Siamo giunti all’ultimo episodio della Fibrografia, è il turno di “Caos”. Al contrario di quanto si possa pensare, ripescare a reinterpretare progetti di vecchia data è più facile rispetto ad altri meno longevi perché si ha avuto molto più tempo per interiorizzarli e contestualizzarli.
Poi un disco più invecchia più sembra essere migliore, o perlomeno questo discorso sembra valere per i progetti pubblicati prima dell’esplosione di Spotify e dello streaming. I dischi che escono oggi hanno vita breve, non arrivano alla vecchiaia.
“Caos” non è uscito proprio ieri ma nel 2022. Due anni sono un’era geologica nel periodo in cui viviamo, ma quest’album potrebbe uscire anche oggi senza sentire la necessità di cambiamenti, questo perché i progetti di Fabri Fibra subiscono diversamente lo scorrere del tempo e l’artista stesso non si è mai lasciato condizionare particolarmente. Nonostante il tempo voli anche per lui eccome.
«Gli elogi ti rammolliscono, i complimenti fanno piacere ma allo stesso tempo indeboliscono perché tu dai per scontato una cosa che non è mai scontata, cioè il talento, la creatività e le idee».
Fabri Fibra in un’intervista del luglio 2022, citando Bukowski, critica e al contempo descrive una debolezza del processo creativo degli artisti di oggi. Vittime del mondo liquido e dei giudizi, tendono a lasciarsi condizionare. Il problema è che lui stesso con “Caos” non sembra essere sfuggito del tutto a questo meccanismo, anche se in un modo diverso dagli altri.
Ciò che arriva dell’ultimo album del rapper di Senigallia è una genuina ripetitività: Fibra torna su temi già trattati in passato e anche con una certa veemenza, come sul prezzo del successo e sulla vena malinconica che pulsa nel contesto della fama la quale, per forza di cose, arriva a condizionare la vita, le relazioni e tutto il resto.
È come se Fabri Fibra avesse preso piccole porzioni di pietanze dal proprio buffet discografico e le abbia servite all’ascoltatore su un piatto, che è “Caos”. Detta così sembra si stia descrivendo la composizione di una playlist, ma in realtà la cifra stilistica di Fibra è la stessa da quasi tutta la carriera, perlomeno dall’ingresso in major.
Tranne alcuni episodi volutamente stravaganti, dai brani Pop-Rap scala-classifiche in stile “Ring Ring” a quelli più cupi e ipnotici come “Alieno”, il rap di Fibra è super riconoscibile ed è per questo motivo che ha sempre funzionato, anche in “Caos”. Qui ci sono i brani per la radio come “Stelle” (con Maurizio Carucci) e “Propaganda” (con Colapesce e Dimartino) in pieno stile disco-di-fibra, poi c’è la title track che è social-friendly, ma anche tracce più autoreferenziali come l’Intro o “Demo Nello Stereo” con Dj Double-S.
Stop al track-by-track. We don’t do that here. L’obiettivo del citare diverse tipologie di tracce presenti in “Caos” è quello di far capire come Fibra, da sempre ormai, si avvalga più o meno sempre della stessa ricetta.
Questo rende “Caos” un disco di basso livello? Assolutamente no. Semmai, possiamo considerarlo come un disco sottotono (e non parliamo di Tormento e Big Fish) soprattutto se paragonato con i suoi grandi dischi del passato.
Lo stesso “Fenomeno”, il predecessore, era difficile da eguagliare. “Fenomeno”, di cui abbiamo parlato nell’ultima Fibrografia, metteva un punto ideale a un percorso artistico sotto vari aspetti, mentre con “Caos” sembra voler tornare su checkpoint che ormai sono già stati interiorizzati e affrontati da lui e dal suo pubblico. Poi va aggiunto che “Caos” è il primo disco in Sony dopo quasi vent’anni di Universal, è normale e giusto che ci siano situazioni diverse condizionanti.
Siamo stati abituati a dischi memorabili, quest’ultimo invece non brilla particolarmente, al contrario di come direbbe Kuma, e risulta essere un disco più disordinato rispetto ai suoi lavori passati, un vero e proprio caos appunto. E sarebbe facile accostare questo miscuglio caotico a un’intenzionalità ricercata dall’artista stesso, ma sarebbe come dire che Salmo ha realizzato volutamente un disco brutto per chiamarlo poi “Flop”.
“Caos” però è tutto tranne che un flop.
Questo è quel momento dei film in cui c’è il ribaltamento di fronte più che un colpo di scena, per indole personale forse è più facile definirla un’azione in “contropiede”, anche se non stiamo parlando di calcio. Questo articolo vuole essere tutto tranne che una totale critica nei confronti di un disco che, in realtà, è migliore rispetto alla narrazione che ha subito fin dalla sua uscita.
Il disco, oltre a trattare i temi già cari a Fabri Fibra, è un continuo contrasto tra Fibra e gli altri rapper, come quando critica la poca varietà della scena milanese in “Demo Nello Stereo” con “metà Milano rappa come Guè, l’altra come Marracash”; poi ancora in “GoodFellas” con “E ci risiamo un’altra volta, e ancora e ancora / Rapper che mettono la mia pazienza alla prova / Vogliono la corona […]”, nella stessa traccia va anche segnalata una piacevolissima citazione a “Odio Pieno” del Colle Der Fomento; per non parlare dal canonico brano rap “Brutto Figlio Di”.
Fibra sembra sentire la pressione, e se non è quella quanto meno sembra essersi risvegliata la competizione che alimenta il gioco, per quanto Fibra non debba più dimostrare niente a nessuno.
Oltre a ciò, “Caos” sembra anche un ossimoro, un grido silenzioso nascosto nell’intruglio di strumentali incalzanti e tematiche apparentemente superficiali. Ma questa non è una novità per chi ascolta Fibra da un po’, già dai tempi di “Turbe Giovanili” aveva ereditato questa caratteristica da Neffa (vi ricordate “Aspettando il Sole”?).
Un esempio è in “Fumo Erba”, nella quale esprime messaggi di un certo peso e nei quali è facile rispecchiarsi in un’atmosfera che appare festosa. Ma a chi piace veramente chi si piange addosso? L’attitudine codifica il linguaggio a forma e dimensione della società, Fibra non ha potuto mai fare diversamente ed è più comodo essere ricordato per “Le Donne” rispetto a “Nessun aiuto”.
Avvicinandosi alla fine, un approfondimento lo merita anche la copertina di “Caos”. Se Fabri Fibra ci ha sempre abituato al suo volto in primo piano, solo in altre due situazioni aveva agito diversamente: nel 2004 con “Lato & Fabri Fibra”, progetto con cui veniva scritta la parola fine sul progetto “Uomini Di Mare” e veniva dato inizio al percorso che avrebbe dato successo al rapper marchigiano; e nel 2015 con “Squallor”, progetto che è un unicum nella sua carriera sia per metodi promozionali (assenti) che per composizione organica.
Ma che significato ha la copertina di “Caos”? Fabri Fibra ci spiega come l’immagine di copertina di Caos sia stata scattata sulla spiaggia di Grado e richiami un momento di pace raccontato in “Galveston”, un film drammatico, e come sia un modo per mettere ordine dove c’è disordine. “Dopo anni di assenza dalle scene, avevo bisogno di tornare per mettere fine a quel caos interiore”, queste le sue parole.
Forse un po’ di retorica, ma un po’ di disagio in effetti lo esplicitano le spalle date da Fibra a chi lo guarda. Un ritorno metaforico verso il mare, nella sua Senigallia. Dopo essere emigrato nella città industriale per eccellenza era fisiologico un ritorno verso casa, il quale era già stato consolidato tematicamente nel disco precedente più che in questo ed è forse l’aspetto che più fa storcere il naso. Fabri Fibra sta concludendo il suo ciclo musicale, un po’ come la tartaruga che dopo la schiusa si dirige verso il mare ma poi è destinata a ritornare sulla spiaggia.
Non sappiamo cosa avrà da proporci Fabri Fibra in futuro. L’unica cosa certa è che Fibra in un modo o nell’altro troverà sempre qualcosa da dire e, anche se si tratterà di una ripetizione, non credo che il pubblico si stancherà mai della sua narrazione.
La Fibrografia si conclude qui e, per citare Alessandro Manzoni, “se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta”.
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