Eviteremo di prendere due like in più parlando male di “Mentre Los Angeles Brucia“, in questo articolo proponiamo tre argomenti che, a nostro parere, possono essere degli apparecchi di significato per interpretare il progetto e il mondo intorno a questo. Partiamo dall’intro.
“L’Avvelenata (Pretesto)”, Fabri Fibra-Guccini: che significato assume oggi?
“L’avvelenata” di Guccini, usata come intro del nuovo disco di Fabri Fibra, non è solo una scelta musicale, ma un posizionamento artistico preciso. È come se Fibra si mettesse idealmente in dialogo con uno dei momenti più iconici e provocatori della canzone d’autore italiana.
“Chaos” si aprì con il campione de “Il Cielo Nella Stanza” di Gino Paoli, tra i rapper mainstream, anche Marracash in “È FINITA LA PACE” ha aperto una finestra dialogica con la tradizione della canzone italiana, ma ciò che continua a colpire di Fibra è il riutilizzo in chiave smaccatamente Hip Hop capace di sospendere la dimensione temporale ritagliandone nuovi confini, partendo però da quanto c’era prima. Ora mi spiego meglio.
Siamo nel 1976, Francesco Guccini pubblica “L’Avvelenata“, contenuta nell’album “Via Paolo Fabbri 43“, in un momento in cui la musica italiana se non risulta impegnata – per il pubblico e per la critica – non ha valore.
Il brano è una vera e propria invettiva, uno sfogo – ha infatti tutti i connotati del dissing, letteralmente il “parlare male a…” – in cui Guccini risponde ai critici, ai benpensanti, agli intellettuali e ai colleghi che lo attaccavano; smonta le etichette ideologiche (da “cantautore impegnato” a “borghese”);rivendica la libertà di essere sé stesso, fuori da ogni schieramento politico e poetico; si scaglia contro l’ipocrisia culturale del suo tempo, con sarcasmo, rabbia, ironia e disillusione.
“Io ci andrò in osteria, con la mia faccia da schiaffi
Francesco Guccini – L’Avvelenata (via Paolo Fabbri 43, 1976)
A parlare di politica con i vecchi ubriaconi”
Il valore che il brano acquisì all’epoca era di auto-difesa artistica; rompeva un ruolo: Guccini da essere incoronato cantautore-profeta portavoce di un ideale, si mostra un uomo disilluso che rifiuta la mitizzazione; un esempio di realness ante litteram, prima ancora che il rap esistesse discograficamente e che arrivasse in Italia. Il cantautore dice solo la sua verità, senza filtri né mediazioni.
L’apertura con l’iconico brano di Guccini crea un filo rosso tra la canzone d’autore più viscerale e il rap più introspettivo e ciò che accade è programmatico. Il brano diventa: un omaggio, con il riconoscimento di un padre spirituale del disincanto italiano. Guccini è, in fondo, un antesignano di quella scrittura nichilista, diretta e corrosiva di cui Fibra e i suoi AKA si sono fregiati; in parallelo generazionale, perché Fibra oggi è in una posizione simile a quella di Guccini nel ’76, ossia un artista maturo, criticato sia dai giovani che dai nostalgici e come lui rifiuta etichette e modelli; non cerca più consenso, ma lucidità.
Il brano che va ad aprire l’album risignifica “L’avvelenata” e quella di Fibra diventa esistenziale, non più sociale: l’artista è un prodotto commerciale, il successo è una trappola travestita da traguardo, l’ideologia si disfa in componenti algoritmiche e scrivere, come lo era un po’ anche al tempo di “Guerra e Pace”, diventa un atto di sopravvivenza.
Come Guccini al tempo, il brano è un manifesto, una confessione e una resa attiva della responsabilità artistica con il medesimo gesto : mandare a f*nculo chi ti vuole diverso imponendoti un ruolo.
Alla fin fine un argomento tipico, comune e sdoganato da tempo, ma farlo in una maniera così originale sconfessa il rapper da alcune critiche e permette di settarsi in un ascolto attivo differente. Questo è un disco d’autore a tutti gli effetti.
Al-di-dentro e al-di-fuori, i due loci di “Mentre Los Angeles Brucia”
«Ho iniziato a lavorare a questo disco 2 anni fa a Santa Monica. Pietrino (Chef P) ed io abbiamo iniziato ad ascoltare alcune basi e a mettere insieme così il primo scheletro del nuovo lavoro.
Ricordo che dovevo tornare in Italia ma una tempesta si era abbattuta sulla città e rimasi bloccato a LA per giorni.Tra gennaio e febbraio di quest’anno mi sono chiuso in studio per chiudere l’album cercando, tra i tanti brani a cui avevo lavorato, di comporre il puzzle perfetto. Ascoltavo e riascoltavo le tracce in continuazione, chiuso nella mia bolla senza guardare cosa stava accadendo fuori dalla porta del mio studio.
Un giorno accendo la tv e vengo investito dalle notizie che arrivavano da Los Angeles e dalla voce di un servizio al telegiornale che dice: “Mentre Los Angeles Brucia è morto David Lynch”.Mi sono reso conto di quanto le nostre vite siano ciniche ed egoriferite al punto che anche mentre una città brucia, un paese viene bombardato o si combatte una guerra in un posto lontano da noi nel mondo noi continuiamo ad andare avanti con la nostra solita vita, abitudinaria e al sicuro.
Mi sono domandato: Mentre il mondo va a puttane, e ci succede qualunque cosa attorno, noi cosa facciamo?»
Annunciato nel Red Bull 64 bars (“Sta cominciando il caldo e c’ho il disco in uscita / compra il biglietto che ti aspetto in prima fila”), l’undicesimo album di Fabri Fibra si espande e vive territorialmente in due luoghi fisici e non: al-di-fuori e al-di-dentro di Fabri Fibra.

Come possiamo distinguere l’uno? Come poter distinguere l’altro? Non c’è una linea di demarcazione concreta, poiché tutto quanto passa dal rapper, ma lo stacco lo si percepisce dal principio di esclusione dell’esterno a favore di uno spazio che si può considerare interno in quanto delimitato da un linguaggio direzionato, in cui l’io dell’autore inizia a sovrapporsi a quello della persona sotto al berretto con scritto “LOS ANGELES”.
Il primo tono del rapper, sconfessato dall’intro, è sprezzante, ironico, gioca con sé stesso senza mai prendersi sul serio, senza mai escludersi dal problema, senza mai sentirsi migliore di ciò che racconta.
Le etichette si aspettano sempre la hit, il rap italiano fa schifo
Fabri Fibra – Karma Ok (Mentre Los Angeles Brucia, 2025)
Tutti in cerca del singolo estivo
Pure io non prendiamoci in giro
Meglio questo che starmene in giro
O rinchiuso dentro qualche ufficio
A fotocopiare dal vivo
Il senso di colpa implicito in tutto il disco nella prima parte diventa un solido primo narratore del vittimismo invidioso di “Che Gusto C’è” (con Tredici Pietro), dell’incapacità di reggere il successo agognato (“Karma Ok”), dell’amore confuso (“Milano Baby”, “Come Finirà”), del mondo social auto-riflettente (“Tutti Pazzi”, “Stupidi”), paradossale, ma che suona ricordando alcune delle precedenti hit estive dello Sfiber.
In un certo senso è come se Fibra avesse professionalmente adempito al compito di quello che, secondo il pubblico, il “Fabri-Fibra-estivo“; come se tutti i tormentoni, allineati uno dietro l’altro, suonassero richiamando l’ardere polifonico delle chiacchiere, delle fiamme di un incendio che divampa fino a farti provare un grande senso d’impotenza.
L’incapacità d’azione si sostanzia in un ripiegamento ri-flessivo quasi monastico, che ben si riconduce al passaggio in cui l’autore racconta di aver acceso la TV rendendosi conto dell’incendio di LA. Una sorta di egocentrismo introspettivo in cui cercando di raccontare e dare forma a quanto accade, paradossalmente, si esclude il mondo circostante.
In questo mi piace rivedere il cambio di tono in “Tutto Andrà Bene“, il delicato storytelling dedicato ai due nomi fittizi Anna e Marco (anche qui, in diretto collegamento con Lucio Dalla e l’omonimo brano “Anna e Marco”), alla collerica “Mio Padre“, alla nostalgica “Vivo” (con lo splendido campione di “Vivo” di Andrea Laszlo De Simone), alla struggente “Figlio“, che oltre a rappresentare i picchi del disco, si aggiungono prepotentemente ai brani più forti realizzati in tutta la carriera del rapper di Senigallia.
La responsabilità comunicativa del disco, a nostro parere, si gioca tutta nello spazio e nei brevi silenzi che intercorrono tra il cambio di tono segnalato e l’arrivo a “Mentre Los Angeles Brucia“; un rapido cambio di inquadrature, uno zoom che si sposta dalla catastrofe alla persona in cui sta avvenendo tutto questo.
Il disco infatti si presta ad una doppia lettura: sia partendo dall’intro, come il rapper stesso suggerisce, sia ri-partendo dai titoli di coda, dopo l’arrivo all’outro, in cui tutto il progetto assume una forma e una consistenza diversa.
La tensione tra i due loci, l’inadeguatezza nel presente di “Mentre Los Angeles Brucia”
La tensione tra i due loci, l’al-di-dentro e l’al-di-fuori di Fibra si mostrano come una nuova forma di post-verità emotiva, autobiografica, più adulta, intima e coerente con la sua età. Il suo realismo esistenziale viene a galla dagli ascolti, pur aderendo ai cliché e alle richieste della professione che porta a termine, perché non chiede empatia, ma si mette a nudo recitando un sé credibile, verosimile.
Quello che, in questo preciso caso, offre Fabrizio Tarducci alla discografia rap italiana è un gesto adulto, non narcisista, una realness non competitiva che rimette al centro il racconto, il dolore non come estetica, ma come bilancio personale, in completa antitesi alle narrative di tendenza sul mercato. Quello che traspare è un uomo di quasi 50 anni che, con una maturità invidiabile dai colleghi, non dice “sto male nonostante tutto”, ma “sto cercando di capire cosa resta, nonostante tutto”, senza niente da dimostrare e con qualcosa da capire.
Tra le abilità principali del rapper, fin dagli albori della sua carriera, c’è sempre stata la capacità di esprimere concetti difficili in parole semplici e questo progetto ha avuto l’ardore di provare a catturare lo spirito del tempo descrivendo la sensazione di inadeguatezza contemporanea davanti agli avvenimenti extra-ordinari con cui entriamo in contatto tramite i media.
“Mentre il mondo va a puttane, e ci succede qualunque cosa attorno, noi cosa facciamo?” Alla fine nemmeno Fibra dà una risposta, spinge però alla ri-flessione, aprendo crepe, lasciando la possibilità di fare, di farsi domande e far entrare la luce. Forse un tempo Fibra avrebbe chiesto applausi, ora invece chiede qualche ascolto e qualche domanda in più.
Con la collaborazione di Giordano Conversini
Nessun commento!