Ancora silenzio. Una monografia di Rolling Stones interamente incentrata su lui come artista, pubblicata senza preavviso, “come se fosse normale”, direbbe un suo grande amico. Qualche giorno di intervallo. Venerdì 19 novembre 2021, all’1 di notte, è uscito “Noi, Loro, Gli Altri”, il sesto album ufficiale di Marracash.
A nostro parere, e lo dico a nome di tutta la redazione, nell’affrontare il corpus di tracce offerto inaspettatamente dall’artista, mai come in questo caso, potremmo incappare in più di un errore capace di guastare il processo d’ascolto ragionato.
Il primo tra questi errori sarebbe paragonare “Noi, Loro, Gli Altri” a “Persona”. Avviando questo tipo di confronto, si dimostrerebbe quanto, pur criticandolo, siamo schiavi dell’hype.
Persona, pubblicato a distanza di quattro anni dall’ultimo disco da solista, è il primo disco di Marracash nato e completamente immerso nell’era streaming; ricordiamo infatti come Status (2015), sia stato certificato disco d’oro solo poco tempo fa, questo anche perché, nel 2015, l’utilizzo delle piattaforme streaming non era ancora consolidato come lo è diventato ora.
Aver atteso quattro anni per trovarsi un disco come quello sopranominato, è stato come sperare nella parola di un quasi muto, o come rivedere una persona a noi cara dopo molto tempo; la non creazione volontaria di hype è diventata essa stessa un valore e un parametro da affiancare alla fruizione del disco.
Bello rivedersi dopo tanto tempo, ma rifarlo dopo qualche mese o qualche anno, non conserva la stessa aura miracolosa dell’evento. Questo è un po’ ciò che librava nell’aria nei pochi giorni che sono intercorsi tra l’annuncio e la pubblicazione di “Noi, Loro, Gli Altri”.
La massiccia presenza di aspettative, alte o basse che siano, o, addirittura, la totale assenza di queste, sono chiari sintomi di come l’hype sia diventato tiranno di qualsiasi uscita, di come sia stato difficile governare e vivere l’annuncio inaspettato di un disco di un artista che non sempre si pronuncia: non c’è stato modo di speculare troppo sulla notizia, di farla andare a riposare sullo sfondo facendola gonfiare nell’attesa. Non c’è stato troppo tempo per i magazine, le riviste e i giornali di innescare quel meccanismo (che ci regge in piedi), di pubblicare per farsi leggere e di farsi leggere per dare una notizia inedita capace di ingravidare il pensiero che se ne sta buono nella zona liminale del preconscio prima di esplodere nei minuti precedenti all’uscita.
Prima di ascoltare “Noi, Loro, Gli Altri” è necessario ricordare ciò che è stato Persona, accettarlo e relativizzarlo per poterlo trasformare da termine di paragone in “spartiacque” della carriera dell’artista. Invece di farlo diventare uno spettro con cui fare un paragone, bisogna tenere in considerazione il vecchio album, ricontestualizzarlo e renderlo funzionale all’ascolto di un nuovo prodotto che non deve essere per forza il suo continuo o il suo concorrente, bensì una sua conseguenza.
“Persona” rappresenta la psicanalisi, l’arco di tempo che intercorre tra l’apertura della porta del terapeuta e il momento in cui ci si alza per uscire una volta finita la confessione laica, la svestizione dei panni di Marracash e il racconto di Marracash che cerca di comprendere Fabio. “Noi, Loro, Gli Altri” è invece Fabio che, liberatosi dalle pesanti catene che il suo status da rapper comporta, si accinge a comprendersi meglio e, rinnovato dalla terapia, si affaccia al mondo per vivere, la sua vita e la sua seconda parte di carriera, rinsaldandosi con il suo alter ego e facendolo parlare quando necessario.
Il secondo errore da non fare, è credere che Marracash, dopo tutte le lotte ingaggiate per portare il rap in alto, si sia stancato di combattere la causa dandosi così al pop da classifica.
Marracash, mai come in questo disco, ha sentito la volontà di comunicare:
Comunicare con un “noi” che scompattato potrebbe essere “io, i miei, l’altro me, lei”: rappers e artisti, il suo team di lavoro, la sua famiglia, la sua (ex)compagna, la fetta di persone abbastanza emotive da comprenderlo, il Fabio che ha difficoltà a vivere una vita normale a causa del disturbo del bipolarismo o quel “noi”, che si utilizza per escludersi dal generale e sentirci nel giusto.
Comunicare con “loro”: i rapper e gli artisti suoi detrattori, quelli che sente distanti, non compatibili, che dicotomicamente diventano le persone nel torto, gli estranei con cui scontrarsi e, metaforicamente, incontrare il diverso.
Comunicare con gli “altri”: tutte quelle persone di cui si intuisce l’esistenza ma a cui non si sa dare un volto, che non sappiamo incasellare e classificare, gli indecisi.
Questo è un Marracash che, nella durata dell’album, ragiona ad alta voce, con chi lo ascolta, sul suo passato, riordina il presente dando la sua opinione e spera per il futuro.
Questo è un Marracash che, privo delle sue ansie da prestazione, recupera il meglio dei suoi vecchi dischi: l’argutezza e il cinismo di Status, l’introspezione di Persona, la sperimentazione di “Fino a Qui Tutto Bene”, i suoi migliori tecnicismi sparsi in King Del Rap e ancora in Status, la volontà di denunciare del primo Marracash.
Tutti questi brandelli dell’anima sua stesi ad asciugare all’inferno vengono rimessi insieme dando vita a dei brani intarsiati di vissuto, capaci di gettare un ponte che pone le basi su quello che è stato per congiungersi a quello che sarà; per fare degli esempi, “Infinity Love” potrebbe essere lo sviluppo di “Brivido”, “Dubbi”, ”Io” lo sviluppo del Marracash autocritico di “Qualcosa In Cui Credere” o di “Appartengo”, “Noi” la prosecuzione de “Il Nostro Tempo”- non a caso anche qui il pronome utilizzato è la prima persona plurale -, “Nemesi” come continuo de “L’anima” con Blanco, altro artista giovanissimo che, come Madame, impersona un altro lato di Marra, il suo Mr Hyde.
La volontà di significare è accompagnata da un’accurata scelta di metodi comunicativi. Marracash ora sa quando è necessario rappare e quando no: se sente il bisogno di pronunciarsi sulla scena, se decide di riflettersi sul sociale o se ha bisogno di attaccare, il rap è la sua scelta; se deve parlare ad un pubblico più ampio, se deve dedicare un brano ad un’esperienza formativa d’amore, ricorre a quello che potremmo definire un incontro tra rap e pop, se vuole parlare a tutti prova anche a cantare.
L’apertura ai suoni dominanti della classifica ci sono ma questa non deve essere letta unicamente come un’inclinazione interamente radiofonica, poiché per gran parte del disco si parla di tematiche gravitanti nelle orbite hip hop: la strada, il vissuto autentico, le riflessioni più cupe.
Più che apertura al commerciale, si ha uno sviluppo conscio della maturità stilistica che implica la scelta di un tono, di un registro, di un’abile selezione dei mezzi e di un’intelligente impiego di questi: la fitta campionatura fatta da Marz e Zef (da Mario del Monaco, passando per l’iconica Infinity degli anni ’90, gli Angeli di Vasco Rossi, gli Wu Tang Clan, per arrivare fino a Giuseppe Verdi), intersecata al rap che si incontra con il cantato, tirano su le impalcature di una scrittura che può essere finalmente riconosciuta come “d’autore”, esclusivamente targata “Marracash”.
Il terzo errore che si può fare è quello di pronunciarsi, sia positivamente che negativamente, con un giudizio solamente dopo pochi ascolti.
Al centro del disco c’è un individuo di quaranta anni che si denuda pubblicamente, che decide di raccontarsi intimamente per mettere al centro le sue esperienze.
Due sono le parole che mi sento di accostare a questo atto: condivisione, nel suo significato, e riconciliazione, nel senso più etimologico.
Marracash, alla fine di Cosplayer, critica la concentrazione dell’individuo su sé stesso perché finisce per perdere di vista la dimensione collettiva. Probabilmente è proprio qui che si trova il cuore di tutto il disco.
L’individualismo lo si affronta tramite il dialogo, che per esistere necessita di avere delle persone pronte ad ascoltare (“noi”), e con la condivisione, perché la conditio sine qua non per quest’ultima è la presenza di qualcuno.
Non è un caso che abbia messo la foto della sua intera famiglia in copertina: Marracash porta in casa di tutti i suoi ascoltatori (loro), in digitale e in copia fisica, l’icona del suo nucleo familiare, il suo DNA, recuperando il senso primigenio del fattore “politico”: mettere in mezzo, nel pubblico, qualcosa di privato, affinché possa servire e stimolare gli altri a fare lo stesso. Lui lo fa, fisicamente con la sua famiglia, metaforicamente con le sue esperienze, nella speranza che siano utili per gli altri.
Riconciliazione, dal latino re-con-cilio. Il prefisso re- indica una ripetizione dell’azione, l’infisso -con- indica la dimensione plurale, il fare insieme, -cilio deriva dal verbo “caleo”, l’azione che faceva il banditore per richiamare il popolo a riunione. Marracash richiama alla riunione proprio gruppo di appartenenza, quello umano, in quanto animale sociale.
Marracash ci chiama a raccolta, critica ma dà anche una soluzione, ci spinge al recupero della dimensione collettiva. Nonostante il tessuto sociale sia sempre più sfibrato, nel momento in cui, tutti noi, ci troviamo a riflettere e ad ascoltare il disco, si rinforza per qualche secondo, dando un sostegno comune su cui far aggrappare chi partecipa a questo.
Non sappiamo se il disco sia il primo di un’altra serie di lavori, se Marra sia prossimo ad avventurarsi nella sua ultima parte di carriera, certo è invece che nel dopo Persona la sua carriera è cambiata: ora il rap è terapia per lui e per chi ascolta, è una mano esterna che fruga nelle emozioni e nei ricordi, spingendo alla discussione critica con sé stessi e con gli altri.
La cosa più giusta che possiamo fare è socializzare il disco: prima di affrettarci in giudizi di valore, ascoltiamolo tante volte, magari insieme ad altre persone, iniziando da questo piccolo spunto a ricollegarci con il prossimo.
Di Riccardo Bellabarba, con l’aiuto di tutta la redazione
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