JID è stanco. Stanco di non ricevere l’attenzione che merita, di non essere al centro della conversazione, e per questo motivo non ha soltanto rilasciato il suo quarto studio album, ma ha deciso di scaricare un intero caricatore contro ogni cosa gli stesse davanti, persino Bob l’aggiustatutto.

“Lisan al Gaib, I see a tiny line of silver
A way to make a play, although they say it’s unfamiliar
It’s off the kilter, I say the words without a filter
You gotta have nerve, it’ll make you strong if it don’t kill ya
I’ll put a bullet in Bob the fuckin’ Builder
‘Fore they try and kick us out the building, what about the children?”
God Does Like Ugly è un disco monumentale, che esplora a fondo il vissuto di un artista spesso sottovalutato, specialmente oltreoceano. GDLU, come JID, è tagliente e incandescente. Sebbene il B side del disco prenda d’improvviso una piega più melodica, disegnata da featuring di spessore come Ciara, Jessie Reyez, 6LACK e Mereba, la prima parte arriva come il più fulminante 1-2 di Tyson.
Tra continui tributi alla sua Atlanta, strofe che raccontano della sfida per emergere in un’America sempre più bianca, e il bisogno di legittimazione che ispira la sua musica da anni, il natio georgiano ci porta dentro il suo mondo fatto di fatalità, educazione di strada e diffidenza.
Già in The Forever Story (2022), e.g. Crack Sandwich e Bruddanem, ci aveva aperto le porte del suo ghetto fornendone una versione completamente unfiltered, nessun compromesso, pura e cruda verità. Nonostante questo, JID si è spinto ancora oltre.

La sua narrazione, così come le storie di cui è testimone, si muove lungo un solco pressoché identico a quello che orienta da sempre la sua carriera musicale. I suoi raps raccontano con avvedutezza e con un’inquietante ironia il dramma dei bassifondi del Paese più potente del mondo, eterno ingrato nei confronti della propria “spina dorsale”.
Allo stesso modo, anche lui lotta da sempre a gomiti larghi per conquistarsi il proprio spazio come artista. È proprio questo senso di rivincita, che in God Does Like Ugly si avvicina più ad uno di vendetta, a muovere tutto il disco. La sua è una rabbia lucida, fermentata negli anni ed ora esplosa con parole sputate con la schiuma alla bocca.
Nonostante gli occhi rosso sangue, ad ascoltarlo con attenzione, JID sembra tenuto sotto scacco da una intricata tensione interiore.
Mentre in Gz o in YouUgly non sembra esserci spazio per comprensione e riflessione, tanto da pensare che: “Martin was wrong, Malcolm was right”, in tracce come VCRs e K-Word i dubbi prendono il sopravvento:
“Personally, I know nobody never been perfect or move perfectly
I’m prayin’ when you see me at my worst, you see worth in me
Battlin’ demons, addiction, and adversity
Balancin’ dreams internally, it’s my eternity”.
A volte intrappolato, ed altrettante volte liberatosi dalla morsa del passato, JID racconta il suo mondo da fuori senza mai distanziarsene completamente.
La nitidezza delle immagini dipinte è la stessa di quelle ormai impiantate nella memoria collettiva da Kendrick Lamar con goodkid, m.A.A.d city (2012), con la differenza che la rabbia del primo arriva con la forza di uno tsunami. In Community, traccia già diventata leggendaria grazie al feat. dei Clipse e la potenziale strofa dell’anno di No Malice, lo storytelling è immacolato:
“It’d be a shame if you stayed in them ‘partments
12 barely even came to them ‘partments
Catch a play then parlay in them apartments
I swear it’s like a party every day in them ‘partments
You was raised in them ‘partments, dang
Jump a shot or join a gang in them ‘partments
My mama say we gotta get away from them ‘partments, it’s graves in them ‘partments
And it ain’t gotta end this way ’cause we ain’t start shit”
Le similitudini con altri capolavori del passato sono innegabili, come in N.Y. State of Mind, Pt. II in cui Nas rappava:
“Broken glass in the hallway, bloodstained floors
Neighbors look at every bag you bring through your doors
Lock the top lock, momma should’ve cuffed me to the radiator
Why not? It might’ve saved me later from my block
N.Y. cops, hookers crawlin’ off the stroll, coughin’
Stitches in they head, stinkin’ and I dread thinkin’ they be snitchin’
But who else could it be?
Shook at these unmarked vans, parked in the dark
NARC’s — where’s your heart?”
Nas – N.Y. State Of Mind Pt. II (I Am…, 1999)
La credibilità, e quindi l’immedesimazione, costituisce da sempre un elemento fondante l’apprezzamento della “comunità” nei confronti di un artista. Mai come nel caso di GDLU, JID ha deciso di non lasciare spazio ad interpretazione, mostrando ogni parte di sé.
Le sue storie sono così vivide da attaccarsi addosso, scheggiandoti per sempre l’ippocampo. La carica emotiva così come il capitale personale e generazionale investito avvolgono le sue strofe, che strizzando l’occhio ad un passato glorioso rendono omaggio ad una tradizione fatta di: delivery, fedeltà alle storie raccontate e sentimento.
Il miami bass in Sk8, l’RnB d’avanguardia e alieno servito con Don Toliver in What We On che si mescola a quello più tradizionale di No Boo fanno da contraltare al sound “brutto” e ruvido che permea l’album.
Questa versatilità fa di JID un’artista a tutto tondo, che ripudiando da sempre l’etichetta di rapper fatto e finito, si confronta continuamente con influenze e tempo variegati.
Ulteriore testimonianza del carattere composito della sua musica, la lunga lista di artisti che hanno deciso di collaborare al disco, tutti provenienti da background estremamente differenti. A guardare soltanto la Preluxe Edition, poi aggiunta al LP, nomi come Eminem e Lil Yatchy ne sono la prova.
Voluto o no, God Does Like Ugly è il progetto più sfacciato del suo catalogo, oltre che uno dei migliori di quest’anno. In un 2025 dettato da uscite come Life Is Beautiful, il ritorno trionfale dei Clipse, di Freddie Gibbs e TheAlchemist con Alfredo 2, e per ultimo Earl Sweatshirt con Live Laugh Love, l’album del natio di Atlanta, Georgia è una manata, di quelle tirate da chi non vede l’ora di esploderti in faccia.
“I really do this shit like it’s my diligent duty
But I see you comparin’ me to certain people
It’s rude, and I feel stupid as—
I had enough of the foolishness”
“I ain’t mad at none of you, this shit amusin’, it’s just music and I love it
So I lose it when they leave me out the loop of who’s the truest
Who’s who, and I’m just here like “Yoo-hoo?”“
Se è vero che Dio illumina con la propria luce, le tenebre di GDLU sono capaci di assorbire ogni raggio, trasformandosi nel “bello” del creato. Proprio come in Moonlight (2016), capolavoro di Barry Jenkins distribuito da A24, è solo ciò che brilla al buio, tra le ombre, ad essere speciale.
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