Ciò che ho sempre apprezzato di Mostro è che non ha mai necessitato dell’approvazione di un pubblico uniforme, l’ho sempre recepito come un rapper tanto coerente da avere il lusso di non provare nessun tipo di vergogna nei passi che ha scelto di imprimere nel suolo, nemmeno per quelli più “falsi”.
Riflettere la propria immagine allo specchio, ri-flettersi in sé stessi, fissando il colore nero petrolio delle delle proprie pupille, è lì che forse nasce “METALLO E CARNE“, l’ultimo lavoro di Mostro; tredici tracce introflesse che hanno lo scopo di navigare nella propria persona, un viaggio personale che oscilla tra la materia e lo spirito, tra tecnologia e vulnerabilità.
Il concept che unisce i brani è basato sul ritornare in superficie, sul riemergere da sé, ma senza essere superficiale. Proprio per questo Mostro non si nasconde. Mai. Nemmeno quando racconta di essersi sentito vuoto dopo il tour, di aver combattuto con una spinta interiore che lo trascinava verso qualcosa di irrisolto. È da quella crepa che prende forma “METALLO E CARNE”. “Cosa succede se mi lascio precipitare dentro me stesso?”, si è chiesto. La risposta? Non c’è, o meglio: è il disco stesso.

Stiamo parlando di un rapper emerso nel 2012 che ha saputo attraversare, non restandone indenne, le tempeste gravitazionali del rap italiano: dai derivati dell’horrorcore noyziano e la cruenza di “Mr. Simpatia” di “Tre Stronzi Mixtape” con cui ha iniziato, passando per il teen idol rap, per poi riprendere in mano l’ascia insanguinata che l’ha sempre contraddistinto appena prima l’esplosione della trap e poco dopo aver toccato una delle sue vette massime di popolarità grazie a “Scusate per il Sangue” con lowlow.
Mentre i nuovi arrivati rincorrevano gli 808 o le novità musicali del periodo, Mostro, senza mai alienarsi dal contesto ma con uno stoico distacco necessario per osservare, a colpi netti, ha scolpito un iter perseguibile solo da chi è capace di sentirsi in sintonia con lui, mirando la sua musica ad una fanbase profondamente empatica, educata ad ascoltare e comprendere mettendo in play all’inizio del progetto e togliere dalla riproduzione il disco all’ultima traccia (lo testimonia il numero degli stream costante di tutto il progetto e l’ingresso in top 10 FIMI nella seconda settimana di maggio 2025).
Tutti in gara, ora è il futuro che ci prepara
Mostro – Prime (METALLO E CARNE, 2025)
Artisti digitali e cinque minuti di fama
Mentre fuori un pubblico di sudditi li ama
Tu non hai questo background, tu non hai la mia fanbase (Ah, ah, ah)
Mostro – Elisabetta Canalis (METALLO E CARNE, 2025)
Tu sei un bollito, guarda che scena
È proprio come una tavolata di infami a cena (Seh)
Quello che ti porto è merce rara, Ferrari nera (Uh)
Io che resto fedele alla mia strada, la mia maniera
Gavetta, forse anche troppa, ma nessuno ne stabilisce la durata né il giusto impatto, fa solo parte del vissuto: progetto dopo progetto, live dopo live, la distanza e la riunione con Nick Sick, sono tutti gli elementi che, sottomessi alla pressione della quotidianità hanno concorso all’estrazione di minerali metallici e la loro successiva lavorazione per ottenere il metallo in forma pura.
Da qui arriva il “metallo“, la fredda spigolosità, l’irruenza di alcune barre, l’incisività teatrale nel cambio di tono nella struttura, nel timing, che tanto ammira del fratello, il gusto per un lessico non banale (perché se in un verso dall’andatura paraendecasillabica metti “il cigolìo delle altalene” c’è una chiara volontà di selezione ritmica), la “carne” diventa invece il contenuto dei brani che, immergendosi in sé, è riuscito a riportare a galla.
Tutto questo si traduce nella realizzazione di punchline che fanno, a seconda della situazione, ridere o male in base al peso specifico della circostanza in cui vengono usate, ma tutte nate da un’urgenza reale.
In buona sostanza, il “Metallo” è la forma, la “carne” è il contenuto: freddo sintetico e calore umano che convivono in un equilibrio mai scontato. Due parole scelte da una poesia – come racconta in un’intervista – , “metallo” e “carne”, che da sole raccontano il dualismo che attraversa tutto il disco: corpo e macchina, anima e involucro, impulso e ragione. Ma anche: vulnerabilità e forza, crollo e risalita.
Mi piace pensare che questa sublimazione sia avvenuta anche con Nick Sick e Yoshimitsu, i vecchi compagni dell’Ill Movement. Ciò che mi ha colpito- ma che forse ha fatto soprattutto piacere al me quattordicenne – è stato vedere la presenza costante del vecchio compagno di mic alle strumentali e nelle vesti di writer (in 6 tracce su 13) e la quasi onnipresenza dello storico producer. I due, figli di una parte di passato comune, hanno lavorato in piena sintonia con Mostro – hanno plasmato un impianto sonoro moderno, scuro, spigoloso, ma ancora una volta coerente, come se ogni tanto riecheggiasse “il fatto che sono tre stronzi” uniti per fare una musica che li rappresenti.
L’intimismo di Mostro caratteristico fin dagli esordi, assume qui tinte diverse, come se oscurità e luce convivessero sia nei banger che nei brani più sentiti. “Fegato”, singolo d’apertura, è arrabbiato, irruento, manifesto, “Questo Buio” più una confessione, l’esposizione cruda delle cadute, a separarle ci sono due tracce (“Prime” – la mia preferita forse – e “Acque Profonde“) che, da altre finestre, raccontano analoghe sensazioni e sentimenti, ma sotto luci diverse: questo è un po’ il gioco di prospettive che fa tutto l’album.
“Icaro” invece, la traccia conclusiva, il buio diventa il grigiore post temporale e in quel frangente Mostro si spinge a toccare il punto più delicato dell’intero album, per consegnare a chi è arrivato in fondo la somma delle sue esperienze.
In un momento storico in cui l’autenticità viene spesso messa a dura prova nelle più svariate occasioni sull’altare della viralità, “METALLO E CARNE” si prende il lusso di essere vero, fedele a sé stesso, pur inscenando una simbolica unione distopica con il ferro, senza mai inscenare un’inutile paternale sulla transizione tecnologica in corso, con l’onestà ruvida di chi conosce il prezzo della sincerità.
Il distacco dai vecchi progetti è netto, non c’è un intento consolatorio, ma di accompagnamento, quasi a ricordarci che la creatività è lo strumento di sopravvivenza, che in qualsiasi contesto e momento della nostra vita, riesce a trasformare un momento di profondo sconforto in un punto d’incontro. Un po’ come è successo con il suo momento di vuoto e la realizzazione di questo progetto.
Nessun commento!