Recensione di Brava
Il 19 Aprile abbiamo finalmente assistito all’esordio ufficiale di Priestess, al secolo Alessandra Prete, forse la più conosciuta “femcee” del Bel Paese. “Brava” è il titolo scelto per questo progetto, esso è dovuto al poco utilizzo di tale aggettivo nei suoi confronti a causa delle aspettative (talvolta eccessive a sua detta) nate tra il pubblico, che più di una volta si è dimenticato del fatto che stiamo parlando di una ragazza di 23 anni agli albori della sua carriera.
La classe ’96 si è fatta conoscere al grande pubblico a partire dall’11 settembre 2015, data di uscita di “Doppelganger” di MadMan, in cui era presente nelle tracce “Devil May Cry” e “Non esiste”, per poi iniziare a pubblicare una serie di singoli sotto l’etichetta “Tanta Roba” a partire dal 20 febbraio 2017 con “Torno Domani” che vide la produzione di Ombra e PK. Sempre in quell’anno venne pubblicato anche “Torno Domani EP” una raccolta dei singoli usciti in precedenza con l’aggiunta di alcuni inediti.
Il 4 ottobre 2018 uscì “EVA”, primo singolo dopo il capitolo conclusosi con l’EP sopracitato, e primo singolo d’anticipazione del disco ufficiale di Priestess, seguito da altri due singoli: “Fata Morgana” e “Brigitte”.
Oltre alla grande popolarità, sono numerosi i fattori che giocano a suo favore già prima dell’uscita del progetto: per prima cosa va sicuramente detto che si tratta di una tappa storica, in quanto primo disco ufficiale al femminile della scena rap italiana, ad aggiungersi a ciò c’era il patrocinio di un team già affiatato e affermato composto da MadMan, Gemitaiz (che sono anche presenti nel disco come ospiti), Ombra, PK e Kang Brulèe.
All’ascolto il disco risulta essere parecchio gradevole, ricco di sperimentazione e di influenze di vario genere, particolarmente forte è la componente elettronica da club in pieno stile anni ’90, soprattutto nelle produzioni. Le sonorità sono molto variegate, rendono il disco molto ricco e scorrevole, ma a campeggiare su tutto ciò è la sua voce che oramai non ha più bisogno di presentazioni: il timbro, che personalmente ricorda a tratti Rihanna, permette all’artista di trovarsi a proprio agio su ogni tipo di genere musicale e i vocalismi sempre presenti conferiscono maggiore melodia al suo particolare tipo di flow. Di rilievo è la grande influenza francese, sia nelle sonorità che nel settore linguistico.
I contenuti sono quelli che ci aspettiamo di trovare in un disco d’esordio: Alessandra si racconta, parla delle sue preoccupazione e delle sue debolezze, permettendo all’ascoltatore di scostare il velo del personaggio per poter riuscire a scorgere le reali fattezze dell’animo sensibile della persona, capace di sorprendere positivamente chiunque dopo l’avvio spinto. Addentrandoci nella componente testuale, non può non saltare all’occhio la grande quantità di riferimenti a figure femminili di spicco, reali e talvolta fantasiose, come Alice, Crudelia De Mon, Brigitte Bardot, Nicole Kidman, Natalie Portman, passando addirittura per figure mitologiche come Eva e Andromeda, quest’ultima (intesa come moglie di Ettore e come costellazione) viene presentata come un’amica, una spalla su cui fare affidamento nei momenti più bui.
Tirando le somme, sembra davvero un ottimo disco d’esordio che non ha nulla da invidiare a molti prodotti dei suoi colleghi uomini anche più blasonati. Probabilmente oserei definirlo migliore di molti progetti d’esordio del panorama maschile usciti negli ultimi anni. Un disco piacevole, ricco, completo, sperimentale e a tratti innovativo, che dà la sensazione di aver rispettato le attese che gravitavano sia attorno al progetto che all’artista stessa.
Le figure femminili nella scena rap nostrana, su modello delle loro colleghe affermate d’Oltre Oceano, stanno lentamente affiorando e stanno combattendo la loro battaglia per ottenere l’attenzione che sentono di meritare. In Italia, Priestess è l’esemplare dimostrazione di quanto sia inutile inventare un passato di strada per poter utilizzare il linguaggio del rap. Non è da tutti saper evitare di scadere in noiosissimi cliché, proprio per questo ci sentiamo in dovere di dirle “brava”.
Di Simone Molina
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