Recensione di Mr. Fini
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<<Il termine franco-tedesco “colossal” (pronuncia francese [kɔlɔˈsal]) o kolossal (pronuncia tedesca [kolɔˈsaːl]), che tradotto significa “colossale”, viene utilizzato quasi esclusivamente in Italia, per indicare un film (e, per estensione, anche uno spettacolo in genere) svolto con grande impiego di mezzi e partecipazione di attori. La maestosità investe anche le scenografie, gli effetti speciali e il lancio pubblicitario. […]>>.
Iniziamo l’articolo, grazie ad un bel copia-incolla direttamente da Wikipedia per rendere il tutto più semplice e pratico, con una definizione esplicativa del termine Kolossal, utilizzato da Guè per dare un’idea della grandezza del suo ultimo album, “Mr. Fini”. Un Kolossal, un classico, un album destinato a restare nel tempo e che non sia limitato a rispecchiare le mode di un determinato segmento storico, è così che Guè definisce, in poche parole, la sua ultima creatura. Diverse sono state le asserzioni volte a creare attesa e aspettative intorno al progetto, come se poi ce ne fosse bisogno: Guè è uno degli esponenti più rilevanti della scena Hip Hop italiana e ogni sua uscita è segnata sui calendari di tutti i fan, e perché no anche degli haters.
Le aspettative, o almeno le mie, sono schizzate alle stelle quando Cosimo ha definito l’album come un sequel di “Vero”, suo album del 2015 contenente diverse pietre miliari e definito da tutti, o quasi, il suo migliore per distacco.
Come in ogni ambito le aspettative troppo alte non fanno mai bene, e proprio per questo motivo il primo “play” di “Mr. Fini”, esclusi pochi brani, è stato tutto tranne che convincente. Ci sono voluti diversi ascolti per separare l’album dall’atmosfera creatasi intorno, per cogliere l’anima di un progetto che ha un suo valore specifico, senza il bisogno di esser paragonato ai precedenti.
L’album si presenta imponente, 17 tracce con 12 featuring, alcuni più scontati come Marracash, Luchè o Sfera Ebbasta, e altri più a sorpresa come Alborosie, Paky o Noizy, tanto per fare dei nomi, quel tipo di collaborazioni che contribuiscono a dare un gusto frizzante ad un album che altrimenti rischierebbe di suonare monotono, uguale a tanti altri dischi nei quali girano sempre gli stessi nomi. Per carità, non dico che il disco vada controcorrente, anche perché tutti gli altri nomi non li scopriamo solo oggi, ma fare un brano dalle sonorità Reggae con Alborosie o chiamare un rapper albanese nel proprio disco sono scelte di chi vuole osare, e in queste mosse il Guercio non è certo novizio. In antitesi con questo tipo di tracce ci sono quelle più radiofoniche e appetibili per l’orecchio italiano come “Tardissimo” in compagnia dei gemelli Mahmood e Marracash o “Saigon”, primo singolo ufficiale dell’album che ricalca quelle sonorità anni ’80, tornate in auge grazie soprattutto ad “After Hours” di The Weeknd, per cui in Italia, ultimamente, sembrano andati tutti fuori di testa.
Il contenuto generale dell’album non si discosta così tanto dai precedenti. Lo dissi anche nell’articolo su “Gelida Estate EP” , Guè Pequeno è più Hip Hop di quanto pensiamo e nonostante la carriera ventennale non smette di deliziarci con i suoi incastri e le sue citazioni, mai come oggi dedicate all’industria cinematografica, iniziando da “Blow”, passando per “Il Padrino” (citato anche nella copertina) , fino ad arrivare a “Scarface”, che sì, saranno anche mainstream, ma rispecchiano perfettamente l’immaginario gangsta che Guè ha utilizzato per creare le sue ambientazioni.
Seppur con le caratteristiche solite dei suoi album viste e riviste, Guè questa volta fa un salto in avanti, un salto che mi ha fatto capire cosa intendesse quando definì “Mr.Fini” un sequel di “Vero”. Nonostante lo status raggiunto nel corso degli anni, che gli permetterebbe di vivere una vita agiata nel mondo pop, lontano dalla competizione, Guè non riesce proprio a pulirsi dalle scorie della vita di strada, sempre trattata durante la sua carriera e che, seppur non più al centro della sua routine, contribuisce a forgiare quell’attitudine Hip Hop che rende Il Guercio una figura cardine nell’ambiente. All’interno di questo progetto troviamo Cosimo più sincero che mai, deciso a raccontarsi nell’intimo ed a mostrare il suo lato più introverso e malinconico, un’esposizione che va oltre la semplice canzone d’amore. Cosimo è alla soglia dei 40 anni ed è arrivato per lui il momento di fare i conti con sé stesso, quante scelte sbagliate, i se e i ma, il tema della morte e la paura di non aver fatto abbastanza, tutti temi ricorrenti nel disco che, tra una tamarrata con Geolier e Lazza, mostrano il lato più umano del Guercio.
Mr. Fini non è un Kolossal, non è un classico. E’ però il disco più maturo che Guè potesse fare ad oggi, un disco sincero, con molti alti e pochi bassi, che probabilmente verrà rivalutato negli anni come successe poi con “Vero”, oppure, per tornare al tema cinematografico, come successe a “Fight Club” o “Donnie Darko” , stroncati dalla critica e rivalutati solo successivamente.
Di Simone Locusta
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