Era l’estate del 2014 quando i Negramaro risuonavano in tutte le radio italiane con la reinterpretazione di “Un Amore Così Grande”, tutti respiravamo l’aria frizzantina che portava l’avventura della Nazionale Italiana di calcio ai mondiali in Brasile, ignari del misero fallimento che poi avremmo avuto.
Il rap non aveva ancora attecchito al massimo come attualmente, non era diventato parte della cultura generale. L’idea che si potessero fare i soldi con questa musica era ancora remota, le uniche icone che avevamo presenti erano tutti nomi inarrivabili per qualsiasi semplice mortale. I rapper che ascoltiamo e sosteniamo oggi, in quel momento, stavano registrando timidamente i loro primi brani in cameretta o nel loro garage e stavano bussando alle porte dei locali per ricevere l’opportunità di esibirsi anche davanti a qualche decina di persone. Qualcosa però iniziava a muoversi: era come se i mostri sacri del genere, tramite le loro radio hit, avessero già sparso dei semi in tutto lo stivale. Se quei semi avessero trovato delle crepe in mezzo all’asfalto, potendo arrivare al suolo, sarebbero sbocciati. Sarà stata l’ingenuità del momento, sarà stata la totale noncuranza del fatto che il rap avrebbe fatturato, sarà stato che il ragazzo di strada ha sempre esercitato il suo fascino, ma in qualche parte remota dell’Italia, i ragazzi continuavano a fare il rap.
Ricordo proprio bene l’estate del 2014, quando il video “Non faccio nomi” di Naska, girato da un giovane fotografo locale, divenne virale nella piccola cittadina balneare di Porto San Giorgio, in provincia di Fermo, nelle Marche, la regione che ha dato i natali a Fabri Fibra.
“Non faccio nomi” era un dissing rivolto al rapper Ravek, con cui Diego Naska aveva avuto problemi in quel periodo e viste le frecciatine che aveva ricevuto, decise di raccogliere il guanto di sfida e di rispondere a suon di rime.
Prima del Diego Naska cantante che conosciamo oggi
Il brano tra noi ragazzi che frequentavamo la zona divenne virale; eravamo tutti curiosi di vedere se poi ci sarebbero stati svolgimenti dal momento che Naska lo vedevamo tutti spesso per i marciapiedi, essendo stato un assiduo frequentatore degli ambienti san giorgesi.
A fare scalpore non fu tanto il dissing in quanto tale, in quel momento i brani intimidatori verso altri rapper erano piuttosto comuni visto l’effetto mediatico che aveva avuto il dissing tra Vacca e Fibra, ciò che fece davvero mormorare la gente era il fatto che le parole del testo erano sulla bocca di tutti. E’ consuetudine nei piccoli centri schernire chiunque voglia sfuggire un po’ alla mediocrità, quindi in molti storpiavano il testo e cambiavano le parole a mo’ di scherno, ad altri invece piaceva sul serio, ma la realtà dei fatti era che tutta Porto San Giorgio, parlava di lui. Per quanto piccola cittadina, Porto San Giorgio era comunque un centro di ottima risonanza nella zona del fermano, visto che nell’entroterra ci sono tutti piccoli centri che non arrivano a mille persone. Diego Naska infatti, o meglio, Diego Caterbetti, classe 97, è originario di Monte San Giusto, un piccolo paesino in provincia di Macerata. Se una cittadina e i frequentanti della zona parlavano di lui, significava che aveva messo la pulce nell’orecchio.
La fucina della zona del fermano-maceratese prova sin da sempre a sfornare nuovi rapper ma spesso con scarsi risultati: diversi rapperini sembrano copie di copie, le tematiche sono sempre le stesse, le sonorità non risultano particolari, ma a molti di loro va bene così. I rappers di zona si sentono appagati nel suonare nei localetti frequentati da loro pari, si sentono famosi ad essere nominati tra di loro. Giocando a fare i rapper hanno ciò di cui necessitano: le ragazze di zona, la loro gang per sentirsi “street” e una nomea piuttosto impopolare che si ferma al paese limitrofe.
A Naska in quel momento non bastava, fu uno dei pochi rapper di zona a volersi innalzare dalla mediocrità. Cavalcò l’onda del pezzo appena uscito per pubblicare altri brani che ebbero un riscontro positivo agevolato anche dal suo fascino, del suo bell’aspetto e della sua popolarità del posto. Nel 2015, in men che non si dica si chiuse in studio con un suo caro amico, Domenico Pipolo a.k.a. DOD, e pubblicò il suo primo EP “The Purge”, in cui, tra un egotrip auto-encomiastico e dei pezzi al veleno, su dei beat dubstep e boom bap a tratti semplici in altri più articolati, racchiuse tutto l’odio adolescenziale che aveva in corpo. Dall’EP si capiva già che voleva fare sul serio, ma ogni rapper che vuole essere etichettato come emergente lo dice, chi poi si guadagna targhetta d’oro da emergente è colui che realizza ciò che gli altri si fermano a dire. Diego, avendone la possibilità, ha cercato di migliorare di volta in volta la qualità dei suoi brani, fino ad arrivare a Roma, nel Bunkerino, il quartier generale di Mixer T, da cui si è fatto mixare e masterizzare il brano prodotto da Dj Raw, in collaborazione con Venz (“A Ruota”). Non si è poi fermato lì, si è rimboccato le maniche e ha continuato a suonare nelle piccole serate hip hop nel circondario, fino ad arrivare ad aprire i concerti di rapper molto più blasonati del calibro di Gemitaiz, Nitro, Noyz.
Terminato il liceo artistico e preso quel pezzo di carta meglio conosciuto come diploma, ha fatto il fagotto e se ne è andato a Milano, per cercare di fare il salto di qualità che una piccola zona non gli avrebbe mai permesso di fare in termini di opportunità, risonanza e ricercatezza strumentale. La vera differenza tra Diego Naska e i rapper della zona marchigiana è proprio questa: Diego non ha aspettato che le opportunità cadessero dal cielo nella sua comfort zone, ma è andato a cercarsele e a procacciarsele da solo.
Nel 2017 se ne esce con “X-Season”, un singolo molto diverso da quelli precedenti: il suo focus non è più sulla rabbia ormai sfogata e imprigionata, ora parla di un viaggio astruso e di situazioni incresciosa scaturite in seguito all’assunzione di Xanax.
A distanza di poco tempo fa uscire “Art Attack Freestyle” (feat. Chfnik), un pezzo in cui, dopo aver campionato e inserito la famosa sigla del programma, facendo un tipo di ironia molto sopra le righe (letteralmente) sul fatto che anche le persone più impensabili sniffano coca, lancia punchlines intimidatorie verso i suoi nemici con toni esenti da ponderatezza.
“Xanny” o “X-Season 2” è il continuo del brano “X-Season”, questa volta i toni sono più malinconici, il brano è una specie di ninna nanna canticchiata non dopo aver bevuto del latte caldo con miele, ma dopo aver ingerito una discreta quantità di antidepressivi. La canzone è una rassicurazione alla mamma promettendole che prima o poi, con il rap spaccherà.
La rabbia comprensibile ma a tratti inspiegabile dei primi tempi, brano dopo brano, sembra apparentemente a placarsi tramite le sostanze che ruotano nell’immaginario emo trap, seppur l’inquietudine rimanga sempre a galla tra i fiumi d’alcol. L’universo emo trap, figlio in parte illegittimo del punk rock, stava plasmando sempre di più l’artista, fino a fornirgli una possibile pass per la calma.
Continuando a picchiare violentemente contro quella cortina che sembrava invalicabile, Diego Naska, nell’estate del 2018 sembra riuscire a causare le prime crepe: durante la sua esperienza a Milano conosce Jake la Furia e Big Fish, intenzionati ad aprire un’etichetta e a dare inizio al loro patrocinio musicale.
Il 22 Ottobre 2018 annuncia su Instagram, con una foto insieme ai due mostri sacri sopracitati, di aver firmato per Sony. Il 7 Settembre pubblica “Dormi”, prodotta dal fedelissimo DOD che lo ha accompagnato in tutto questo percorso e da Big Fish, uno dei produttori più blasonati e importanti dell’intera storia del rap italiano.
Il brano è un pezzo d’amore, ha una connotazione non particolarmente gioiosa come verrebbe automatico pensare, al contrario, lo stato d’animo che fa da sovrano è l’ansia, l’inquietudine e la tristezza causate da ricordi metà soffusi e metà nostalgici infestano la testa del ragazzo e vengono fuori tutte su queste sonorità.
Naska trova la sua dimensione più matura, artisticamente parlando, nell’ultimo brano “Non Fidarti”, ancora una volta prodotto da Big Fish.
L’avvertimento è quello di non fidarsi di niente e nessuno, arrivando anche a screditare, ironicamente, sé stesso. Il video del brano sembra uscito direttamente dagli ultimi anni novanta e dai primi anni duemila. L’emotrap americana, da cui prende chiaramente spunto, si addolcisce in alcuni tratti e diventa grezza e sporca in altri, le sonorità pop riequilibrano tutto e l’attitudine punk incazzata con il mondo si ripropone ancora una volta, come agli inizi, rimanifestata oggi con l’indifferenza più totale.
Diego Naska in un modo o nell’altro, sfruttando a pieno ogni suo tipo di potenzialità, sembra essere finalmente giunto vicino alla cortina da sfondare per arrivare sotto i riflettori della ribalta: i collaboratori li ha scelti giusti, i mezzi ci sono, il feat con Chadia Rodriguez (“Dale”) lo ha fatto apparire di nuovo tra i nomi più in esposizione. I suoi nuovi brani hanno iniziato a causare spaccature, vediamo se con il prossimo EP sarà in grado di abbattere totalmente la colata di cemento per catturare l’attenzione di tutti, nel frattempo non possiamo che non augurargli una buona fortuna.
Di Riccardo Bellabarba
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