Nuovo episodio: monologo #3
È mercoledì sera, salgo in macchina, inserisco la chiave,
allaccio la cintura, metto in moto, ma prima di partire scelgo in maniera
casuale un album che mi possa far compagnia lungo il tragitto di circa 100km,
ora posso finalmente mettermi in viaggio.
…
Assurdo
…
Sono solamente a metà strada ed è già ripartita l’intro del
disco, tra me e me penso: “È già finito?”, ora devo distrarmi dalla guida per
sceglierne un altro, mentre continuo a riflettere sul fatto che un intero album
sia finito in neanche 40 minuti…
Non riesco a capire se sono le tracce ad essere troppe poche, le
canzoni troppo brevi o entrambe le cose…
*Qualche giorno dopo*
È già venerdì, nella notte ci sono state svariate nuove uscite
in ambito musicale, da singoli ad album, passando anche per qualche EP.
Sfogliando le nuove uscite su Spotify rimango ancora una volta sorpreso dalla
durata media dei brani e dei dischi.
Mi soffermo a pensare e realizzo che oggettivamente la struttura
delle canzoni è cambiata, siamo passati da un minimo di tre strofe e ritornelli
ad un massimo di due strofe e un numero più alto di ritornelli e bridge. Sto
provando a capire a cosa sia dovuto questo cambiamento: gli artisti hanno meno
voglia di scrivere? Per la legge della domanda, sono portati ad offrire un
prodotto di questo tipo perché la soglia di attenzione degli ascoltatori è
drasticamente scesa?
Decido quindi di provare a cercare qualche dato più oggettivo…
Negli ultimi tre dischi di Kendrick Lamar la durata media dei
brani è passata da 5 minuti e 37 secondi a 3 minuti e 57 secondi.
Il premio Pulitzer non è ovviamente l’unico, questo è un
fenomeno che ha coinvolto tutto il mondo musicale, ogni tipo di artista e
genere.
Ma perchè? Sarà forse per i meccanismi di vendita delle piattaforme
di streaming? Siamo noi ascoltatori ad annoiarci più facilmente e quindi
diventa pesante ascoltare un intero album di 17/18 tracce della durata di 5
minuti?
*Continuo a cercare*
I Migos, con Culture II, hanno debuttato al primo posto
nonostante i 106 minuti di durata e le 24 tracce, quasi un paradosso… questi
mega-album hanno quindi ancora motivo di esistere?
Sembrerebbe di sì, perché aumentando il numero di tracce si
accumulano più streaming per l’intero disco, a rigor di logica dovrebbe essere
quasi vantaggioso. Molti artisti decidono di ampliarli con versioni deluxe
quando il disco supera il suo apice nel grafico che indica le vendite; la retta
comincia quindi ad abbassarsi e per darle una scossa questo plug-in risulta
essere un’ottima strategia per riportare verso l’alto il numero di streaming e
copie fisiche vendute.
Io però, che ancora non ho ben capito i meccanismi relativi alla
soglia di attenzione di ascoltatori e lettori, per non rischiare di annoiarvi,
la finisco qui.
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