Recensione di GORE
La ricerca della verità soul-trap per la blackness
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Sulla fronte, come un tattoo, Lous & The Yakuza ha un segno ideografico. Un simbolo che rappresenta, secondo la comune prospettiva self-centrated, una figura umana che tende le braccia al cielo. Fin dal primo sguardo, il tratto stabilisce inevitabilmente una connessione emotiva con l’ascoltatore di GORE.
Una narrazione per immagini dell’ovunque ed ora che rappresenta, fin dalla copertina a luci rosse del disco di debutto, il collegamento empatico fra le realtà su carta dei testi dell’album e le emozioni fluttuanti dei destinatari.
A suo modo, la carriera della nuova promessa dell’urban pop internazionale, è un manga – e tanti manga. La musica e la vita di Marie-Pierra Kakoma, in arte Lous & The Yakuza, confluiscono come inchiostro sulle tavole dei fumetti giapponesi che, lei per prima, ama follemente: arte invisibile – è o non è l’essenza stessa della musica? – che risuona nel cuore del fruitore.
Come lo schema di lettura dei fumetti giapponesi, che dirige lo sguardo da destra a sinistra, la visione musicale di Lousita Cash – il nome del profilo IG – è una sequenza di immagini giustapposte e conseguenti significati liberi da ordini precostituiti, che provoca una reazione estetica ed emotiva.
A ritroso rispetto al senso di lettura cronologico occidentale, GORE è il primo album di Lous & The Yakuza, interamente prodotto da El Guincho – il produttore di Rosalìa, che a solo un mese dalla release ufficiale conta migliaia di streaming. I dieci brani, senza neanche un feat, si sviluppano in un ki-shō-ten-ketsu autobiografico volto alla ricerca della verità sulla black culture, sul ruolo sociale delle donne, sulla prostituzione e sulle malattie. Proprio come nei fumetti, il progetto discografico è un disegno confusionario di senso sociale compiuto. Mangaka, Lous dà profondità alla composizione con la narrazione delle contraddizioni dei sentimenti.
La sonic palette della cantautrice interpreta, invece, tutta la follia e la dinamicità che contraddistinguono i fumetti del Sol levante. Il sound di Marie-Pierra Kakoma è unico e multiforme. Le sfumature della sua voce raggiungono tonalità empatiche, basse e vellutate, talvolta rauche; i beat travolgenti rimandano ad una dimensione ritmica cosmopolita, al confine con l’urban americano, il ghetto-flavour belga, il pop classico francofono e i ritmi tribali africani.
In questo stile, nei videoclip che hanno preceduto GORE figurano le immagini di significati fluttuanti della visione artistica di Lous & The Yakuza.
Nei manga comics la fedeltà del lettore al protagonista della storia si costruisce sin dall’introduzione. Dilemme è stato il primo singolo conoscitivo di Marie-Pierra Kakoma nel panorama musicale europeo. Il brano è una poesia dialogata con la sua stessa anima, in preda alla sofferenza per il passato buio – tra Congo, Belgio e Ruanda – e le conseguenti ragioni dell’esistenza, mentre sta con sicurezza sul beat della trap-ballad francese.
È il 19 settembre 2019 quando esce la prima clip officiel del singolo. Lous & The Yakuza, anagramma di soul, è magnetica in ogni declinazione estetica di se stessa, autentica in ogni rappresentazione della sua vita.
Debutta controluce, vestita di rosso mattone. In un attimo, è circondata dai black dancers che, sulla strada allegorica, liricamente traslata, dell’ispirazione estetica rinascimentale, hanno il fascino di centauri e cavalieri. Quand je suis triste, je chante. Il viaggio nel tempo, metafora della sua vita, la riporta nel damn ghetto in top sportivo e turtleneck sweater tagliato sopra il seno. Lo styling definisce la realtà della street dance di Bruxelles, ma anche la gestualità ipnotica di Lous, in bilico fra gli stati d’animo e le urban vibes sensuali. “Blague à part” devient “Lous à part”. L’anima otaku si veste di un crop top con le maniche a sbuffo che lasciano le spalle scoperte e cycle pants neri, mentre il septum, in contrasto con i segni ideografici giapponesi sulle guance, la spoglia di ogni sovrastruttura inautentica di personalità fra le “immagini in movimento”. Si jamais je freine et que je ne fais plus de scenes. Il videoclip di Dilemme è il manifesto introspettivo della nuova promessa soul-trap cosmopolita. La sineddoche più suggestiva degli universi di valori di Lous è la scena in cui, sostenuta dalla piramide umana dei ballerini black, volge una mano al cielo – eterea in un abito a palloncino azzurro – e si compie il rituale rivelatorio di resilienza personale e fratellanza della sua gente. C’è anche un tributo ad Alaa Salah, la ragazza legata alle proteste del Sudan.
Seguono, nel giro di pochissimo tempo, gli short-movie musicali di Tout est gore, Solo e Amigo, che sanciscono il sodalizio creativo con la regista Wendy Morgan e la stylist Elena Mottola.
In Tout est gore i codici estetici africani si arricchiscono di embellishements hip-hop. Lousita Cash è un’amazzone sensuale e futuristica che combatte, in tuta military di nylon, a suon di frequenze multiculturali. L’ambientazione del videoclip la conferma come fly del pop-rap francese. Non esce mai senza qualcosa di rosso, dal bra dal design minimale, in bilico tra ispirazione Nineties e componente africana, al bomber in vinile con le maniche a sbuffo in organza nera. Vestita di ogni sfumatura del nude convenzionale occidentale, coi fantasmi della storia addosso, Lous siede composta sulla scalinata di una metro inondata di sangue: è un riferimento agli eventi politici che hanno segnato il suo passato – On vit et puis on oublie car tout est gore.
La clip officiel di Solo è un video essenziale. Kakoma è vestita in total red, nota di colore in un capanno spoglio. La performance è una richiesta d’aiuto introspettiva per affrontare le difficoltà della vita.
In Amigo, un Gucci in organza plissettato si muove al vento dei pensieri di amor proprio. Lous viene raffigurata con le parvenze e le movenze di una strega. Come se i drammi, amplificati dalle inquadrature confusionarie, fossero stati gli elementi per compiere l’incantesimo salvifico. Migliore amica di se stessa – di qui il titolo del singolo, Marie-Pierra canta il proprio Rinascimento attraverso ogni strumento creativo, dalle location immense allo styling ispirato a shape cinquecentesche firmate Dilara Findikoglu.
La storia cinematografica si compie come un rituale magico che ha dell’eccellenza interpretativa. I ballerini, vestiti di bianco, crollano uno dopo l’altro, come problemi; ma alla fine la protagonista balla felice con i propri dilemme, in segno di accettazione e consapevolezza del passato.
Lous & The Yakuza è un progetto musicale e visuale dal fascino globale, in cui le vibes tribali e sciamaniche delle origini africane dell’artista si fondono con l’atmosfera urban del ghetto di Bruxelles in cui è cresciuta e con la sua predilezione per la cultura giapponese. Marie-Pierra è un’amazzone bellissima che combatte in nome di un’intera generazione, e, al contempo, una rapper streetwise che droppa versi poetici, a tal punto da essere scelta come testimonial per le maison di moda Louis Vuitton e Chloé, da essere sulle ultime cover dei fashion magazine i-D e POP, e da essere invitata nei più seguiti show televisivi europei e d’oltreoceano, dall’omonimo del conduttore Jimmy Fallon all’italiano Che tempo che fa.
Sembra quasi una versione aggiornata delle guerriere di Black Panther – con l’hairstyle del Quinto Elemento e alcune parvenze di una strega di New Orleans – la cui missione è quella di dare sempre più occasioni alle donne black, così black, senza permettere che si sentano inappropriate.
Il Wakanda diventa lo Yakuza, popolato dalla sua comunità artistica, da El Guincho, a Wendy Morgan, a Elena Mottola, al cast composto esclusivamente da ballerini afroamericani, e da tutti quei loser che la società odierna mette continuamente da parte. Il secondo termine del nome d’arte dell’enfant prodige belga è un manifesto di riconoscenza meritocratico, del team che rende possibile il suo successo, e degli emarginati, di cui è stata, in primis, parte integrante.
I media non hanno perso l’occasione di far leva sulle difficoltà che la vita le ha riservato. Marie-Pierra Kakoma è nata nel 1996 a Lumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo, paese natale che è costretta ad abbandonare alla volta del ghetto più pericoloso di Bruxelles. Segnata già dalla separazione prematura dalla madre, torna in Africa, in Ruanda, dove assiste agli effetti strazianti del genocidio. È riuscita a tornare in Europa alcuni anni dopo, ma, visto il mancato sostegno dei genitori, vivrà per strada e dormirà in studio di registrazione nella speranza di realizzare il sogno di fare musica. Il passato tormentato di Lous non si può cancellare, ma è il momento di smettere di compatirla. Il documentario su di lei, Lous Plourielle, è al terzo short film di cinque previsti. “A nice person”, vorrebbe essere definita solo così. Ha confessato di essere una persona nostalgica, molto legata ai suoi ricordi e consapevole dell’importanza del suo vissuto travagliato. Ma, ad oggi, Lous & The Yakuza è una légende urbaine solare, positiva ed energica; ha un’incontenibile voglia di vivere e un profondo senso di gratitudine, come simboleggia quello stilema ideografico tatuato sulla fronte.
Di Maddalena Tancorre
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