Ho sempre trovato affascinante la relatività del tempo. Ogni individuo ha la propria percezione del suo scorrere, non passa per tutti allo stesso modo. È così bello poter ridurre alla soggettività anche ciò che appare misurabile. Dico sempre che dal Covid in poi, per me, il tempo ha iniziato a scorrere in maniera diversa, ma in giro ne leggo tante di considerazioni simili.
Con l’avvento del nuovo anno anche voi avrete già letto in giro: “Siamo più vicini al 2030 che al 2020”. Sembra così strano, vero? Forse è proprio da lì che è nato l’incipit per questo articolo. Aggiungo una postilla al virgolettato precedente: siamo entrati nel 2025, quindi il 2015 era dieci anni fa.
Fa quasi più strano pensare questo, soprattutto perché gli anni ’10 sembrano più vicini a noi di quanto poi lo siano realmente. Penso sia così perché le scorie di quanto accade negli anni producono un certo effetto non nell’immediato, ma nel lungo termine.
Non è un caso se si parla di decenni specifici anche dopo tanti anni: si continua a parlare dei meravigliosi anni ’80 e ’90, poi si sono aggiunti anche gli anni ’00 a questa lista. Tutto ciò mi ricorda molto la pratica del buffering, che consiste nel pre-caricare segmenti di dati durante lo streaming di contenuti video.
È la linea grigia dei video di YouTube che evidenzia la frazione di contenuto già caricata, ma che devi avere il tempo materiale di raggiungere. Poi la raggiungi solo se la connessione rallenta, ma nella vita reale il tempo non si ferma. Va avanti. Devi avere il tempo di metabolizzare.
Quindi proviamo a farlo una volta per tutte: il 2015 è stato dieci anni fa, e ne sono successe di cose in quell’anno.
Il 2015 è stato l’anno dell’attentato a Charlie Hebdo e del quinto pallone d’oro di Cristiano Ronaldo. L’anno di Mattarella nuovo Presidente della Repubblica e quello in cui è stata scoperta l’acqua su Marte. Così, per dare un contesto. Il cinema riscopriva Star Wars con il settimo capitolo, l’Accademy premiava Di Caprio con un Oscar per “Revenant” e venivano pubblicate pellicole come “Il caso Spotlight” e “The Hateful Eight”. Si accendevano i riflettori sull’Hip Hop, in particolare sugli N.W.A. grazie a “Straight Outta Compton”.
Da Compton a Compton, il 2015 è stato l’anno della consacrazione di Kendrick Lamar. “To Pimp a Butterfly” esce nel marzo di quell’anno e segna un prima un dopo, non solo per la carriera del rapper. Si era alzata l’asticella, ma è stato un effetto farfalla che si è riflesso anche nel resto del mondo. Qualcosa nella scena Rap doveva cambiare, in Italia più che mai.
Eppure, non c’era solo il battito d’ali. Negli States uscivano “Rodeo” di Travis Scott, “At.Long.Last.A$ap” di Asap Rocky e “If You’re Reading This It’sToo Late” di Drake. Ma non solo, anche Earl Sweatshirt, Young Thug e Joey Badass. Per non parlare della telenovela del nuovo album di Kanye West che poi sarebbe uscito a inizio 2016 (“The Life Of Pablo”). Un filo congiungeva l’Italia all’America e viceversa. Ve lo ricordate l’annuncio della firma con Def Jam di Guè?
Non so voi, ma io ritengo quel momento cruciale più di quanto possa sembrare. È stata una scossa. Così come lo è stato il featuring con Akon e le altre mosse dei big in quell’anno. Il genere veniva da anni bui, la scena era stantìa e destinata a sprofondare sempre più nell’irrilevanza.
C’erano sprazzi di vita, guizzi di estro degni del più comune talento argentino ma che, nel momento della prova di maturità, non gestiva il salto. La trinità (perdonami Jake) ha aggiunto del colore e ha salvato il Rap Italiano dall’oblìo. Colori spenti, non accesi. “Status”, “Vero” e “Squallor” sono ancora oggi tra i progetti più densi e caricaturali di Marracash, Guè e Fabri Fibra.
Dischi di livello che hanno settato uno standard, come in teoria (non sempre) accade ogni volta che i big tornano. Dischi che sono stati il preludio a ciò che avrebbe cambiato il genere per sempre.
Il 2015 è stato l’anno in cui il rap italiano ha deciso di prendersi una piccola pausa dal suo solito angolo di nicchia e ha iniziato a fare rumore come un elefante in una cristalleria. Sembrava una festa a cui tutti sono arrivati, ma nella quale nessuno aveva davvero capito cosa stesse succedendo: è stato soprattutto l’anno di “XDVR”.
Sfera Ebbasta irrompe sulla scena alla velocità della luce, lasciando dietro la sua ruspa i detriti di una scena stagnante e portando con sé quella oggi conosciuta come la scena del 2016. È tutta una questione di causa ed effetto.
Senza un tassello non ci sarebbe stato quello seguente e se in alcuni casi ha giovato alle carriere dei rapper, in altre non del tutto. Guè, per quanto riguarda la sua carriera solista, è rinato da “Vero” in poi. Tanto per dirne uno. Gli esponenti emergenti di quella scena si protraggono fino ad oggi, anche se molti in vesti differenti.
È un effetto del tempo che deteriora. Si manifesta sulla cute e sul cuoio capelluto con l’avvento di rughe e incanutimento. La musica invece cambia pelle. Perde verve e quell’effetto ruspante che attrae nuovi fan. Sfera Ebbasta & Co. adesso sono un’altra cosa e sono la più alta manifestazione di ciò che ci portiamo appresso ancora oggi da quel 2015.
Oggi c’è una nuova scena che richiede a gran voce lo scettro da protagonista, ma ci vorranno anni prima che possano arrivare alle corde del cuore e del tempo, quelle che ti rendono immortale. Giusto il tempo che la linea grigia carichi i contenuti di modo che noi tutti, in seguito, possiamo raggiungerla.
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