Io, te e un artista abbiamo in comune almeno una cosa: quando siamo in gran difficoltà, tendenzialmente imprechiamo, o invochiamo una qualche divinità. In ogni caso, sentiamo il bisogno di interpellare un’entità che qualifichiamo come superiore, più potente e salvifica. Da lei richiediamo sostegno, discolpa o perdono. Se la blasfemia è la versione più semplificata di questo procedimento, l’invocazione artistica ne è l’esito più raffinato.
L’artista, più nel dettaglio, e in particolare il musicista, esigono un volto che sostenga il loro sforzo creativo e le loro performances. La Musa che invocano all’incipit delle loro opere non è un’amica, è raramente benevola e fa di tutto per nascondersi. Questo ne conferma il fascino potente: il musicista la ama perché esige con lei un dialogo intimo, del tutto libero e mai scontato. La ama per esserne soverchiato e assorbito del tutto. La ama prima del palco, la idolatra dopo il successo, la bestemmia nell’insuccesso. La folgorazione è istantanea, l’unione è mistica. Nel terreno che gli è proprio (il testo), l’artista può togliersi la maschera, farsi corpo nudo, sciogliere le sue ferite e le sue debolezze in versi e in rime. La sua mano, tremante, muove sul foglio sotto la supervisione dell’altra, sicura; anzi, la mano di lui è la mano di lei. Il parto creativo è di entrambi: l’uomo-artista ha pochi meriti; l’omaggio va a Lei, ispiratrice.
Questa era l’idea degli antichi aedi greci, questa l’idea della maggior parte dei rapper e dei musicisti di oggi. In un genere come il rap, lo sforzo del verso richiede un aiuto: ogni artista si fa la sua Musa e, senza le grandi formule dei poeti d’un tempo, la convoca a sé quando la desidera, o ne ha bisogno. Questo è infatti il concept dell’ultimo lavoro di Marracash, “Persona”: trovare nello spazio sacro del dialogo tra lui e la Musica il riscatto del sé uomo sul sé rapper. Sfracellata la sua personalità, infatti, Fabio conta pochi valori al di fuori del suo bicchiere e sente incombere lo spettro del nulla, che in “Qualcosa in cui credere” è sventato da un intervento forte e definitivo: la sua Musa. Quella che c’è sempre stata già prima della Barona, quella indefessa e incrollabile, la compagna ambigua (mai troppo amica) che della sua anima è diventata ombra. L’investitura giovanile – di cui Axos in “Narrami, o Musa” ci offre un ottimo e tremendo esempio – è già esperienza passata, Fabio e già diventato Marracash: la sua dea è invocata non a investire o ispirare, ma – come un’amica fidata e potente – a salvare il king del rap, che trema e dispera come uno qualunque di noi. “A due passi dalla rovina, a due spanne dalla follia / Due blocchi dall’inferno”, inquietato dal pensiero di esser “vuoto, senza scopo […] e se fossi una truffa anch’io?”, è dentro una dubitazione violenta di sé e della sua identità, che apre alla ipotesi della morte. In un mondo svuotato di valori e senza fede, fatto di uomini caduti e dannati come gli angeli (immagine a cui rimanda la chiusura geniale e provocatoria di Gué), Fabio conferma se stesso nella musica, unica in grado di mantenere “l’anima intatta” e di non farlo tremare al momento estremo. Eternatrice della sua parola che dice il vero, ella lo immortala per sempre (“E dammi voce in eterno e cose vere da dire / Sii il mio punto fermo, qualcosa per cui morire”). Nel dialogo mistico, l’incontro è una comunione, il verso è l’ostia, il testo il suo testamento, il palco la sua chiesa. Insomma: già dai primi atti, Marra è poco o niente se non attraverso la sua musica: l’obiettivo di “Persona” sembra abortito già all’origine.
In altre parole, la musica è certezza in una grande confusione, è punto fisso in un lungo periodo senza virgole. Eppure, padrona com’è della sua tecnica, non sempre è benigna e, spesso, mette alla prova il suo pupillo: il loro dialogo è di amore irruento, delicatamente giocato su sottili equilibri; patologico e di ossessivo bisogno, a volte. Per fare un esempio: il Nitro presunto e poi defunto artista, che si è sentito talvolta tradito (il blocco dello scrittore, l’insuccesso, i periodi non creativi) ma può serenamente concludere che, pur morto, la sua Musa non lo ha mai illuso.
La musica mi ha sempre fatto più male che bene
Per questo mi fermo spesso a pensare se stiamo assieme
A volte piango ma mi manca così tanto
Quando eravamo solo io e te ed un foglio bianco
Storia di un presunto artista
[…] la musica è l’unica musa di cui abuso
Perché non mi usa e non mi ha mai illuso
Altri (sono tanti) vivono e soffrono un simile rapporto, turbolento e così nascosto; in pochi hanno il coraggio e la lucidità per raccontarlo sui quattro quarti. Come quando ti chiedono di te e della tua ragazza: al silenzio totale o alla disinibita spacconeria dei più, alcuni preferiscono un racconto a tratti, ma saggiamente disposto. Così, alcuni hanno reso meglio di altri gli spezzoni di quel film che interroga il rapporto tra artista e musica, lasciandocene profumare la bellezza e il mistero. Tra gli altri, vorrei qui ricordare due artisti da questo punto di vista imprescindibili, a mio avviso. In primo luogo il Madman di Escape from heart (2010): luogo della sua effettiva iniziazione, l’album contiene la sua dichiarazione d’amore alla musica, pernio fisso della sua già convulsa esistenza. In fuga dal suo cuore, “straziato da tempeste romantiche e silenzi nichilistici, ma pur sempre pulsante al massimo” (da un post su Facebook seguente l’uscita), egli si dà totalmente alla musica, si umilia al suo cospetto e decide di vivere per Lei.
“Per tutto ciò che ti ha tolto, per tutto l’odio nel volto
Per tutto l’oro del mondo, faccio solo questa merda
Per il ministro che ha torto, per ogni Cristo che è morto
Non me ne infischio e risorgo, faccio solo questa merda”
Infine, Luca Ferrazzi, in arte Mezzosangue, il quale, in Armonia & Caos (Soul of a supertrump, 2015), si lancia in un profondo dialogo immaginario con la stessa Musica, esprimendo a chiare parole un desiderio forte di farsi corpo assieme a lei e di incrociare i destini reciproci. A lei che lo seduce ambiguamente e non sa se stare “tra le armature oppure tra le armi / tra le cure o i tagli”, il rapper romano non negherà mai il suo erotico ed eroico assenso nella sua guerra “di parole e di idee”.
Curami coi sogni che hai saputo darmi, toglimi dai drammi
Dammi solo quanto basta
E su ogni cassa squarterò gli affanni
Passa gli anni accanto a me che invecchieremo insieme
Come pelle sul mio corpo o sangue nelle vene
Crepe sopra il foglio ma so reinventarmi
Spogliarmi dei miei panni per mostrarti i tagli
Nudo senza vergognarmi
Giuro non so fra chi collocarti:
Non so se stai fra le armature oppure fra le armi
Fra le cure o i tagli
così sarà io avrò fallito e sarò morto per te
come un soldato in una guerra di parole e di idee
Di Marco Palombelli
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