Cala la notte. Si spengono le luci: è ora di andare a dormire. Ti corichi, rimbocchi le coperte e chiudi gli occhi: nel silenzio notturno, illuminato dalla luna che filtra timida tra le persiane, li senti passeggiare nella tua testa. Prima sono solo crepe, infiltrazioni d’acqua che strisciano tra le cicatrici di una diga, ma poi gli argini non reggono e tutto viene meno: una cascata di pensieri intrusivi annega il sonno e trascina via la quiete notturna.
Il letto diventa una zattera che si barcamena tra la marea selvaggia delle ossessioni notturne: sul cuscino senti la tua voce che ripercorre i momenti della tua vita, che prova a risceneggiarli, a cambiare le risposte che hai dato in quella conversazioni, a immaginare come sarebbe cambiata la tua vita se avessi detto qualcos’altro a quella persona, a fantasticare su futuri evanescenti, ripercorrendo storie d’amore, nel tentativo di riscrivere il passato, per cambiare il presente.
“NEI LETTI DEGLI ALTRI”, l’ultimo album di Mahmood, è un peschereccio divorato dalle onde della mente e forse per questo è l’album più intimo dell’artista milanese.
Più che un disco sembra la trascrizione dell’attività cerebrale di una notte insonne, trascorsa ad incastrarsi nelle coperte, in cerca di una tranquillità disperatamente desiderata: il letto diventa il luogo in cui emergono le paure, i rimorsi, le ansie, i timori e i traumi di un’anima preda di sé stessa, quella che Mahmood restituisce interamente al suo ascoltatore.
Il disco, infatti, fa un passo indietro alla narrazione strettamente urbana della “Gioventù Bruciata” e sembra distaccarsi dal “Ghettolimpo” per voltare le spalle e perdersi tra le pieghe dell’interiorità.
“Perché per stare bene, ho bisogno di toccare il fondo?”
Mahmood – COCKTAIL D’AMORE (NEI LETTI DEGLI ALTRI, 2024)
La domanda iconica, che apre “Cocktail d’amore”, primo singolo estratto dal progetto, racchiude l’essenza lunare dell’album. La notte di Mahmood è un tormento che mira alla luce, che punta ad arrivare al giorno con una nuova consapevolezza: sopravvivere alla notte, sconfiggere Medusa, per vivere il mattino con più serenità è l’unica ancora di salvataggio nella bufera marina.
“Non voglio scappare dallo stare bene, fanculo l’onore” è il verso che sfolgora nella title track del disco, “NEI LETTI DEGLI ALTRI”: la volontà di un approdo, a costo di domare la tempesta, di ingoiare boccate di salsedine.
La notte di Mahmood dura 30 minuti e conta 10 tracce: è breve, intensa e per questo catartica. Nonostante sia il momento di massima solitudine e lirismo dell’artista, il disco è un valzer a due, tra Alessandro e il tu (o i tu) a cui sono dedicate le numerose ballad che lo compongono, rendendo il progetto, piuttosto che un disperato soliloquio notturno, un dialogo chiarificatore.
La relazione con l’altro (che viene richiamato anche dal titolo del progetto) sembra il tema centrale intorno alla quale si arrovella la mente lunare di Mahmood, nel raccontarci una serie di relazioni disfunzionali, malsane, tossiche, in cui l’amore demolisce più che costruire: “Tutti Contro Tutti”, “Cocktail d’amore”, “Nel tuo mare”, la stessa “Tuta Gold” sono bollettini di guerra in cui il disagio relazionale è il proiettile che perfora il cuore di chi canta.
Ogni emozione ha due facce, e ogni intensità emotiva si alimenta nel suo doppio estremo: se il letto nel corso di tutto il disco sembra il luogo deputato al più difficile confronto con sé stessi, è anche il perimetro in cui, in altri momenti, altrettanti notturni, impera l’erotismo e il sesso.
La corporeità, ora vissuta con profonda voluttà, ora affogata nei rimorsi di un errore è uno dei Leitmotiv dell’LP: “portami a letto nei letti degli altri con te solo per una sera” sentiamo in NLDA INTRO; “Io credevo, fosse più tenero, farlo davanti al PC” accompagna il ritornello di “Cocktail d’amore” e “forse saresti più felice […] su OnlyFans” chiude la strofa di “Paradiso”, in collaborazione con un emozionante Chiello, ma un deludente e ormai quasi plastificato Tedua.
Forse tra gli elementi più iconici c’è la chiusa del disco. “NEI LETTI DEGLI ALTRI” si chiude con “Stella cadente”, una gemma rara. Mahmood scava nella sua vita e l’unica luce in fondo al tunnel, la spiegazione più sincera alle turbolenze della notte le trova nella sua infanzia.
In diverse interviste, il cantante ha detto che questo disco è frutto anche della terapia, di un percorso iniziato al fianco di uno psicologo: l’attitudine a scandagliare la psiche accompagna tutto l’album, fino a suonare gli accordi della propria infanzia.
Mahmood, fin dalla celeberrima “Soldi”, non ha mai celato di un provenire da un contesto familiare complesso, da un rapporto difficile con la figura paterna, che ha visto momenti di profonda vicinanza ad altri di totale estraneità, anche a cause dei numerosi matrimoni del padre del cantante.
“Stella Cadente”, chiude il disco rimettendo al centro il discorso della fanciullezza, quasi come se “NEI LETTI DEGLI ALTRI” fosse un viaggio nelle viscere e nel tempo dell’artista, suggerendo all’ascoltatore che quelle profonde difficoltà emotiva che si ascoltano nel corso del progetto, forse si radicano in un passato con il quale Mahmood sta ancor facendo i conti.
Forse è che da quando ho fatto cinque anni
Mahmood – Stella Cadente (NEI LETTI DEGLI ALTRI, 2024)
mi hai lasciato un triste ricordo di te
Portami a fare la gita all’idroscalo
Leggimi una favola, pure del Corano
Se vuoi presentarmi mia sorella, vacci piano
Chiudo con qualche menzione speciale. Anche se il disco sembra tralasciare il discorso del Ghetto, è indubbio che la notte di Mahmood sia profondamente urbana: la metropoli sfuma nell’estetica Japancore che infarcisce la copertina, i riferimenti ai manga e agli anime (si veda la sola “Bakugo” o “lo zaino dei Pokémon” in “Tutti contro tutti”).
I palazzi, la giungla urbana e la strada fuoriescono dai brani e sono l’unica reale ambientazione possibile per “NEI LETTI DEGLI ALTRI”. La sentiamo nella “zona nord” di “Tuta Gold”, nei “fiori da fumare” e nei “gilet pieni di zucchero”, ma diventa protagonista assoluta in una delle tracce più iconiche del progetto, ovvero “Neve sulle Jordan”, in collaborazione con Capo Plaza.
Il pezzo, su una base di Fugazzi, BGRZ e Marcello Guava, sperimenta con il raggaeton e lo destruttura, regalando un brano in cui la delicatezza di Mahmood si fonde perfettamente con la cruda narrazione di strada di un Plaza terribilmente in forma, restituendoci un’intesa inedita, ma assolutamente fruttuosa. L’aggressività delle punchline freme anche nell’intro del disco, in collaborazione con l’artista portoghese Slim Soledad, in cui Mahmood incastra barre una dopo l’altra, su un beat oscuro come la mezzanotte, tra bassi distorti e synth cupi.
NEI LETTI DEGLI ALTRI è il miglior disco di Mahmood? No, ma sicuramente è il più maturo dell’artista. In alcuni momenti si tende a perdere il filo, e alcune tracce sembrano mimetizzarsi le une con le altre, come “Tutti contro tutti” e “Nel tuo mare”, “Cocktail d’amore” e “Nei Letti degli Altri”; d’altra parte proprio questo è sintomo della coesione artistica che costituisce l’ossatura del progetto. L’album tocca vette di lirismo e intimità che si erano viste solo in casi isolati nella discografia del cantante, che sembra adesso veramente dare sfogo ad un sommerso bollore mai espresso.
“NEI LETTI DEGLI ALTRI” è la zattera di un artista, naufrago nel suo stesso letto, vittima dei suoi pensieri, costretto a coabitare su quattro assi con Medusa, il più nero dei suoi traumi. Solo decapitando la Gorgone, il legno smetterà di barcamenarsi tra i flussi; solo così potrà attraccare nel porto godere della pace.
Mahmood in questo disco è riuscito a farlo.
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