Amo raccontare i dischi. Mi piace scioglierli in una storia che abbia un inizio, uno svolgimento, una conclusione. Da quando scrivo mi perdo nei temi, nelle narrazioni, nelle atmosfere e in un tutto quello che rende l’ascolto un viaggio interiore tra le intenzioni dell’autore e le orecchie dell’ascoltare. I miei articoli hanno questa impostazione, da sempre. Ma questa volta dovrò fare uno strappo alle regola e provare a uscire dal mio seminato.
Poco racconto e più risposte. Odio farlo, ma dopo aver ascoltato la versione completa di “Canerandagio” di Neffa mi sento tanto orfano di narrazione, quanto ostaggio di una turba di quesiti che cercano una casella in cui collocarsi. Facciamo un passo indietro e diamo il contesto necessario.
Da venerdì 29 agosto, su tutte le piattaforme di streaming, è disponibile “Canerandagio” l’ultimo disco di Neffa. Il progetto in realtà è il completamento della parte uno dell’album, che l’artista aveva precedentemente pubblicato ad aprile di quest’anno. Come dimenticarlo, d’altronde.

Il progetto è stato uno dei momenti più importanti del rap italiano degli ultimi anni, segnando “il ritorno sulla traccia” di uno dei padri fondatori del genere nel nostro paese, dopo 25 anni di assenza dal boom bap. Tanta nostalgia, tanta potenza espressiva e tante criticità. Ti rimando alla mia recensione di quel progetto. Te la lascio qui, non mi dilungherò.
Alla fine di quell’articolo dicevo che prima di poter avere una visione completa di uno dei ritorni più clamori dell’HipHop italiano avremmo dovuto aspettare l’opera completa, per riuscire a donare nuovo senso al rap di Neffa dopo un quarto di secolo, per inserirlo in una corrente, per dargli un significato che travalicasse il mero “effetto nostalgia”. Il momento è arrivato e “Canerandagio -parte 1” si è arricchito delle dieci tracce che lo separavano dalla sua forma compiuta.
Trovo iconico che su Spotify l’album si componga di due dischi separati. Siamo abituati, ormai con una prassi collaudata, a vedere i brani delle deluxe edition aggiungersi in coda o in capo al disco di partenza, contribuendo a quell’idea che gli LP ormai siano diventati dei contenitori sempre aperti a cui l’artista può aggiungere canzoni senza troppo sforzo, come se rimpolpasse una playlist. Neffa in questo recupera un formato che strizza l’occhio al vinile, ai supporti che anticipavano l’era dello streaming. Già parlando di “Canerandagio – parte 1″ mi ero soffermato sull'”analogicità” del progetto, che voleva recuperare le atmosfera della musica suonata dal vivo, della jam session in studio. Il rapper salernitano in questo non si smentisce e confeziona agli occhi dei fan un progetto con il lato A e il lato B. Dopo che la puntina ha raschiato il fondo della prima metà, l’ascoltatore ha il dovere di sollevare il braccio del giradischi, capovolgere l’LP e apprezzarne l’altra faccia. Facciamolo, allora.
Non so cosa mi aspettassi precisamente da queste tracce. Forse, dento di me, speravo che, completando il disco, Neffa riuscisse ad affrontare i problemi che erano emersi nella prima metà, a dare una quadra ad un flow e a delle rime affaticate da 25 anni di assenza da questo tipo di metriche. Eppure non è così. “Canerandagio – parte 2,” anche solo visivamente, ripropone le stesse movenze della sua parte gemella, questa volta, però, accentuandone i difetti e diluendone i pregi.
Delle dieci tracce proposte, sette accolgono ospiti sulle basi. Neffa, come ad aprile, si diverte a incrociare le generazioni e così riunisce esponenti di tutte le epoche del rap e dell’urban italiano, da Kaos a nayt, da Jake La Furia a Mahmood, passando per Salmo e J-Ax, con il quale il rapper di Salerno riscopre un sodalizio che risaliva ai Due di Picche. Come qualche mese fa, però, tutti gli ospiti si cimentano in un passo a due con la leggenda e lo fanno dando prova dei loro passi migliori. I rapper che accompagnano il guaglione sulle tracce regalano prove di pregio: Jake, impeccabile su beat old school, passa la palla ad un nayt che attorciglia rime di critica sociale; un Coez scanzonato e ironico anticipa le liriche magistrali e poetiche di Kaos, mentre Mahmood è testimone del nuovo RnB nazionale nel confronto con la vecchia guardia.
Ma Neffa? Il padrone di casa apre le porte del suo disco, ma, come dicevo mesi fa, non regge il confronto e così il disco collassa. Il guaglione del rap italiano non tiene fede al suo stesso mito e le sue rime, così come in “Canerandagio – parte 1” suonano stanche, affaticate, usurate. Neffa si barcamena nei flow ma non trascina con sé l’ascoltatore che resta estraneo anche agli incastri più arditi del disco (penso a “Santosubito/Rubik”), quasi come se l’ex Sangue Misto non riesca più a vestire i panni dell’MC, ormai messi nell’armadio da un quarto di secolo.

Se da un punto di vista tecnico il disco non rimane in piedi, da un punto di vista musicale Neffa dà prova di essere un fine conoscitore di musica. Un campionario di sonorità compone il ventaglio di “Canerandagio – parte 2” che sembra farsi epitome di un HipHop al passato, analogico, appunto. “Show” apre il progetto con le sue atmosfere funky, a cui segue l’oscurità della notte del beat old school di “Biancoenero”; il jazz la fa da padrone sia in “Deidellolimpo” che in “Santosubito/Rubik” aprendo le porte al campione finale di “Addio” che attinge direttamente dalla Lacrimosa del Requiem di Mozart. Tanto musica, tanti spunti sonori che trascinano indietro nel tempo un disco che viene trascinato dall’effetto nostalgia, abdicando, però, alla freschezza della modernità.
Forse questo è il più grande tallone d’Achille del progetto. Se “Canerandagio – parte 1” accompagnava il suo avvento con la bellezza di ritrovare, anche malinconicamente, un peso massimo del rap italiano sui 4/4, “Canerandagio – parte 2” non ha con sé nessun effetto novità, pur facendo leva ugualmente sull’effetto nostalgia. Nel disco, Neffa e i suoi ospiti continuano a far cenno ad una trascorsa età dell’oro del rap italiano, ad un altrove cronologico necessariamente migliore del presente del genere.
Lascio dietro un mondo che sembrava l’Eden […]
Neffa, Jake La Furia – Biancoenero (Canerandagio, 2025)
Siamo veterani tra questi cani
Tempus fugit (Ah), senti ‘sti lupi (Ah)
Neffa – Burnout (Canerandagio, 2025)
Ti volti e non vedi più ballotta e groupies (Ah)
Ulisse ora è tornato (Ah)
Neffa, Kaos – Deidellolimpo (Canerandagio, 2025)
Tornato perché è il funk che lo vuole (Lo vuole)
Se non capisci le parole, c’hanno spezzato i sogni
E le ali sotto le suole
Perché abbiamo volato troppo vicino al sole
Troppo vicino al sole
Il rapper ricorda gli anni di Bolo, gli anni del rap vecchia scuola, della black music, della ballotta. Vuole trascinare l’ascoltatore in un mondo distante nel tempo e nello spazio, ma non ci riesce. E così il progetto non sta in piedi: non suona come uno splendido omaggio all’HipHop di un tempo e non si aggancia alla freschezza del presente del genere in Italia. Né vecchio, né nuovo. Neffa resta lì a cercare di rianimare un effetto nostalgia che si è già consumato interamente con la parte 1. Gira intorno, non avanza e non procede: se l’idea di “canerandagio” originaria era sinonimo di outsider, di libertà musicale ed espressiva controcorrente, il “canerandaio” del progetto ultimato si morde semplicemente la coda.
Veniamo alle conclusioni.
Avevo promesso una serie di domande, ma non ho tenuto fede a me stesso. Le lascio in calce, magari nei commenti qualcuno risponderà: cosa resterà del ritorno del pappone della traccia? Oltre la nostalgia, un progetto come questo di cosa ci parla? Neffa ha ancora la postura del rapper? Vuole averla? La sua libertà artistica è rivendicata o è dettata da scelte commerciali? Dividere il disco in due è stata una buona idea? Rappare come nei ’90 ha ancora un suo impatto?
Il disco si chiude con “Addio”, in collaborazione con Salmo. Nel ritornello, Neffa sembra congedarsi:
Addio, mio amore, questo è il mio ricordo
Neffa, Salmo – Addio (Canerandagio, 2025)
Addio perché stanotte io non torno
Mi piace pensare che Neffa parli al rap, al suo amato/odiato HipHop così rincorso ed evitato per un quarto di secolo. Mi piace credere che con “Canerandagio” Neffa abbia solo fatto omaggio alla cultura che lo ha accarezzato con le mani della musica. In questo scenario, nelle mie fantasie, “Canerandagio” nella sua totalità è l’ultimo disco rap di Neffa, l’addio vero della leggenda. Mi piace credere in tutto ciò, ma anche lo spero vivamente.
Se deve essere un arrivederci, speriamo, invece, che abbia altre premesse.
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