Dopo ben tre anni di collaborazioni occasionali e qualche singolo, è finalmente giunto il momento di tornare a parlare seriamente di Paky e della sua ultima opera in studio: ovvero “GLORIA“.
L’album in questione si colloca, cronologicamente, dopo “Salvatore“, l’esordio del rapper di Rozzano, un progetto di fondamentale importanza che ha sancito l’inizio del sodalizio artistico di Paky. “GLORIA” si compone di quindici tracce, con la presenza più o meno significativa di undici collaborazioni (Simba la Rue, Baby Gang, Shiva, Kid Yugi, Sfera Ebbasta, Rose Villain, Clara, Tedua, Alessandra Amoroso, Franco 126 e Guè).
Paky, sin dall’inizio della sua carriera, è sempre stato piuttosto criptico e riservato. La sua scelta comunicativa, a differenza di molti suoi colleghi, si è sempre basata sul mantenere un basso profilo, lasciando parlare, quando lo riteneva necessario, solo la sua musica. Mi spiego meglio: la sua crescita, sia personale sia artistica, è evidente se si ascoltano i suoi dischi in ordine. Le informazioni sono centellinate, ma rese esplicite attraverso le sue canzoni. Parliamo di un vero e proprio affresco esistenziale.

Facendo un passo indietro, “Salvatore“, al di là delle hit che in quel determinato periodo storico hanno rappresentato una svolta nella scena Hip-Hop, conteneva veri e veri spaccati di vita quotidiana. Questi si facevano portavoce, attraverso l’esperienza vissuta in prima persona da Paky, della condizione di molti ragazzi suoi coetanei del suo quartiere, che era ed è ancora un punto cardine della sua narrazione.
Se prima si parlava di espedienti per migliorare la propria condizione sociale, oggi il tema si è evoluto: cercare la gloria, cercare di lasciare un segno indelebile per non essere dimenticato, diventare un simbolo, essere l’esempio che anche in un contesto sociale che opprime le persone, condannandole a un’esistenza tutt’altro che facile, si possa emergere, spezzare quelle catene e diventare “qualcuno”.
La poetica costruita nel tempo da Paky è coerente e si compone di motivi ricorrenti che, all’interno del suo percorso, cambiano declinazione. Non ci troviamo di fronte a un liricista, bensì a un artista che, che ci piaccia oppure no, ha fatto della povertà lessicale il suo marchio di fabbrica: la scelta di pochi concetti, a volte ripetuti, ma che seguono un senso logico in un percorso di crescita personale. Sicuramente è una scelta che comprensibilmente farà storcere il naso ai più, specialmente a chi aspettava spasmodicamente un suo nuovo disco.
Tutto sarà più chiaro una volta che ci saremo immersi nella tracklist del progetto.
Il suo viaggio inizia con “GLORIA“, intro e title track dell’album. Questa traccia, forse una delle più riuscite del disco, getta le fondamenta di tutti i concetti che pian piano verranno sviluppati. L’atmosfera è cupa, il tono è critico: l’arrivo della notorietà, per chi è abituato a vivere in una determinata maniera, non è un cambiamento radicale, almeno all’inizio. Il cammino verso la redenzione è appena cominciato.
“Sulle strade noi
Voce campionata – Paky (GLORIA, 2025)
camminiamo soli
brilla la città stanotte
stanotte per…
un secondo di gloria”
Con le tracce successive Paky ci porta all’interno dei suoi gironi preferiti dell’inferno, nei quali è ovvio che l’etica diventi un concetto piuttosto relativo, come lo era stato per Salvatore stesso. Nella prima metà dell’album — forse la più debole, esclusa l’intro — il percorso ha come scopo quello di intrattenere i suoi fan più accaniti con una serie di street hit.
Tutto ciò che è politicamente scorretto lo diverte; tutto ciò che vuole è essere diretto, vuole parlare la sua lingua non curandosi di edulcorare il messaggio. Il risultato è sicuramente gradevole in alcuni episodi, un po’ confuso in altri; forse è proprio in questa parte del disco che la sua ricorrenza tematica diventa meno digeribile.
La massima espressione della hit viene raggiunta in “Ancora tra” con Shiva e Baby Gang e in “I soldi parlano” con Kid Yugi: due bombe in cui il dualismo tra la notorietà e la vita di strada trova il suo equilibrio. Nella prima traccia citata, è ridondante il concetto di vita vissuta al limite, sul filo del confine tra giusto e sbagliato, dove, nonostante il successo e la fama, si subisce il fascino verso un contesto tristemente familiare dal quale si fatica a uscire e, forse, dal quale non si vuole uscire. Nella seconda, invece, si parla del mezzo: “i soldi parlano” non sempre una lingua dolce e forse, per chi nel corso della sua vita ne ha sempre visti pochi, ignorare quella voce diventa difficile.
“I soldi parlano
I soldi parlano – Paky ft. Kid Yugi (GLORIA, 2025)
La
Stessa lingua del diavolo”
A questo punto, abbiamo superato la metà del disco. Il nostro viaggio verso la Gloria si avvicina alla sua conclusione, ed è proprio qui che Paky si ferma un attimo a riflettere. L’artista si guarda alle spalle: quanta strada ha percorso, attraverso sentieri angusti, superando alcune tentazioni e accogliendone altre. È qui che troviamo finalmente un Paky che, nel suo silenzio, diventa loquace, ha voglia di raccontare, di aggiungere tasselli importanti alla sua crescita, alla sua vita. In “Flusso di coscienza” questa transizione è più che evidente. L’artista è davanti allo specchio e si guarda attentamente: errore dopo errore, successo dopo successo, contempla il suo viso stanco, consapevole del suo debito nei confronti della musica, strumento che ha dato i natali alla sua crescita e motore del cambiamento
“Questo è il mio
Flusso di coscienza – Paky (GLORIA, 2025)
flusso di coscienza
io che ho sempre
vissuto senza
forse”
Volendo essere più concreti, la seconda parte dell’album è di certo la più interessante; si toccano probabilmente i punti più alti dell’intera narrazione, con qualche neo sparso qua e là. Se nella prima parte del disco abbiamo parlato di due tracce nelle quali le collaborazioni hanno fatto il loro dovere nell’economia generale del disco, qui il discorso purtroppo cambia. Le scelte di alcune collaborazioni diluiscono il messaggio centrale dell’album, snaturandolo.
Seppur apprezzabile la voglia di Paky di cambiare registro, sperimentando nuove sonorità, l’inserimento di determinate collaborazioni (Sfera, Clara e Tedua) indebolisce un po’ il peso tematico trasportato dal disco. Per alcuni forse rappresenteranno l’effetto opposto, poiché alleggeriranno il tutto; ai posteri l’ardua sentenza. Probabilmente è proprio nelle tracce soliste che si raggiunge il punto focale del discorso.
“GLORIA” non è un album perfetto, ma — non credo — avendo imparato a conoscere l’artista, non ha nemmeno questa presunzione. Se lo scopo era quello di evidenziare un percorso scandito nel tempo, è probabile che abbia colto nel segno. Ora ciò che mi chiedo, e rigirando a voi questa questione, è un sano dubbio che emerge pensando ai lavori futuri di Paky: il percorso iniziato prepotentemente con “Salvatore“, quei temi sviscerati e analizzati, hanno trovato un senso e piena concretezza nella crescita attraverso questo disco, e ora? Cosa dobbiamo aspettarci per abbattere quel senso di ridondanza che va a intaccare il suo lavoro?
Nel frattempo, possiamo ammirare come, volente o nolente, Paky abbia raggiunto la sua personalissima Gloria.
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