“Entergalactic” è il nuovo disco di Kid Cudi, seguito naturale e spirituale dell’ultimo (ad oggi) capitolo della saga “Man On The Moon” che l’ha reso celebre, risalente a due anni fa. Ho usato il termine “spirituale” perché, in qualche modo, questo progetto ricalca quelli che erano i tratti somatici caratterizzanti della trilogia, seppur con nuovi punti di vista e, più in generale, un nuovo Cudi, non a caso si presenta come distaccato.
Come ogni disco del rapper di Cleveland ci troviamo ad affrontare qualcosa di unico, progettato al fine di produrre una gamma di sensazioni nell’ascoltatore difficilmente raggiungibili con altri dischi rap. Ed è per questo che la mia intenzione è di recensirlo perseguendo una strada diversa, lasciando da parte il comparto tecnico ed affidandomi maggiormente alle sensazioni e alle vibes che quest’opera suscita in me.
Partiamo dall’aspetto che mi ha lasciato più di stucco, al primo ascolto. Ad ogni traccia facevo fatica a mantenere l’attenzione sull’ascolto. Non perché il disco fosse brutto sia chiaro, ma l’atmosfera costruita dalla fusione di beat e voce mi spingeva a rinchiudermi nei miei pensieri, ad isolarmi dall’esterno, quasi spingendomi a meditare e riflettere a discapito della stessa musica, che rimaneva un lontano sottofondo sfocato.
È a questo punto che mi sono soffermato a guardare con attenzione la cover del disco, elemento che considero di fondamentale importanza. Se l’artwork è progettato a dovere, infatti, diventa esso stesso componente del disco, se non addirittura sintesi visuale della musica stessa. E questo è uno di quei casi.
Osservando la grafica vediamo come Kid Cudi sia al centro di tutto, accompagnato da una sconosciuta figura femminile, una musa, in mezzo a quello che è il mondo visto secondo i suoi occhi, rimodellato in base ai suoi colori, ma comunque posto in secondo piano a fare da sfondo. La galassia in cui lui per primo entra accompagnando noi altri, alla scoperta del suo universo. Non è un caso che il titolo sia “Entergalactic”, un sapiente gioco di parole sulla base del termine intergalattico (in inglese intergalactic) e il termine accedere (in inglese enter), letteralmente quindi “accedere alla galassia”, ma ricordandoci il concetto di intergalattico, rimarcando come Cudi abbia superato lo stallo sulla luna per aprire a se stesso in primis nuovi orizzonti.
La componente visiva in questo caso è così forte ed importante da spingere l’artista a creare un documentario pubblicato su Netflix in concomitanza con l’uscita del disco e chiamata, appunto, “Entergalactic“.
Oltre a tutto questo c’è da fare anche un discorso sui colori: riprendendo la (splendida) cover di “Man on the Moon III” la scelta è di utilizzare la medesima pallette, basata sul viola e sui colori freddi affini ad esso; ma, questa volta, con l’aggiunta di un punto luce caldo, giallo, come il sole, verso cui il protagonista si avvia. Forse una metafora che indica come abbia superato la monocromaticità a favore di una nuova componente calda e colorata della sua vita, presumibilmente quell’amore regalatogli dalla musa ispiratrice al suo fianco. Ed è questo il concetto attorno a cui il disco ruota.
“Entergalactic” è l’amore raccontato da Kid Cudi, da una sua nuova versione come lui stesso ci dice in “New Mode”:
“Finally got my head right, it’s a new me
It’s like I got heaven in my sights now, beauty I see“
L’approccio alla musica rimane quello di sempre, è l’autore che è cambiato.
Il risultato è un progetto uniforme, coeso, basato come già detto su un solo colore (rappresentato visivamente dal viola della copertina) e reso più complesso e completo da una gamma di sfumature al fine di raccontare in ogni sua sfaccettatura la bellezza emotiva di cui è testimone. Ascoltare questo progetto è come fare un infuso composto da centinaia di ingredienti simili che, nel risultato finale, finiranno con l’essere quasi indistinguibili, ma fondamentali al fine del risultato finale, che raggiungerà quell’apice di gusto unico solo grazie a tutte le minime componenti che ne fanno parte.
Probabilmente è grazie a questo processo costruttivo basato sui microelementi che lo rende così uniforme, tanto da dimenticarmi di doverlo ascoltare. Come se ascoltassi un disco che conosco a memoria.
Un disco così morbido e ovattato da essere perfetto in ogni situazione in cui la nostra mente richiede calma, dallo studio alla meditazione, come sottofondo o concentrati sulla musica per placare la tensione nervosa e ritrovare la serenità. Entrando, come Cudi, nella galassia paradisiaca che lui stesso ha costruito per noi, rasserenando esso stesso in primis, dopo più di dieci anni rinchiuso nel limbo rappresentato dalla luna. Il “man on the moon” finalmente ha trovato il modo per scappare da lì, per iniziare un nuovo viaggio intergalattico in questo nuovo universo di luce a cui abbiamo avuto il privilegio di accedere, aspettando di scoprirne gli angoli più remoti nella prosecuzione dell’esplorazione.
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