Recensione di DNA
Il successo che negli ultimi anni ha portato Ghali ad assumere un ruolo ai vertici nel panorama musicale italiano, oltrepassando il recinto che lo collocava all’inizio unicamente nella scena hip-hop, ha responsabilizzato il “rapper” di origine tunisine, ma così com’è giusto che sia: da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Il potere mediatico di cui parlo non riguarda lo status guadagnato all’interno del gioco grazie alle certificazioni o quant’altro, perché Ghali rappresenta un punto d’incontro, un filo di nylon, una figura che collega il mondo dei giovani alle generazioni precedenti. Ed è qui che il senso di responsabilità cresce, quando il target di riferimento non è più uniforme ma diventa composto da ascoltatori con i riferimenti più disparati che vanno a formare un pubblico più eterogeneo.
Nel suo primo album Ghali riuscì, a grandi linee, ad accontentare un po’ tutti; ma dopo il boom di “Cara Italia” il peso della responsabilità che gravava sulle sue spalle cominciò a farsi sentire.
A tre anni di distanza da “Album” arriva il secondo progetto di Ghali, “DNA”, il quale, a mio avviso, è la dimostrazione dell’ambizione e della maturità raggiunta grazie anche al grande arco di tempo impiegato per vivere, organizzare le idee e buttare inchiostro su penna con la consapevolezza di star scrivendo il secondo disco ufficiale, che a detta di molti è quello più difficile da realizzare.
Già dai primi di minuti ho avuto l’idea di ascoltare un prodotto dal sapore internazionale, e non solo per la presenza di artisti importanti come Soolking e Mr.Eazi, perché escluse poche eccezioni, la maggior parte dei brani di quest’album può entrare nelle rotazioni radiofoniche, senza però quell’attitudine tipicamente italiana, ma con un’impronta urban che rimane sostanziosa all’interno delle produzioni e nell’approccio ad alcune strofe. Nonostante l’allontanamento dai suoi trascorsi, di fianco a brani di un certo tipo come “DNA”, la title-track dell’album, o “Good Times”, già presentato in anteprima all’Ariston di Sanremo, troviamo delle chicche per i più nostalgici che ricordano il vecchio Ghali, come “Scooby” o “Marymango” ft. tha Supreme.
Se escludiamo “Boogieman” con Salmo uscita già a gennaio, la collaborazione con tha Supreme è stata sicuramente la più attesa dagli ascoltatori, ma chi ha un orecchio anche al di fuori della penisola non poteva non essere incuriosito da quella con Soolking, la quale non è stata la prima e non sarà l’ultima collaborazione con artisti di caratura internazionale, dato che nell’ultimo anno il rapper di Baggio ha realizzato i RMX di “Antisocial” con Ed Sheeran e Travis Scott e di “Vossi Bop” con Stormzy.
Un disco che mira ad un target più esteso avrà per forza di cose tematiche popolari comuni a tutti, dai pezzi lovely fino ad altri clichè, ed in mezzo a questo sfondo generale Ghali fa riferimenti al passato e a ciò che lo circonda. Il superamento delle difficoltà del successo viene a volte dato per scontato e Ghali ormai è definibile una popstar. Può essere destabilizzante essere catapultati in un mondo così complesso nel quale hai sempre i riflettori contro e nel quale tutti hanno aspettative su di te. Il primo album va forte, il tour anche, poi finisce, “e adesso?”. Dopo la divisione con Charlie Charles, era necessario ricaricarsi e mostrarsi al pubblico in un’altra salsa, con diversi produttori (da Mace a Sick Luke, passando per Venerus), pur mantenendo il proprio stile e conferendo a DNA la varietà e la qualità necessaria per un album di successo, un album maturo che rappresenta un’evoluzione naturale e coerente con la strada che Ghali vuol percorrere.
Di Simone Locusta
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