Nella letteratura antica c’è un’immagine ricorrente che mi ha sempre colpito. Un uomo è seduto su uno scoglio in mare aperto. Le onde intorno a lui sono altissime, imperversa la tempesta. Le acque furiose lambiscono il sasso, ma l’uomo siede lì, impassibile. Guarda l’orizzonte, sa che le onde non possono colpirlo. La metafora è potentissima: il saggio siede in equilibrio tra le forze che provano a demolire la sua perseveranza, perché, in pieno controllo di sé stesso, è molto più del resto.
Quando ho ascoltato per la prima volta il disco di Tredici Pietro ho visto quel masso, ho visto la bufera, ma lì, inscalfibile nella burrasca, era seduto un ragazzo di 27 anni che fissava il cielo terso. Di asciutto c’è ben poco, però: Pietro siede su quello scoglio bagnato fradicio. Prima di arrivare lì, lui le onde le ha attraversate a grandi bracciate.
“Non guardare giù” è l’ultimo progetto di Tredici Pietro, disponibile ovunque da venerdì 4 aprile. Il disco arriva a tre anni di distanza dall’ultimo progetto dell’artista bolognese, “Lovesick” in collaborazione con Lil Busso. Tra i due progetti, solo qualche singolo.
Tre anni. 36 mesi. 156 settimane. 1095 giorni. Un’eternità. Assurdo, anche solo scriverlo. Tre anni, per un’industria che partorisce e abortisce nel giro un venerdì, che stabilisce un ritmo di produzione artistica degna della durata di un reel, pesano come un tempo siderale. In un mercato in cui debutti, reunions e nuovi progetti si riversano sul pubblico, stare in silenzio è quasi un atto di coraggio. La realtà, però, non è il business musicale e la vita in tre anni scorre. Lo ha fatto anche per Pietro.
Dietro il silenzio di ogni artista c’è tanta vita che fluisce. Dietro il silenzio di Tredici Pietro ne è fluita tantissima. Una relazione tossica, la dipendenza dalla sostanze, la disintossicazione, la terapia, il trasferimento a Milano, l’ansia di essere un prodotto discograficamente valido, di performare per scalare le vitte di una classifica crudele come uno Squid Game. Eccole le onde di Pietro, ecco la tempesta: per arrivare allo scoglio, il rapper bolognese sembra aver ingoiato tantissima acqua e superato onde vertiginose. I cavalloni di Pietro sono tutti in “Non guardare giù”.
(Bisogna morire) Per non soffrire
Tredici Pietro – morire (Non Guardare Giù, 2025)
(Bisogna morire) Vuol dire che è la fine, la fine
(Bisogna morire) Fanculo, non ti ho sentito
Il progetto è composto da 13 tracce ed è pieno di verticalità. Il disco sale e scende: Pietro alterna i momenti che hanno segnato la sua assenza e racconta ora i gli attimi più difficili, ora le risalite più clamorose. Così il disco ondeggia nella tempesta e alterna costantemente tracce più personali e intime a banger rap, dal sapore più irriverente. Dalla burrasca più selvaggia alla stabilità di una vita guadagnata centimetro dopo centimetro.
L’album si apre con la title track, prodotta da sedd e Fudasca, a sua volta divisa in due parti segnate da uno straordinario beat switch: quasi sommario dell’intero progetto, il brano racchiude dentro di sé baratro e rinascita, ostentazione e consapevolezza, sofferenza e tanta speranza.
Segue “morire“, primo singolo ad anticipare il disco, “un brano di rinascita, di energia”, come lo ha definito lo stesso autore: la traccia, che campiona Birds on a Wire, è una manata trap di barre, slang e citazioni. Il disco è salito, ma ora tocca precipitare: “EMIRATES” è tra le canzoni più delicate del disco. Suoni acustici cullano le liriche di Pietro, che sussurra della perdita della propria identità, di sostanze, di un malessere psicologico che sbrana ogni certezza.
Sei di mattina, ti svegli e brucia già la prima cartina
Tredici Pietro – EMIRATES (Non Guardare Giù, 2025)
Nessuno guarda quando il cielo è rubino
Ti senti grande, ma non sai chi sei
Sei mattina, ancora sveglio, ci separa una linea
Io non so come dare inizio alla fine, in certi momenti non sai chi sei
Anche se sei grande, so che vorresti piangere e sei sulle tue gambe
E sembra tutto così fottutamente importante
Uccidere un demone per esserе liberi fino alla morte
Dimmi cosa risolvi.
“Tempesta” non sussurra, invece, grida amore per la vita. C’è una ragazza bellissima che balla in discoteca. Il beat è drum&bass. Gli ospiti sono Lil Busso e PSICOLOGI. La traccia urla amore giovanile, energia, sesso. Tutto e il suo contrario.
“Non guardare giù” si incastra su una variabilità di atmosfere che lo attraversano fino alla conclusione. Tra le sue contraddizioni si fa specchio della vita di un ragazzo che ha agognato la luce dietro un mare di nuvole.
I suoni club di “LikethisLikethat” si riagganciano a “$OLDI DENARO MONETA CA££££HH“, in cui Pietro demolisce l’industria discografica italiana, ammalando i suoi artisti con la corsa al guadagno; il tema ritorna in “MILANOcollane“, una lunga riflessione su Milano, la capitale dello show business nostrano, nuova città di adozione di Pietro, ma metropoli alienante nelle liriche del rapper. Così l’artista ha dichiarato a Billboard:
Col tempo mi sono fatto fregare da tutti i simboli che la città ti propina: “Qui vince chi ostenta, chi performa e chi non ha tempo per vivere”. Sembra che vinca chi non sta bene. Io mi sono sentito non al livello ed ero convinto che Milano fosse meglio di me.
Tra le tracce aleggia un’ombra. C’è una ragazza incastrata nel disco, la si intravede in alcune barre. Tra le liriche si intercetta l’ombra di una relazione distruttiva, che ha lasciato segni indelebili. In “respirare“, al suono di una chitarra acustica, Pietro sembra affrontare lo spettro. Racconta di lei. Lo fa con voce stanca, affranta. Vi lascio all’ascolto: la traccia è bellissima.
Capisco questa nostalgia (Per questo no)
Tredici Pietro – respirare (Non Guardare Giù, 2025)
No, no che non mi voglio fermare
È inutile parlare ancora di me e di te
Mi è rimasto un pezzo di cuore sulle dita
E il fumo si confonde con le nuvole
Non ho più scuse da usare
“Non guardare giù” non è solo varietà contenutistica, ma rappresenta anche il punto di arrivo di una maturazione sonora che Pietro ha guadagnato con gli anni. Sedd e Fudasca, che si sono occupati della produzione della maggior parte delle tracce dell’album, seguono l’altalenare dei brani del progetto rendendo impossibile incasellare Tredici Pietro in un genere musicale perfettamente definito.
Il rock, la trap, il boom bap, la dubstep, l’indie e l’acustico convivono nell’anima di un artista che fa del rap uno dei suoi svariati strumenti espressivi, ma non l’unico. Qualcuno direbbe “urban“, ma via le etichette, qui non funzionano. Tredici Pietro sfugge alle definizioni, ma si delinea nelle moltitudine di sound che portano la sua impronta artistica, ormai arrivata alla sua acme.
Il suo stile è fresco, la delivery credibile, lontana dalla stantia narrazione della rivalsa del rapper di strada, ma più vicina ad un Cloud Rap che trova la sua matrice oltreoceano; come ha ammesso lui stesso al pre ascolto dell’album, al quale abbiamo avuto il piacere di partecipare:
Rappare è diventato banale, rappano tutti, io ho bisogno di un’altra ricerca. Ho iniziato a percorrere la mia strada.
Chiudiamo. La copertina del disco mi viene in aiuto. “Non guardare giù” è quella luce che brilla forte sulla cover dell’album, attorniata da un’esercito di nuvole grigie. Nuvole e sole. Lo scoglio e la tempesta. Attraversare la burrasca per baciare la terraferma.

Abbiamo avuto il piacere di fare una piccola chiacchierata insieme a lui e una delle curiosità che ci ha spiegato riguarda proprio la copertina. Pietro infatti ha ammesso di voler utilizzare una semplice foto del cielo come cover del suo album, perché preferiva che gli ascoltatori si
concentrassero sulla musica più che sulla copertina, sottolineando sempre la volontà che siano gli ascoltatori a dare un senso alle tre parole che compongono il titolo della sua opera.
Poi, l’idea delle nuvole, del bianco, della luce dall’alto e la scelta di lasciare la libera interpretazione a chi lo avrebbe ascoltato. Un’idea che fa pensare a J. D. Salinger, autore de “Il giovane Holden”, che ha imposto il bianco come unico colore della copertina del suo libro, per non influenzare i lettori. Pietro e Salinger hanno in comune l’idea che vogliono lasciare: scegliete voi chi essere, scegliete voi come interpretare il mio messaggio.

“Non guardare giù” è un’ordine: ricordati chi sei, tieni alto lo sguardo, non lasciarti trascinare dalla marea, non farti sprofondare dalla tua mente, dalle tue relazioni, dalle imposizione dell’industria.
Dietro, questa espressione, però c’è altro. Il disco sembra ordinarci di non abbassare lo sguardo, di non ignorare i problemi, di rimboccarci le maniche e nuotare disperati nel maremoto. Una bellissima ammissione di una vita infelice che ha toccato il baratro con la punta delle dita prima di risalire verso la superficie.
Lascio a voi il resto: vi auguro di ritrovare in queste tre parola la vostra vita, il vostro personale senso.
Tredici Pietro, alla fine, la burrasca l’ha attraversata e ora siede sullo scoglio. Il naufragio e la salvezza sono tutte nelle Tredici tracce del suo disco. Ora fissa il cielo. Il sole asciugherà le sue ferite. Fissalo, Pietro, e non guardare più giù.
Con la partecipazione di Valeria Luzi.
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