Cos’hanno in comune i Metallica e Salmo? Apparentemente, nulla, se si guarda al fatto che la loro musica è ascrivibile a due generi, il metal e l’hip-hop italiano, che si direbbe non abbiano nulla in comune.
Eppure, una relazione c’è; anzi, ce ne sarebbero diverse.
C’è un detto, che recita “corsi e ricorsi storici”, secondo cui gli eventi presenti sono molto spesso in relazione ad altri passati, come in una sorta di leitmotiv che si ripete nel tempo, seppur mai uguale a se stesso e in contesti a prima vista differenti.
Posta questa massima come punto di partenza, possiamo già scovare la prima relazione tra queste due realtà musicali: entrambi, infatti, hanno il grande merito di aver portato nelle radio e nelle case della gente generi come il metal e il rap, notoriamente controversi e visti, tra i vari stereotipi, come generi da disadattati; cosa ancora più importante, questi stessi generi sono riusciti grazie a loro a raggiungere vette prima credute utopiche e irraggiungibili.
I loro percorsi musicali, poi, presentano notevoli analogie – almeno per quanto riguarda i primi cinque dischi, visto che poi i Metallica ne hanno pubblicati altri cinque, collezionando innumerevoli incassi, detrattori e supposte cadute di stile -, a parte forse qualche lieve differenza, comunque trascurabile.
I album (“Kill ‘em all” e “The island chainsaw massacre”)
Nel 1983 e nel 2011, una band underground della California e un emerito signor nessuno dal bel mezzo del nulla sardo (per citare gli Slipknot, altra band metal dell’Iowa, uno Stato degli USA davvero in the middle of nowhere) si rompono il cazzo di stare nella marmaglia underground e danno alle stampe dei dischi di una violenza, sonora da una parte, lirica dall’altra, inaudita per i tempi. A colpi di sangue e follia distruttiva, questi nuovi vulcani esplosi nelle profondità oceaniche di metal e rap italiano sono pronti a scatenare uno tsunami mai visto prima.
II album (“Ride the lightning” e “Death USB”)
Nuova fatica discografica per i thrashers della Bay Area e il teschio della Sardegna, che sembrano aver colmato le lacune dell’esordio. Produzioni impeccabili, primi successi e fan in aumento: i loro nomi iniziano a circolare e manca davvero poco alla consacrazione…
III album (“Master of Puppets” e “Midnite”)
Si dice che il terzo album sia lo spartiacque tra gli artisti sì bravi, ma mediocri, e quelli cui il futuro ha destinato fama e gloria. Ebbene, in questo caso vale la seconda opzione: Master e Midnite sanciscono il raggiungimento della vetta da parte dei ‘Tallica e di Lebon. Quasi impensabile che dei soggetti tanto brutali e senza compromessi potessero con tale disinvoltura mandare in tilt i propri mondi arrivando tra l’altro primi in classifica. Classici istantanei.
IV album (“…and justice for all” e “Hellvisback”)
Tempo di cambiamenti: i Metallica sono costretti a trovare un nuovo bassista dopo la tragica morte di Cliff Burton, Salmo rescinde con Tanta Roba Label e firma con Sony. Entrambi si prenderanno una lunga pausa di riflessione prima di pubblicare Justice e Hellvis. Sono dischi dal tono molto perentorio, quasi ad affermare la loro presenza duratura nel giro, dalle strutture complesse e virtuosistiche, quasi barocche in certe circostanze: i ‘Tallica ci danno dentro con una furia incontrollabile, forse ancora traumatizzati dalla scomparsa di Cliff, tra partiture ai limiti del cervellotico e assoli da capogiro; Lebon, dal canto suo, forte di una produzione musicale superlativa, si concede il lusso di metriche e punchlines da urlo. Nonostante l’ennesimo boom di vendite ed ascolti, sorgono le prime critiche: da una parte, l’inudibilità del basso, sabotato in fase di registrazione dal batterista Lars Ulrich; dall’altra, la poca sostanza delle liriche in confronto alla metrica, che dopo una serie di ascolti attenti possono far perdere punti al disco. Non che Justice e Hellvis siano brutti album, ma in entrambi manca quel tassello, quel quid che avrebbe reso il tutto più pieno e magari un nuovo capolavoro.
V album (“Metallica” – o Black Album – e “Playlist”)
I dischi che frantumano i muri che separano metal e rap dal mainstream e proiettano i Metallica e Salmo nell’olimpo della musica. Le vendite raggiungono numeri stratosferici, il successo ormai è più che garantito; tuttavia, iniziano ad arrivare nuove critiche, ancora più pesanti rispetto alle precedenti. Entrambi sono accusati di essersi rammolliti, vista la minore pesantezza musicale dei nuovi album, come se si fossero “svenduti” per vendere più copie. In particolare, due canzoni iniziano a far gridare allo scandalo: da un lato, Nothing else matters, dall’altro Il cielo nella stanza, due canzoni d’amore ritenute dai più assolutamente fuori contesto, brutte, smielate e chi più ne ha più ne metta. A dire il vero, le due canzoni sono pure arrangiate discretamente bene, ma sembra che i fan di ciascuno non abbiano saputo digerire che i loro idoli, duri, puri e cazzuti, siano potuti cedere al “lato dolce”. Forse questo è anche per quella sorta di gelosia che caratterizza l’ascoltatore nei confronti del suo artista preferito, che fa vedere l’accesso al mainstream come una sorta di tradimento, ma questo è un altro discorso che affronterò in un altro articolo, sempre che mi ricordo di scriverlo.
Qual è lo scopo di tutta questa tiritera, quindi?
Abbiamo notato che queste due realtà, Salmo e i Metallica, siano stati i principali benefattori dei propri generi, portandoli a un successo che nessuno fino ad allora si sarebbe neanche mai potuto immaginare. Chi critica per il fatto che si siano svenduti, che la ricchezza e la fama abbiano fatto perdere loro la verve, manca di visione di insieme e ha necessità di imparare a contestualizzare meglio. Quando si è poveri, affamati e, soprattutto, sconosciuti, la rabbia sorge spontanea e, sincera com’è, attira nutrite schiere di gente che si rispecchia in questa rabbia, in qualunque modo essa venga espressa. Arrivati al successo, però, la rabbia spesso non ha più granché motivo di esistere, perché molti dei bisogni sono stati soddisfatti e ci si rende conto che tutto ciò che si disprezzava così acremente non era che quello che si voleva a tutti i costi, consciamente o meno. Per dirla alla maniera di Salmo…
“Sono diventato tutto ciò che ho sempre odiato… e mi piace!”
Di Luca Ferlisi
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