Recensione di Garbage
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‘Libellule’ è la traccia conclusiva di GarbAge, ultimo lavoro da parte di Nitro uscito il 6 marzo. A epilogo di un album che ha stemperato l’emozione in suoni a tratti aggressivi e decisamente innovativi – senza tuttavia che la scrittura perdesse di introspezione e profondità – il brano restituisce all’ascoltatore la possibilità di commuoversi: l’aria che accompagna il congedo è di amarezza, nostalgia e malinconia. Schema tipico, all’apparenza; tuttavia, dietro tale scelta si rivela la profonda meditazione che l’artista veneto ha riservato a Garbage. Il luogo del saluto è il luogo in cui Nitro ritrova la capacità di emozionarsi e di emozionare: capacità che il mondo odierno, grida il concept di Garbage, ha seppellito assieme alla propria coscienza nell’ineluttabile appiattimento mediatico. Se il brano, tuttavia, sembra risolvere questo deficit emotivo e, dunque, la tesi appena esposta, non fa che confermarla e problematizzarla ancora di più. Capirai con me perché.
‘Fai schifo’. Bene o male, la strofa iniziale dice questo. La spazzatura che ormai costituisce il mondo (non solo fisicamente, “ma anche intellettualmente ed emotivamente”, afferma nell’intervista rilasciata a Radio 105) ti ha reso talmente ripugnante da non lasciarti che l’opzione di accettarti così come sei, ovvero di detestarti così come sei. Nei giorni del delirio mediatico che vede alcune donne rivendicare orgogliosamente la propria bellezza sui propri profili Instagram, Nitro invita da buon sapiente (ma non ex cathedra, come troppo spesso ha fatto) a detestare la propria condizione di figli della spazzatura che ci circonda. Accettare di non accettarla, in altre parole. Se il postmoderno non può davvero che essere il tempo che Adorno e Horkheimer hanno definito “dell’industria culturale”, e cioè dell’arte mediocre di massa, Nitro opta per una scelta intelligente, ma certamente non del tutto nuova: sdraiarsi (s)comodamente, come nella copertina, su siffatta spazzatura per cavarne fuori qualcosa di valido. Meglio: l’artista che ormai conosciamo critico e scomodo alleggerisce la sua posa e si siede acriticamente sulla bruttezza del mondo, intuendone la potenzialità di diventar bellezza. In breve: la chiusa è il ripensamento e la soluzione di tutto Garbage, la vera chiave di accesso al suo significato.
Più esattamente, è il ritornello a svelare il doppio senso e, dunque, l’inganno. La sola strofa (l’unica), infatti, ripropone la denuncia: lo “status di finzione in funzione di algoritmo”; lo “screenshot al dolore” con cui si pensa di assorbirlo (si veda la spazzatura emotiva, di cui sopra); la “legge del più forte” che “calpesta chi soccombe”; le “luci al neon accese sotto i portici / per non far veder le vene ai tossici”. Il tipico argomentare del Nitro fustigatore di costumi e di ipocrisie si interrompe e si dissolve nel ritornello, in cui si condensa l’immagine forte dello strappo dell’epidermide – anticipato dall’annullamento del lato umano in chiusura di strofa – e del volo della libellula. Entrambe, ovviamente, suggeriscono l’idea di una scissione forzata dal mondo-spazzatura, una sostanziale non accettazione, e una fuga nella sua negazione totale; altrimenti detto, significano una rinuncia alla propria brutta umanità, una elevazione metamorfica. Come la fuga del gabbiano dal cuore in “Escape from Heart” e come la tremenda trasformazione kafkiana in scarafaggio (cui pure Nitro dedica una barra in MTV Spit Mixtape del 2012), il volo della libellula significa una profonda insofferenza per il proprio sé e il proprio mondo, cui consegue il desiderio di annullarlo e modificarlo radicalmente, nella pelle. Tuttavia – e qui sta il senso – il volo è destinato a fallire. Non tanto perché fattualmente non avvenga, quanto piuttosto perché la fuga dal mondo è in realtà un ritorno al mondo: il desiderato nirvana è un ritorno alla materia. Si guardi con attenzione il testo: il viaggio per aria (il rifiuto) durerà finché “i pixel non diventeranno cellule”, e cioè finché il mediatico non avrà preso il sopravvento definitivo sul reale. L’ipotesi quasi fantascientifica e apocalittica del finale, ben riassunta nell’immagine “dell’universo come microchip”, scopre la libellula Nitro finire il suo volo metafisico, tornare sui suoi passi, comprendere e accettare che il reale è ormai virtuale, spegnere le emozioni “come in un plug-in” e farsi punto fermo nello schermo di un drive-in. Cioè, dopo aver plasmato la materia con i decibel e averla compresa e compressa in un hard disk (GarbAge, appunto), Nitro la e si offre al ritiro automatico e acritico di un consumatore qualsiasi. L’emozione non c’è più, né nell’uno né nell’altro: tornerà nel finale – appunto in questa traccia – per essere elevata e poi smentita del tutto. Per chiarire ulteriormente, Nitro finisce per farsi materia, quella materia che per 13 tracce ha vituperato. In questo volo, non abbiamo letto né incoerenza, né tristezza. La discesa a terra è certamente opaca e malinconica (poiché nasconde un fallimento, come detto) e possiamo immaginare avvenga nel ‘cielo di una discarica’ in cui prova a volare il sopraccitato gabbiano, come sembra suggerire la copertina. Tuttavia, immaginiamo che la libellula termini il suo volo non sconsolata, bensì attraversata da un sussulto d’euforia: l’entusiasmo (dentro il disco) di chi ha compiuto un meraviglioso viaggio al di sopra della materia e quello (fuori dal disco) di chi ha fornito un saggio notevole di meditazione da parte dell’artista di se stesso e del proprio rapporto col mondo.
Di Marco Palombelli
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