Sono anni che studio la letteratura ma, nonostante il tempo e la dimestichezza, ci sono sempre autori che mi fanno sentire a disagio. Dante Alighieri, Miguel De Cervantes, James Joyce: intellettuali la cui opera sconfinata è sempre parsa troppo grande per me. Ci sono opere che celano una tale quantità di significati da gettare chiunque gli si avvicini nel timore di “aver mancato qualcosa”. Kendrick Lamar mi ha sempre fatto lo stesso effetto.
Scrivere di Kendrick mi ha costretto ad attraversare il mio senso di inadeguatezza. Da dove si inizia per comprendere un personaggio così complesso? Kendrick si è imposto nell’immaginario comune come un artista dal talento sconfinato, un individuo al di sopra delle masse che ha mostrato, tramite i suoi progetti, verità che pur essendo sotto gli occhi di tutti, sembravano nascoste da tempo. Per alcuni il “Best Rapper Alive”, per altri l’unico vero interprete di una generazione, K – Dot, al netto di 14 Grammy Awards, nel 2018 viene insignito del Premio Pulitzer per l’album DAMN, unico rapper ad aver raggiunto questo riconoscimento. Dopo tutto, sono riuscito a farmi coraggio.
In Mr. Morale & The Big Steppers, Kendrick è Vero Dio e Vero Uomo.
Mr. Morale & The Big Steppers è l’ultimo (doppio) album di Kendrick Lamar disponibile dal 13 maggio su tutte le piattaforme di streaming.
Osannato da pubblico e critica, Kendrick Lamar è sfumato in uno statuto quasi divino, proprio come gli autori di cui ancora ho un timore reverenziale. Ma leggere un capolavoro della letteratura spesso vuol dire confrontarsi con un compromesso unilaterale: nella maggior parte dei casi l’autore non c’è più, la responsabilità è tutta nelle mani del lettore a cui tocca l’arduo compito di definire il “genio” e il “classico”. Kendrick ha invertito questa equazione: il genio è qui, è vivo. Ma cosa si cela dietro l’alone divino di un artista che è stato incoronato dal mondo tutto? Dove finisce Dio e dove inizia l’uomo? Quanto pesa la corona del re? In Crown lo stesso Kendrick ci dice:
Heavy is the head that chose to wear the crown
To whom is given much is required now
Mr. Morales & The Big Steppers è il viaggio di Kendrick Lamar dentro sé stesso, alla ricerca di una risposta a tutte queste domande.
1855 giorni di silenzio. Con questo numero si apre United Grief la traccia di apertura di The Big Steppers, la prima metà dell’album. Cinque anni vissuti lontano dagli schermi in un mondo che cambia e si trasforma:
I been goin’ through somethin’/ 1855 days.
Una delle caratteristiche più evidenti della musica di Kendrick Lamarr è la sua capacità di percepire il mondo intorno a sé. La Storia attraversa il rapper, che, come un filtro, la trattiene e la riproietta sui suoi versi. Kendrick è la sensibilità che ci ha raccontato le trasformazioni del XXI secolo, in una narrazione in cui la personalità dell’artista non veniva mai meno.
Big Steppers è l’espressione attraverso la quale si indicano gli arrivisti, coloro che pur di raggiungere il proprio obiettivo sono disposti a scendere a qualsiasi compromesso: la frenesia dell’utile, in ogni sua declinazione è il tema centrale di questa prima parte del progetto. Kendrick ci conduce in un mondo di assassini e criminali, assuefatti dall’idea di un successo apparente dove il vizio ha contaminato qualsiasi forma di relazione.
La tossicità (non solo quella della Pandemia di N95, il numero che da anni vediamo stampato sulle mascherine) impera a qualsiasi livello e lo stesso Kendrick ne è avvelenato: i continui tradimenti a Whitney, la sua compagna (in Wordwide Steppers), il lusso per coprire le mancanze (in Rich Spirit), l’ispirazione che vola via per due anni (ancora in Worldwide Steppers). Non sorprende trovare in questa sezione del disco We Cry Together, una traccia unica nella produzione del rapper di Compton: Kendrick e l’attrice Taylour Paige inscenano una lite furiosa tra due partners durante la quale i due, lanciandosi insulti di ogni tipo, portano a galla il marcio l’uno dell’altro. In un mondo artificiale e programmato, dove è finita l’autenticità?
Take off them fabricated streams and them microwave memes/
it’s a real world outside (Take that shit off)
Su questo mondo disperato si apre Mr. Morale, la seconda parte dell’album. L’esterno sembra cedere il passo all’Io dell’artista, che in tutte le sue debolezze si impone nella narrazione delle ultime otto tracce del progetto. Un Kendrick sfinito dai peccati propri e del mondo intorno a lui cerca di ritrovare il filo conduttore della sua storia personale. In questi cinque anni la terapia è entrata nella vita del rapper di Compton a scandagliare le parti più sensibili della sua anima, ed è lo stesso rapper a ricordarcelo: “Gave me a number, said she recommended some therapy” ci dice Kendrick disperato in Mother I Sober, la penultima traccia dell’LP.
Essere incoronato salvatore di una comunità, essere acclamato come il profeta della Black Community, negli anni della ribalta del movimento Black Lives Metter è uno stigma insopportabile per chiunque. Savior è il tentativo di un Kendrick che cerca di ricollegarsi alla dimensione umana che sembra aver perso in tutti questi anni di carriera: “tu che sei all’ascolto, saresti ugualmente felice se smettessi di essere il tuo benefattore?”. Il genio ha rotto la distanza tra sé e l’ascoltatore, lo implora di liberarlo delle responsabilità e di umanizzarlo perché lui è uguale a te che ascolti.
Nel corso dell’intero album delle figure compaiono nella lunga narrazione, figure dell’infanzia di Kendrick che riemergono dalla sua memoria passata che il rapper affronta per attraversarle come nodi irrisolti della sua Storia. Father Time è il riassunto del rapporto con un padre troppo aderente a un’educazione severa, che non lascia spazio al figlio maschio di esprime la sua parte più sensibile:
Daddy issues, hid my emotions, never expressed myself
Men should never show feelings, being sensitive never helped
Il tema della mascolinità tossica si riaffaccia in Auntie Diaries in cui Kendrick ci racconta della storia di sua zia e suo cugino, due transgender alle prese con una società ancora troppo miope per accettare il cambiamento: l’omotransfobia viene stigmatizzata come il prodotto di un maschilismo imperante che ha intrappolato ciascuno nella gabbia degli stereotipi.
Tra tutti questi personaggi, ne spicca uno su tutti: la madre. Mother I Sober rappresenta una traccia fondamentale per comprendere l’intero album. Kendrick, in tre strofe lunghissime e quasi recitate, ci racconta delle violenze subite da sua madre a Chicago, durante l’infanzia del rapper. In una retrospettiva di sé stesso da bambino l’artista viene a patti con la sofferenza del genere umano:
you never felt guilt ‘til you felt it sober
L’accettazione, in età adulta della sofferenza di sua madre diventa la via per accettare anche i propri peccati: i tradimenti a Withney, il senso di superomismo, la smodata sete di successo e ricchezza sono le spine della corona di Kendrick, che da diadema di diamanti diventa il simbolo di un Cristo che si è fatto uomo.
In Mr. Morale & The Big Steppers Kendrick assolve sé stesso, e con sé stesso tutti noi, perché come lui, siamo comuni mortali. L’outro di Mother I Sober ci fa ascoltare la voce della figlia di Kendrick che ringrazia suo padre per aver salvato un’intera generazione dalla maledizione della tossicità.
You did it, I’m proud of you
You broke a generational curse
Say “Thank you, dad”
Thank you, daddy, thank you, mommy
Mr. Morale & The Big Steppers è un gioco di specchi: Kendrick guarda il suo riflesso e dialoga con la parte più marcia di sé stesso, ma dall’altra parte del vetro non c’è solo lui. A parlare con Kendrick, nella disperata ricerca dell’umanità ci siamo tutti noi, vittime e carnefici della nostra stessa redenzione.
“I choose me”. Questa è l’ultima frase di Mirror, la traccia che chiude il progetto. Kendrick riparte da sé stesso, dalla sua sensibilità, dal suo volersi bene. Sembra dirci “dopo l’ora più buia, ritroviamo la nostra individualità, tutti, perché io sono voi”. Siamo tutti Kendrick Lamar, vero Dio e Vero Uomo.
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