Parlando di “Spirito Libero” dissi – con una pindarica citazione a quel capolavoro di Blues Brothers – che Shablo & co. erano in missione per conto di Dio. La missione era sacra; riportare il rap a guardarsi dentro, a recuperare quel legame atavico con la Black Music, genere e cultura che, salvo rari casi, in Italia non si è mai davvero consolidato.
Shablo, Guè, Joshua – Spirito Libero ft. Tormento (Manifesto, 2025)
Ascoltando “Manifesto” il paragone con il cult di John Landis era sempre più lampante e la mission era sempre più chiara: Shablo, proprio come Jake ed Elwood, riunisce un’impossibile “band” formata da pianeti lontanissimi tra loro con l’obbiettivo di (ri)dare dignità alle radici quasi mai annaffiate del rap italiano.
“Manifesto” si innesta sul solco di quei progetti culturali che negli ultimi anni stanno provando a educare pubblico e ascoltatori al peso reale che ha l’hip hop. Da “Madreperla” in poi, una parte del mainstream sta provando a mandare messaggi sempre più espliciti e non è un caso che “Manifesto” sia stato rilasciato per “Oyster music”.
Questa etichetta infatti è fondata da quel peso massimo di Guè che al momento sembra rappresentare un’alternativa -interna al sistema- all’ascolto casual e raffazzonato del rap e alla fantomatica musica di plastica. In questo senso “Manifesto” è la prova lampante che si può essere “puri” anche facendo partire la propria controrivoluzione dal palco di Sanremo.

Il senso del manifesto lo dichiara stesso Shablo:
“Un manifesto è una dichiarazione pubblica che esprime intenzioni, idee, principi, valori o obiettivi. Serve per rendere visibile e condivisibile un pensiero o una visione, spesso con lo scopo di ispirare, guidare o provocare un cambiamento.
Shablo – Instagram
“Manifestare” significa rendere reale qualcosa attraverso l’intenzione, il pensiero, l’emozione e l’azione.
In questo senso, manifestare non è solo desiderare qualcosa, ma vivere interiormente come se fosse già realtà, fino a vederla prendere forma nel mondo esterno.”
Shablo firma il suo manifesto con il sangue, in un percorso di diciassette tracce e ben quindici artisti diversi presenti tra cui Ele A, Ernia, Gaia, Guè, Inoki, Irama, Joan Thiele, Joshua, Mimì, Neffa, Noyz Narcos, Roy Woods, Rkomi, TY1 e Tormento.
Una dichiarazione di intenti fatta alla luce del sole che parte dall’Ariston e attraversa un sample raro di Steve Wonder che canta in italiano. “Manifesto” colpisce per questo: arriva a tutti, ma il viaggio può essere compreso realmente solo da quei pochi che colgono le diverse sfumature.
Le influenze sono nette e spaziano dal jazz al funk al soul e al blues, partono da Steve Wonder e James Brown e arrivano a Nelly, Usher e Chris Brown. Shablo ritorna al principio per andare avanti, tra i sample e gli strumenti suonati, tra il boom bap e strofe più mellow. In questo mosaico spicca per presenze Joshua, il quale accompagna il producer italo-argentino fin dal palco di Sanremo e nel disco si riconferma a più riprese tra i migliori exploit di quest’anno.
Il viaggio viscerale e atavico di Shablo inizia con “Lost Manifesto” un brano in parte strumentale che omaggio alla sterminata cultura hip hop dove Joshua tra sample, un rullante boom bap e un fiato jazz fornisce un’ottima introduzione al disco. Tra le voci che si susseguono nel disco, spiccano oltre ai sempreverdi Tormento, Guè e Neffa anche le voci cristalline di Mimì e Roy Woods, unico featuring internazionale del disco.
La cantante vincitrice di Xfactor e il cantante canadese di OVO si incontrano nel RnB chill di “Slow Down” ma Mimì firma anche un’altra traccia da pezzo da novanta: “Meglio Che Mai”, una delle migliori tracce del disco a metà strada tra il soul oltreoceano e le radici RnB italiane.
Sul versante più “rap” a colpire sono Ernia e Neffa nel boom bap di “Welcome to the jungle”, Ele A in “Karma Loop” e l’eterno Noyz Narcos in “The One”. Ma parlare del disco traccia per traccia sarebbe un’impresa titanica dato che ognuno dei presenti porta sulle produzioni di Shablo un peso specifico non indifferente, resta solo da fare una menzione d’onore all’inaspettata presenza di Inoki in “Immagina” una traccia sociale che affronta la spinosa questione giudiziaria in Italia, tra libertà e falsità.
Shablo fa una magia, in un’esperienza d’ascolto di appena 55 minuti racchiude più di 40 anni di storia e cultura. Il Manifesto di Shablo non è una dichiarazione di guerra ma di amore, la visione di un producer che intrecciando hip hop, jazz e soul riesce a scorgere qualcos’altro oltre alla fama e al successo: il piacere di fare musica senza vincoli.
In questo senso “Manifesto” è uno spirito libero, dona alla musica un peso ma riesce ad essere leggera da arrivare a tutti. Shablo scrive un manifesto in nome della cultura.
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