Nuovo episodio: monologo #1
*Sorseggia una tazza di infuso altamente
zuccherato*
Salve a tutti!
*Si pulisce le labbra con la manica destra*
Quest’oggi vi porto un argomento molto
delicato:
il vero
senso del rap
Lo scorso pomeriggio, intento a far compagnia
al mio letto, sfogliavo la mia home di Facebook come fosse un Geronimo Stilton
fresco di Mondadori, passando da foto di gattini a video senza un vero senso –
esattamente le mie due cose preferite.
È stato in quel momento che mi sono imbattuto
in un post altamente provocatorio, dove l’autore scriveva: “Se il rap non parla
di politica, non è rap”
“Calmati”, mi dicevo, “Sarà solo un bait da
quattro soldi”, invece non era altro che un perfetto spunto di riflessione.
Perché il rap è spesso affiancato alla
politica?
Per rispondere a questa domanda bisogna
tornare all’inizio degli anni 90: la cultura hip-hop stava quasi per compiere
20 anni, ma nonostante la maggior età l’Italia ne era venuto a conoscenza da
pochissimo. I primi ad accorgersi di questo movimento in espansione sono stati
i ragazzi dei centri sociali. Evidentemente troppo saturi della musica punk,
hanno visto nel rap un’opportunità per dire la loro attraverso rime e beat, una
sorta di poesia a 90 BPM. Erano i giovani di sinistra che cercavano solo un
modo per lanciare il loro grido di protesta e cambiare il mondo. È per questo
motivo che le prime canzoni rap italiane furono veri e propri inni contro il
sistema: era l’epoca delle posse.
Negli Stati Uniti, invece, la genesi è stata
completamente diversa: della festa nel ‘73 di Kool Herc ne parlano milioni di
siti e documentari, quindi vi risparmio la favola della buona notte.
C’è però da affermare che il rap originale non
era nulla di politico o addirittura di protesta; era però un modo per
divertirsi e far divertire le persone presenti, attraverso parole dette in rima
a ritmo di hit disco messe in loop.
Il rap di protesta aspetta di sorgere fino al
1982, con “The Message” di Grandmaster Flash and The Furious Five, un
predecessore del Core rap come lo conosciamo oggi.
Intendo solamente dire che questo genere nasce
da temi disimpegnati, ma dà vita successivamente ad un numero iperbolico di
sfaccettature e sottogeneri, per cui non può essere legato ad uno solo dei
tanti.
La caratteristica che unisce tutte le facce
del dado è la libertà d’espressione, l’opposizione ai canoni, e per fortuna è
un tratto che non è mai stato soppresso.
Per questa ragione mi sento di correggere quel
punto di vista tanto discusso:
Se il rap non è libero nella sua espressione, non è rap.
È questo, infine, in vero senso dell’hip-hop.
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