Siamo onesti, il vociare attorno ai Maneskin e al loro successo è una pratica che ormai ha stancato anche il fruitore musicale meno navigato. Motivo per cui non ci vedrete impegnati in una crociata pro o contro i Maneskin, dato che, come suggerito dal titolo, la pagina rimane sorretta da ben altri riferimenti artistici. D’altro canto, un recentissimo post di Andrea Scanzi, a tema Maneskin, appunto, non può non suscitare delle riflessioni che risulterebbero interessanti per qualunque appassionato in materia.
Poiché di fronte a colorite espressioni del calibro di “in questi tempi di musica quasi sempre pietosa”, o quando, riferendosi alla fase storica corrente, decide di chiosare con un perentorio “musicalmente stitica e involuta”, non si può che deporre le armi e sventolare una rassegnata bandiera bianca. Un atteggiamento, questo, che non farebbe altro che promuovere una visione a dir poco distorta del reale, in cui gli unici periodi in qualche modo degni di valore, dal punto di vista musicale, coinciderebbero puntualmente con le tendenze attive prima o durante gli anni giovanili di Scanzi e dei simpatici ‘colleghi’ appartenenti alla sua generazione.
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Ad esempio, bisognerebbe ricordargli dell’ascesa, avvenuta negli ultimi anni, di artisti del calibro di Kendrick Lamar, Kanye West, Dave e J. Cole in ambito hip hop. Bisognerebbe ricordargli dell’ascesa del post-punk e del post-rock britannici, operata da band del calibro di Squid, Fontaines D.C., black midi, Dry Cleaning e Black Country, New Road. Bisognerebbe ricordargli del buon pop da classifica dominato da un nome come The Weeknd, uno che ha basato la sua carriera artistica sulla decisiva influenza di Michael Jackson, rivoluzionando in maniera significativa il pop R&B a livello globale. Per non parlare poi di Frank Ocean e Travis Scott. Ma dubito che il buon Scanzi sia mai stato al corrente di fenomeni simili, comodo come si trova fra le effigi di mostri sacri quali Radiohead e Pink Floyd, da sbandierare con orgoglio ogniqualvolta dovesse presentarsi il concreto rischio di un superamento (e non di un disinteressamento) dei suddetti nomi.
Rapteratura ci tiene a precisare che non ha assolutamente nulla contro il signor Scanzi, il quale non può che essere stimato da un punto di vista professionale, e a maggior ragione quando si limita a discorrere di politica, o magari circa la degustazione enogastronomica. La musica, invece, sarebbe meglio lasciarla a sezioni ben più competenti ed aggiornate. Sezioni che si sono stancate di dare spazio ai soliti quattro nomi attivi in passato, riconosciuti come gli unici realmente degni di considerazione o valore speculativi.
Nomi che, in un riciclo continuo dei soliti aneddoti ad essi connessi, non fanno altro che alimentare un giornalismo musicale stagnante, figlio e schiavo della realtà oppressiva che ha creato, e in cui ha volontariamente deciso di rinchiudersi. Nomi che in Italia, guarda caso, risultano sempre vicini al mondo del rock. Noi, dunque, continuiamo a ripeterlo: la buona musica non è finita negli anni ’90.
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