemento architettonico di transizione che conduce da un luogo all’altro, all’apparenza cupo e quasi minaccioso, ma necessario per attraversare un tratto impervio. Questa parola tuttavia viene usata anche metaforicamente per riferirsi ad una situazione sociale complicata, ad esempio “il tunnel della droga” o, tornando ad a tematiche care all’artista in questione “il tunnel della criminalità”, che però in questo caso indica una situazione stagnante, priva d’uscita agli occhi esterni che osservano passivamente, come fosse un inferno di dantesca memoria e di conica forma verso una fine inesorabile.
Questo concetto ci è utile a dare una prima chiave di lettura al disco, dal momento che entrambe le interpretazioni ritornano: troviamo infatti una componente di racconto, di street cinema, in cui Simba continua a raccontare il suo vissuto a stretto contatto con la microcriminalità, fatto di armi, rapine e spaccio, con le conseguenze che essa comporta. Il percorso intrapreso fin da inizio carriera continua, ma al suo fianco si ha anche una narrazione parallela di rivalsa, di uscita da questo tunnel grazie alla musica, che permette a Simba di staccarsi da quella negatività e rincorrere il suo sogno. Ce lo suggerisce lui stesso in “SUBMARINER”:
“Non faccio più il delinquente, la musica paga bene
Simba La Rue – SUBMARINER (Tunnel, 2024)
(…)
Stai lì a fare i meme, sto fatturando i milli
Cerco di fare il serio e non tornare a far crimini”
Questo dualismo concettuale ritorna anche nella copertina del disco, una vera e propria backroom, perfetta rappresentazione del tunnel da cui Simba sta cercando una via di fuga.
Per chi non lo sapesse, una “backroom” è un fenomeno di internet che sta ad indicare una sorta di realtà parallela sbagliata dai tratti liminali, letteralmente un luogo di transito e connessione privo di soggetti, reale o immaginario, che genera un senso di inquietudine o nostalgia. In sostanza, esattamente quello che Simba ha dovuto attraversare per arrivare ad oggi, al suo primo disco. Non è un caso che il suo punto di vista, quello che ci mostra nella copertina, si trovi alla fine della sezione oscura, illuminato dall’uscita vicina.
Approfondendo il disco, viene spontaneo partire dall’intro, traccia omonima dell’album (“TUNNEL” appunto) in cui il rapper cerca di farci entrare nella sua mente, su un beat distorto, che ricorda in qualche modo l’atmosfera liminale, e che, se colto, ci permetterà poi di recepire il disco esattamente come Simba se l’è immaginato, riuscendo quindi a cogliere le varie sfumature che stanno dietro ai tratti distintivi che lo hanno finora fatto spiccare.
In fin dei conti di questo si parla, di un ragazzo che ha sofferto molto e che ha cercato ogni modo per riscattare la sua vita. Ci viene raccontato nell’outro “AMORE DI MAMMA”, forse una delle prime volte in cui Simba si apre per davvero al suo pubblico.
Vi sembrerà strano parlare dell’intro e dell’outro come incipit per raccontare un disco, ma in questo caso calza a pennello in quanto perfette rappresentazioni poi del disco stesso. In tutte le altre tracce infatti, c’è una continua alternanza di queste due anime di Simba, quella criminale e quella del rapper che vuole parlare della sua vita privata, quelle sfaccettature di esistenza che finora non erano mai emerse, ma che faticano vista l’intimità e la sofferenza che trasudano.
Il risultato è un ragazzo che sembra aver preso coscienza di non poter più raccontare certe cose, non per sempre quantomeno, e che sta provando a cambiare la sua musica e la sua vita, ma che gli riesce ancora difficile, come qualsiasi nuovo inizio. Quando l’intimità esce troppo prepotentemente sembra quasi rintanarsi ancora in quello che era prima, in quella figura street che l’ha portato dov’è ora.
Non è un caso che le tracce più introspettive siano quelle dal beat meno cupo e, all’apparenza, meno affine al suo stile. Non è un caso nemmeno che in queste tracce le sue lingue madri escano con maggiore incisività, come in “BÂTIMENT” con Sfera Ebbasta, rendendo il tutto ancora più personale.
“Tunnel” è esattamente quello che Simba La Rue avrebbe potuto fare nel suo disco d’esordio: raccogliere quanto seminato fino ad ora e aprire le porte al futuro, convincendo il pubblico che già lo segue e mettendo la pulce nell’orecchio anche a chi, come me, non era particolarmente interessato a questo artista.
Può avere pregi e difetti, non è un disco perfetto ma è pur sempre un disco d’esordio, non ci si può e non ci si deve aspettare la perfezione assoluta; quello è un privilegio per pochi predestinati. Possiamo dire però che gli obiettivi principali sono stati centrati: abbiamo conosciuto questo ragazzo un po’ più in profondità e abbiamo scoperto che la sua maturità, artistica e non, sia più vicina di quanto avremmo potuto pensare.
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