Quando si va ad affrontare un cult è sempre così complesso trovare qualcosa di originale da dire.
“Dio C’è è una fotografia di un momento”, “la conferma di Achille Lauro”, quante volte avrete letto qualcosa del genere? Che “Dio C’è” è un gran disco lo sanno tutti, ed i motivi più noti, pure, li sappiamo tutti.
Quindi in questa puntata della nostra Laurografia ti voglio raccontare perchè mi piace “Dio C’è“, perchè lo ricordo con tanto affetto e magari andiamo pure a spostare un po’ di polvere per mostrare qualche crepa, che solo contemplandolo, non si riesce a vedere.
“Dio C’è” è un murales che tra gli anni ’70 e gli anni ’80 ha iniziato ad apparire in varie zone d’Italia, per lo più vicoli, parcheggi e strade isolate. Si dice (come riportano anche varie fonti online, pur non arrogandosi mai la certezza di aver la verità in tasca) sia l’acronimo di “Droga in offerta. Costi Economici“.
Onestamente non mi ha mai convinto a pieno quest’ultima teoria dell’anagramma, ma non c’è dubbio che il riferimento sia allo spaccio di sostanze: magari non era quello il significato, ma il fine, ovvero segnalare zone di compravendita, è comunque lo stesso.
Nella controcultura degli anni ’80 il parallelismo/contrasto tra “Dio” e “Droga” è stato quasi abusato. L’esperienza estatica dello stupefacente sin dall’antichità ha avuto uno stretto legame con la religione, basti citare sostanze psicoattive come Peyote ed Oppio come esempi più lampanti, ma è nel nostro presente che questa lettura acquista un altro valore.
Il mondo contemporaneo ha progressivamente perso la dimensione della spiritualità collettiva affidando sempre di più, soprattutto nel nostro Occidente, la cura dell’anima all’inventiva e alla capacità del singolo. Nel contesto di privazione spirituale della società contemporanea, quindi, l’uso di sostanze psicoattive non ha solo una radice sociale, ma è spesso un surrogato di Divino, serve per sopperire a quella fame d’infinito con la quale veniamo al mondo.
“Il bisogno di trascendere la personalità cosciente dell’Io, come ho detto, è un’inclinazione principale dell’anima. Quando, per una qualunque ragione, gli uomini e le donne mancano di trascendere se stessi con l’adorazione, le opere buone e gli esercizi spirituali, sono infatti a ricorrere ai surrogati chimici della religione: alcol e “pillole della felicità” nell’Occidente moderno, alcol e oppio in Oriente, hash nel mondo maomettano, alcol e marijuana nell’America Centrale, alcol e coca nelle Ande, alcol e barbiturici nelle più specifiche del Sudamerica.”
Aldous Huxley, Le Porte della Percezione, 1954
Ma quando, la droga, da mezzo per raggiungere Dio, diventa essa stessa l’oggetto di venerazione?
Questo può avvenire quando, come risposta ad un contesto sociale oppressivo o privativo, l’oggetto proibito diventa culto. (Del resto tutta la religione funziona così, ti dice niente la mela?)
Il culto del proibito serve anche a legittimarlo, creando intorno alla persona un’echo chamber di altri soggetti che assumono la stessa sostanza.
Potrebbe essere un riferimento alla cocaina questo, invece è il Salmo 119:62-63.
Ma non finisce qua, e finalmente andiamo a parlare del disco. Il parallelismo è anche nella funziona salvifica che si attribuisce alla sostanza all’interno della narrazione instaurata da Lauro.
“Dio C’è“(il disco, non il murales) ha un impostazione molto cinematografica da un punto di vista narrativo.
Una volta “riordinata la cronologia”, coadiuvata dai numerosi storytelling che il nostro usa, è relativamente semplice ricostruire la storia di un ragazzo proveniente da una situazione sociale e familiare difficile che trova nella droga prima e nello spaccio poi una possibilità d’evasione da quel contesto, quindi una salvezza.
Non ho citato a caso prima il concetto di echo chamber: all’interno del disco Achille definisce spesso i suoi amici e “””colleghi“”” come compagni d’avventura, come persone affidabili («io che con sta gente ho spostato più di mezzo milione», “Pusher”) o addirittura come una “famiglia” (“Dove il denaro non può“) in sostituzione del nucleo familiare canonico assente.
Quindi possiamo ricostruire la figura del giovane Achille Lauro come incassellato in un’echo chamber, della quale è anche un leader, che amplifica questa convinzione, vedendola legittimata dalle personalità di riferimento. (Di nuovo, come funziona la religione del resto?)
Ma, come nelle grandi storie del cinema (tutte citate da Achille Lauro in “Playground Love“) deve esserci un’imprevisto che porta ad una svolta.
Narrativamente il punto di svolta lo troviamo in “Pusher“, traccia nella quale viene raccontata la fine dell’epopea criminale del nostro protagonista. Nella terza strofa ci viene raccontato in prima persona l’arresto subito da Lauro (lui stesso usa il suo nome proprio, molto raro nella sua discografia) che lo porterà a mettere in dubbio quello stile di vita. La struggente outro del pezzo ripete: “Io non voglio finire così“.
Il colpo di scena, che introduce l’altro “Dio” del disco, lo vado a semplificare citando due versi da “Dove il denaro non può”
Nel momento più basso, quando ormai quella vita “non fa più ride” ecco che arriva la vera salvezza, la grazia di Dio in un certo senso: Il successo con la musica.
Prima di concludere la nostra storia però, prendiamoci una pausa per ricordare che non è tutto oro quel che luccica. Analizziamo il disco al dì la della storia che vuol raccontare.
Lo stile di narrazione su di me ha una vittoria molto facile: racconti di formazione adolescenziali che ascoltavo durante l’adolescenza, “Dio C’è” – così come i lavori di Gemitaiz, per citarne un caso analogo – mi hanno accompagnato durante gli anni delle superiori dando voce alle dinamiche della mia generazione, dalla noia alla fascinazione per il proibito. Quindi è inutile dire che è uno stile che mi piace. Ma lo trovo comunque affascinante oltre al mio gusto per il modo in cui qua è declinato.
Seguiamo tutta la storia in prima persona, come se fossimo con Achille per tutto il tempo, rendendoci direttamente partecipi del processo di formazione che avviene all’interno del racconto. È anche motivo di fascinazione l’utilizzo di concetti e temi religiosi all’interno di una narrazione molto street. Questo non solo gioca col titolo e col concept, ma contribuisce all’accostamente sacro/profano che non solo aiuta a catturare l’ascoltatore, ma crea anche un ambiente “religioso ma ricco di criminalità“, radicando ancora di più la storia nella Roma degli anni ’10.
“Che tutto quello che ho vissuto non l’avrei voluto mai per me
Achille Lauro – Prega Per Noi (Dio C’è, 2015)
La sensazione che proviamo e stare male che ne sai di me?
E le persone che ti guardano non lo sanno cosa fai per te
Che benedica Dio la vita mia se in fondo sono ancora me”
Dio perdonami
Achille Lauro – Dio Ricordati (Dio C’è, 2015)
Coprimi da squadre mobili, dagli elicotteri
Da indagini, dai lacrimogeni
Dio ricordati
Proteggici, proteggimi, protetti dai proiettili, senza antiproiettili
Qui cadono i meglio, ripensaci, mamma pensami
I momenti più onirici poi, come “Ora è Per Sempre” servono ad inquadrare la situazione dal punto di vista del protagonista, usando le esperienze raccontate negli altri brani per creare riflessioni.
La scrittura invece è molto legata rap di quegli anni, chiariamoci, un livello altissimo per il periodo, ma che oggi risulta eccessivamente verbosa in alcuni momenti ed alcuni stilemi tecnici sono invecchiati proprio male.
Questa verbosità può anche risultare funzionale in alcuni momenti, soprattutto negli storytelling, di cui come ho detto questo disco è pieno, ma va a cozzare sfociando quasi in cacofonia quando è vicina ai momenti cantati.
Mi do il gancio per l’ultimo, non difetto, ma caratteristica che oggi potrebbe far storcere non pochi naso, Achille canta un sacco in questo disco. Non ci sono i canonici “ritornelli brutti” del periodo, anzi, non molto tempo fa parlando con Simone Locusta elogiammo “Dio C’è” come il disco di quella generazione invecchiato meglio, però ci sono. Forse poteva essere un campanello d’allarme?
Torniamo a noi. Il momento più basso. Il successo con la musica. Nell’ultima traccia (c’è la deluxe lo so, ma nel cd è in fondo comunque), anche title-track abbiamo un time-skip. Uno dei colpi di scena più furbi che ho visto attuare nel panorama del rap italiano: tutto quello che abbiamo ascoltato fin’ora è successo nel passato, dall’infanzia fino a “Achille Idol Immortale”, quello del 2015 è un altro Achille Lauro. “Dio c’è” ha una scrittura completamente diversa rispetto a tutto il resto del disco: concetti veloci, metafore e parallelismi, eventi sparsi e citazioni. La scrittura del Lauro recente insomma.
In questa traccia Lauro nell’ultima ripetizione di ritornello dice anzichè “Dio c’è” “Dio Grazie“, questo può far intendere davvero che, nella sua ottica, è stato un miracolo la sua salvezza, in un certo senso.
D’altro canto non viene mai detto che il Dio a cui si fa riferimento sia quello Cristiano né tanto meno che sia effettivamente un Dio, potrebbe essere il Destino, la musica, il successo stesso. Non mi arrogo l’autorità di dare la risposta, lascio a te lettore l’arduo compito.
Alla fine di “Dio C’è” Lauro de Marinis muore.
Dopo tre giorni è risorto Achille Lauro. Gloria.
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