Recensione di Dogma 93
Non volevo neanche scriverlo questo articolo, ma alla fine ha prevalso il mio buon senso; non si scrive solo su ciò che apprezziamo ma anche e soprattutto su ciò che non ci è piaciuto. Se ancora non si fosse capito, non ho ancora ben metabolizzato l’uscita di “Dogma 93“, l’ultimo album di lowlow. La sera stessa in cui uscì ero arrabbiato, non so dirvi bene il perché, in fondo non avevo nessuna aspettativa, ma il più delle volte quando non ripongo fiducia nell’uscita di un album, vogliate per disinteresse o per altri motivi, quest’ultimo riesce a stupirmi in positivo. Invece questa volta sono stato deluso persino dalle aspettative che non avevo, e penso che Dogma 93 sia la rappresentazione del perché lowlow è uscito sempre di più dalla mappa del rap italiano.
Prima di continuare, facciamo un passo indietro: vi ricordate cosa accadde con l’uscita di “Ulisse”?
Questo brano è stato con ogni probabilità il punto più alto della carriera solista di lowlow per numeri e consensi ricevuti. L’uscita dalla Honiro, la sua storica etichetta, e un lungo silenzio hanno creato un alone di mistero intorno all’uscita del brano che ad oggi vanta decine di milioni di ascolti sulle varie piattaforme digitali. Fino a qui tutto bene, direbbe Marracash. Il problema sorge nel momento in cui tre anni dopo i brani che scegli di pubblicare per il bene della tua carriera non si discostano per nulla dalle sonorità, dai flow, o dalle tematiche utilizzate in quel brano, o se vogliamo dell’intero album in cui era presente la traccia (“Redenzione“, uscito a Gennaio 2017). L’insistenza con cui lowlow continua a propinarci storytelling adolescienziali è quasi stucchevole, ma ormai mi sembra di aver capito che il target sul quale ha intenzione di cristallizzare la propria carriera sia proprio quello, ma in questo ambiente la longevità di una carriera dipende anche da quanto un rapper si sappia mettere in gioco, sotterrando i propri cavalli di battaglia e le sicurezze che gli hanno dato del seguito, a favore di novità che sappiano aggiungere, di volta in volta, pezzi ad un puzzle che sarà ricordato (l’intenzione di ogni artista dovrebbe essere quello). O Almeno questa è la storia dei più grandi.
Eviterò di soffermarmi troppo con un track by track, dato che non ci sono tracce che prevalgono su altre. A livello radiofonico forse le due tracce in collaborazione con Holden e Luna hanno qualcosa in più, ma rimangono due gocce che riescono a smuovere solo per un attimo una superficie liquida molto piatta. L’unico highlight che mi ha fatto un attimo sobbalzare è stato il sample di Shiloh Dinasty presente in “Hikikomori“, famoso soprattutto per esser stato utilizzato da XXXTentacion in “Everybody dies in their nightmares“.
Tornando indietro negli anni ricordo quando, tornando da scuola, ascoltavo nelle cuffie “Metriche vol.1“, o altri brani datati del rapper romano, e forse questo è un altro motivo per cui venerdì scorso al termine dell’ascolto mi sono arrabbiato. Un tempo lowlow veniva considerato una giovane promessa, un minorenne così abile in termini di rime, flow, e tutto ciò che dovrebbero definire un buon rapper non potevano non farlo considerare tale. lowlow ha scelto di distaccarsi dalla scena hip hop proprio quando quest’ultima ha iniziato a dominare le classifiche senza scendere a compromessi con il mondo del Pop, aggrappandosi ai suoi valori, seppur modernizzati, che una volta eran disprezzati e ignorati dai più. Forse è un peccato, poichè a rappare lowlow è capace e lo ha dimostrato in diverse occasioni, ma bisogna tornare troppo indietro per trovare un progetto del rapper romano che convinca secondo i principi del genere.
Fin dall’inizio, l’ego smisurato dell’autore di “21 motivi” è stato un tratto caratterizzante. Paragoni con Dio, Eminem (lol), o tutto ciò che possa essere considerato come N.1 nella propria categoria, non sono mai sembrati alla sua altezza, ma andava bene così. Oggi a 26 anni l’ego non può più essere una tenda dietro alla quale nascondersi, una tenda che possa giustificare scelte artisticamente discutibili perchè si è “il migliore”. Dopo anni di rodaggio, è giusto che alla teoria vada applicata la pratica e lowlow ha lasciato che scadessero i termini per dimostrare quanto valesse.
Di Simone Locusta
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