La maschera di St. Chroma spiattellata sulla copertina è solo l’ultimo atto della trasformazione di un artista la cui identità è stata continuamente discussa e compromessa. Come se la distruzione, l’auto-annientamento di ogni personaggio, costituisse un momento necessario e fondante la creazione del capitolo successivo.
Se è vero, come scriveva T.S. Eliott in Burnt Norton che: “ il genere umano non può sopportare troppa realtà” allora celare una dimensione così umana agli occhi di chi lo ascolta, è stata per Tyler, the Creator una mossa quasi obbligata, in altre parole: sopravvivenza.
I numerosi alter-ego proposti nel corso degli anni, da Wolf Haley, ad Ace per passare poi ad IGOR arrivando a St. Chroma sono tutti funzionali ad un backtracking delle varie fasi artistiche attraversate dall’unico reale attore e protagonista.
Tra tutti, il video di NOID in cui si vede l’ultimo “Frankenstein” fuggire in preda al panico da una folla che lo opprime, è esemplare. Tramite le numerose references al full-lenght film girato da Kanye West per Runaway, NOID restituisce, traducendola, la necessità che Tyler avverte di doversi ri-costruire, rivoluzionarsi.
Proprio in quella clip (min. 25:58), si vedono Kanye e una donna/fenice di cui è follemente innamorato, la quale gli rivela essere arrivato il momento per lei di lasciare “questo” mondo. A spingerla, più di tutto, l’inorridimento causatole dall’incapacità degli esseri umani di comprendere che per una fenice: bruciare, e quindi morire, è necessario affinché il miracolo si compia. Quest’ultimi invece, intimiditi dal cambiamento, dal nuovo, tagliano le ali ai suoi simili impedendogli il volo, e così pietrificandoli.
In questo modo, i comuni mortali compiono il loro disperato tentativo di rimanere aggrappati all’unica versione della realtà che sono capaci di sopportare, quella che ormai conoscono. La costante distruzione di questo modello li manda in crisi e forse per questo il fuoco delle fenici come Tyler è così pauroso ma allo stesso tempo così emozionante.
Come una profezia, le parole che aprono il disco e che vengono pronunciate dalla madre di Tyler recitano: “You are the light/it’s not on you/it’s in you”. Così, tramite quest’opera di riadattamento, T dimostra proprio come per le fenici, che creare e distruggere siano l’unica scelta possibile, pena uno stagnamento della propria arte, una condanna perenne all’assoggettamento dei canoni di un’Industria da cui lui non può farsi domare.
“CHROMAKOPIA” è un dialogo interiore senza pause, tanto che le tracce nella loro fine e il loro principio creano un filo narrativo continuo, un flusso di coscienza che come tale è incontrollabile ma lucido e soprattutto maturo.
Non sembra esserci più spazio infatti per quel ragazzino problematico che giurava di accoltellare Bruno Mars nelle esofago, e che tra un kickflip e delle pillole non faceva altro che causare sgomento. Da questo punto vista, la carriera di Tyler è tra le più autentiche e rispettose di sè stessa. Nulla viene strumentalizzato, nessun argomento acchiappaclick, solo l’ennesimo capitolo di una storia tormentata e allo stesso tempo benedetta dal successo.
E’ proprio questa sincerità e amore per la scrittura che portano alla creazione di tracce come “Take Your Mask Off” in cui Tyler stesso sembra scendere in prima linea per lottare contro le aspettative che la sua audience recrimina, finendo per imbarcarsi in un dissing tutto personale che lo vede: giudice, vittima e carnefice.
“Boy, that therapy needed, I’d dare you to seek it, but I’d lose a bet
Tyler, the Creator – Take Your Mask Off (CHROMAKOPIA, 2024)
Your respect won’t get given ‘til we postin’ your death
It’s clear you wish you got your flowers sent
You eatin’ fertilizer to balance shit
Now go and stand in the sun, and use some fake tears to water your roots
Take that mask off and tell ‘em the truth, let’s talk about it, nigga”
Le produzioni di “CHROMAKOPIA” esondano di sample ricercati, le tracce sono cariche di cori (vedi ad es. Judge Judy e Darling, I) capaci di sollevarti come una piuma, vibrazioni e synth delicati presi in prestito da Stevie Wonder e Quincy Jones invadono e massaggiano. Infine, il tutto è condito da un talento caleidoscopico che alle volte però si perde in momenti che non lasciano il segno.
Al primo ascolto infatti, è difficile scegliere se essere più colpiti dagli onnipresenti crossover sonori o rimanere per un pò con un senso di incompiutezza. Alla fine però, “CHROMAKOPIA“, non delude.
Attendersi sempre qualcosa di stravolgente nel senso letterale del termine, è una pretesa (degli ascoltatori) che, si spera, nella maggior parte dei casi celi in realtà un tifo incondizionato per chi ha saputo e sa tenerti da più di un decennio sulla punta dei piedi.
Sebbene “T is not perfect” la costante qualità e originalità della sua musica, ci lascia sempre qualcosa su cui riflettere e magari pontificare (come in questo momento). Dopo diversi spin, l’album comincia ad assumere una forma più compatta facendo venir meno quel senso di confusione che una tale tracotanza sonora può provocare.
Gli ospiti sono di eccezione, ma tra tutti spunta sicuramente Lola Young. Una cantante britannica, South East London, classe 2001 che con la sua ultima uscita “This Wasn’t Meant For You Anyway” ha decisamente attirato l’attenzione dell’addetto celeste alle luci, facendosi puntare i riflettori addosso.
La voce di Lola, che come un palloncino riesce a modellarsi continuamente a seconda del sound richiesto, si accosta perfettamente con la forza di un urlo angelico, al coro che Tyler sceglie per Like Him. Questa è sicuramente una delle tracce più intime di tutto il disco, una confessione a cuore aperto sul disagio che ancora oggi, a 33 anni, prova nel vedere su di sé i segni di un’eredità biologica che tale è rimasta.
Il drammatico contrasto con la figura paterna è stato in passato affrontato in tracce come Inglorious (Bastard, 2009) e Answer (Wolf,2013) ma con una profondità e un approccio del tutto differente, confacente lo stile di un ventenne arrabbiato e ingestibile.
“Hey, Dad, it’s me, uhm…
Tyler, the Creator – Answer (Wolf, 2023)
Oh, I’m Tyler, I think I’d be your son
Sorry, I called you the wrong name, see, my brain’s splitting
“Dad” isn’t your name, see “Faggot”‘s a little more fitting
Mom was only twenty when you ain’t have any fucks to spare
You Nigerian fuck, now I’m stuck with this shitty facial hair
Also stuck with a beautiful home with a case of stairs
So you not being near fuckin’ fire-started my damn career”
In “CHROMAKOPIA” invece, Tyler è cresciuto, il trauma è presente, vivo, ma non superato; al punto che sembra quasi incolparsi di come le cose siano andate. La strumentale però, se messa a confronto con quella prodotta per Answer chiarisce perfettamente la diversità nell’approccio adottata.
Nella seconda le batterie inquietanti e distorte fanno cadere in una palude in cui risentimento e dolore si fondono per formare una melma che intrappola. Al contrario in Like Him, Tyler sollevato da voci i cui decibel aumentano esponenzialmente ad ogni coro, esplode in urlo liberatorio che però viene subito strozzato da synth nostalgici, come le parole che la madre usa per ricordargli del padre. Proprio in questo dualismo è da ricercare tutta la natura di Tyler, the Creator.
Un artista costantemente in controllo del proprio destino musicale, ma sempre sull’orlo dell’ennesima detonazione creatrice. In Little Gidding, il quarto e finale poema di una serie di T. S. Eliot pubblicata nel 1942, il poeta americano originario del Missouri scriveva: “Only those who will risk going too far can possibly find out how far one can go” e anche se Tyler non ha mai letto una singola parola scritta da questo, come un veggente sembra aver preso alla lettera tale insegnamento, rivolgendoci in St. Chroma un quesito fondamentale, un attimo prima di bruciare gloriosamente per l’ennesima volta:
“Can you feel the light inside?
Tyler, the Creator – St. Chroma feat. Daniel Caesar (CHROMAKOPIA, 2024)
Can you feel that fire? (Oh)
Oh, fire (Oh), fire
Can you feel the light inside?
Can you feel that fire? (Oh)”
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