Iniziamo dal contesto
Silenzio, una vecchia palestra polverosa. Tutti gli attrezzi sono dismessi, tranne un sacco da boxe posto al centro della stanza. Sembra che sia lì da sempre, come se l’edificio stesso gli fosse stato costruito intorno. Al tatto è ruvido, non tanto per il tessuto, già scabro di suo, ma perché ricoperto dal sangue secco del suo proprietario. E queste macchie di sangue, come se fossero brail, ci raccontano quel che è successo.
Alcuni passaggi sono chiari: il solo toccarli è come riprendere il colpo in piena faccia, altri sono più confusi. Su quel sangue, c’è tutta la storia di Salmo.
Nell’ultimo periodo la percezione che il pubblico hip hop ha di Salmo è molto cambiata. Le scelte editoriali che ha intrapreso dal rilascio di “Hellvisback” in poi sono state mal digerite da gran parte dei suoi ascoltatori, accusandolo da un lato di inseguire un successo semplice, fatto di canzoni d’amore ed hit estive; dall’altro, di aver semplificato a tal punto la sua matrice trasgressiva da risultare “repellente”.
Se lo zoccolo duro dei fan ha presto storto il naso, il mainstream invece ha aperto all’artista sardo le porte del paradiso: X-Factor, Sanremo, l’alta rotazione, Fedez, Noyz Narcos, le hit estive e chi più ne ha ne metta. Tutto questo è su quel sacco da boxe, ed è qua che il sangue inizia a cadere. La storia comincia a farsi confusa, i colpi arrivano con più cattiveria.
Nonostante il successo e la ricchezza, l’insoddisfazione rimane così aggressiva che si trasforma in rabbia, perché non si è veloci abbastanza o bravi abbastanza: si deve colpire il sacco con più forza, ma non basta neanche questa volta.
Salmo capisce qual è la cosa giusta da fare. Smettere di colpire il sacco. Sedersi a terra e parlare. Con se stesso, con il sacco o con la persona che lo sta cercando di leggere? Non ha importanza. Questo è il suo ranch e finalmente fa lui le regole.

Salmo in “RANCH” è finalmente regista di sé stesso
“Ranch” si presenta come un disco anti-mercato: la tracklist è quasi esente da featuring e la direzione artistica scelta risulta molto personale a partire dall’ambientazione, il ranch in Sardegna nel quale Salmo si è ritirato per lavorare a questo disco.
Una delle tematiche trattate nel progetto è quella delle “radici“, intese sia come legame col passato, sia come legame con la terra. Al di là della scrittura, questa idea trova nella sfera musicale la sua espressione più fantasiosa.
Partiamo dal primo brano, “ON FIRE“. Già i primi quaranta secondi ci forniscono tutti gli strumenti per capire quale direzione sonora avrà questo disco: la traccia si apre con un organo solenne in scala minore, che va ad introdurre la voce di Maria Carta, che intona “Ave Maria Catalana“, riproposizione di una reinterpretazione dell’Ave Maria Tradizionale in lingua catalano di Alghero, partendo da una traduzione del 1955 di Mario Salvietti.
In sottofondo abbiamo una porta che cigola, suono di passi, una sigaretta che viene accesa, il rumore di ricarica di una rivoltella. Si cerca di evocare un’atmosfera cinematografica insomma, western per la precisione. Poi nel drop subentra una chitarra aggressiva che con un semplice giro di note riesce a richiamare un mood da western post-moderno.
Questa cura così attenta all’atmosfera caratterizza tutto il disco. Anche i brani meno riusciti vengono ben amalgamati nell’insieme, rendendo l’ascolto complessivo coerente e compatto. Questo fattore non è da trascurare in un momento storico dove il mercato è saturo di dischi playlist senza una direzione chiara. Ironico poi, che uno dei primi a cavalcare questa moda fu proprio Salmo, con “Playlist” appunto.
Salmo spesso è stato accostato al cinema per tutta una serie di fattori. Lui stesso è anche regista e autore di molti videoclip e corti. L’apoteosi di questa sua passione è stato “Cvlt“, il disco realizzato insieme a Noyz Narcos, dove il cinema è il concept centrale. In “Cvlt” si prova (e si riesce) a creare un atmosfera compatta ed un fil rouge che unisca tutti i brani. Il progetto, però, è rimasto un esperimento riuscito a metà. Sarà forse perché Salmo, dovendo condividere la scena con un Noyz Narcos in forma smagliante, non ha potuto infondere del tutto una propria impronta al progetto? Forse semplicemente perché quel joint album è stato l’embrione dal quale poi nascerà l’idea di realizzare “Ranch” in un determinato modo?
Cos’ha quindi di diverso quest’ultimo progetto? In “Ranch” c’è un’amalgama che va oltre il citazionismo e l’atmosfera, c’è un racconto coerente che attraversa tutti i brani, pur non esplicitandosi mai. Questa tecnica di scrittura è tipica del cantautorato francese ed italiano, ossia l’idea di proporre concept resi tali dal tono generale e dal titolo, più che dall’effettiva unione dei brani (ne sono un esempio “Rimmel” o “Alice non lo sa” di Francesco de Gregori).
Questi elementi si uniscono allo stile “alla Salmo“, fatto anche del citazionismo e dell’atmosfera di cui sopra, generando un disco dove Salmo è davvero regista della sua storia. L’elemento cinematografico va oltre la scrittura, permeando di quel gusto cinefilo anche la direzione artistica in ogni sua declinazione, dalla tracklist (che termina con “Titoli di Coda” infatti) alla scelta dell’unico featuring.
Tornando a “ON FIRE“, sulla produzione affidata a LowKidd, Salmo ci propone delle strofe autocelebrative e ricche di punchline, recuperando per l’occasione (come farà in ogni componente rap del disco) un suo flow del passato, svecchiato per l’occasione. Il tono è quello di “Midnite“, ma le citazioni vanno indietro fino a “The Island“; immancabile quella a “Rancho della Luna”, ora realizzatosi.
Nel brano, presentato come anteprima del disco due settimane prima dell’uscita, è però presente un elemento più cupo, indipendentemente dal bridge finale, di per sé più introspettivo di quel che è stato presentato finora. Si percepisce un’ombra che inizia ad aleggiare sul disco e che prenderà forma già dalla prossima traccia.
“Avevi ragione, siamo attori inconsapevoli di come,
La realtà supera sempre la finzione, recitiamo per salvarci la vita o per farci un nome”
Mentre il bridge conclusivo recita:
“Non è la canzone a farti stare male Ma quello che fa ricordare
Salmo – ON FIRE (RANCH, 2025)
Certa gente vive con la moglie e il cane
Ma chi dei due c’ha il collare? Ah Famiglia, lavoro, i figli, la casa
Le tasse, le rate, la fede cristiana
Il calcio, la coca, una vita ordinaria
Prigione mentale, cultura italiana”
“RANCH”, la recensione track-by-track
L’intro di Ranch si conclude con il passaggio di un’intervista di Marlon Brando rilasciata al “Dick Cavett Show” il 12 Giugno 1973, dove l’attore riflette sul ruolo della recitazione della vita di tutti i giorni. Brando nota che le persone mentono costantemente, agli altri ed a se stesse, aggiunge che tutti recitiamo quotidianamente, sottintendendo che siamo tutti, spesso, “finti“. Abbiamo ragione di pensare che questo passaggio Salmo lo abbia aggiunto pensando a Milano, la stessa città dalla quale se ne è andato prima di rifugiarsi nel suo ranch.
Il secondo brano del progetto, “CRUDELE“, è una diretta risposta al primo, un totale ricollegarsi alle proprie origini a più livelli. La strumentale campiona il brano “Death of Blue” del compositore greco Manos Hatzidakis, facente parte della colonna sonora del film “Due occhi di ghiaccio” (1968) diretto dal regista italo-canadese Silvio Nazzarino. Il film racconta di un bandito che volendo cambiare vita si scontra con la sua famiglia, dovendo uccidere nel corso della vicenda, tra gli altri, suo fratello e suo cugino.
Lo storytelling proposto da Salmo si apre proprio con una vicenda simile: il suo bisnonno uccise suo cugino. Da lì il rapper dipana tutta la narrazione delle vite dei suoi predecessori, di suo nonno prima e suo padre poi. Il brano termina con la nascita di Salmo stesso, confermandosi quindi come una storia d’origini, oltre che un “prequel” di “1984“.
Per tutto il brano il tono è serioso e dimesso, la storia raccontataci è dolorosa e viene sapientemente strumentalizzata per non essere il fine, ma un mezzo per avanzare la tesi del brano, tanto semplice quanto spietata: la vita è crudele. Il titolo viene più volte ripetuto nel ritornello con enfasi, volendo centrare l’attenzione sul significato della storia raccontataci più che sulla narrazione stessa e quindi sul significante.
Nel brano c’è un ultimo elemento da “origin story“, del bisnonno di Salmo ci viene detto:
Girava col machete con un fare aggressive
Salmo – crudele (ranch, 2025)
Pensava ai tempi della guerra quando apriva il cranio dei tedeschi

Per “N€UROLOGIA” abbiamo un’interpolazione di “Rap in Vena” di Fabri Fibra, qua reso orchestrale e gonfio, riprendendo dal brano del rapper marchigiano anche la forma del ritornello.
Io me ne sbatto il cazzo di un lavoro in città
Fabri Fibra – Rap In Vena (Mr. Simpatia, 2004)
Io spruzzo rap in vena
Io spruzzo rap in vena
“Io me ne sbatto di una cifra a sei zeri (Mhm-mhm-mhm, poh)
Salmo – N€UROLOGIA (RANCH, 2025)
Del tuo contratto e della villa a sei zeri (Mhm-mhm-mhm, poh)
C’è sempre il pacco in questa vita a sei zeri (Mhm-mhm-mhm, poh)
No, non fa per me, no, non fa per me
No, non fa per me, no, non fa per me”
Il brano, più debole rispetto ai precedenti, racconta del distacco di Salmo dal denaro e dal lusso, restando coerente con la narrazione. Ma il rap qua manca di incisività: per tenere alta l’attenzione in questo testo si ricorre molto all’utilizzo di nomi propri, che l’ascoltatore dovrebbe captare ed inconsciamente contestualizzare.
Questa tecnica è inflazionatissima nel rap ma qua, sebbene ben piazzata, non facendo mai cadere nel caso i riferimenti, non riesce ad essere memorabile, ma complica anche la costruzione della rima (AA, BB, CC…) non entusiasmante.
“Bravo, ma non ti confermi (Oh)
Salmo – N€UROLOGIA (RANCH, 2025)
State tutti lì come Enrico: fermi (Uh)
Io sono venuto qui per farvi a pezzi
Il fisico nucleare non si fa con gli attrezzi, nah
Come on, leva quella lagna, non sei Post Malone
Sedati come Joey Ramone
Punk rock come dalle origini
Ora sono al top, ho le vertigini con le vertigini (Oh)”
L’elemento che colpisce di più brano è infatti l’urlo alla fine della prima strofa dove l’autore ci dice che ha rinunciato ad X-Factor ed ad un milione di euro, dando un senso a tutto il fonogramma.
“SINCERO” è un brano pop punk, bedroom punk se vogliamo dargli un genere più specifico. La struttura è davvero basilare, a metà tra un brano di Vasco ed uno dei BNKR44. L’elemento più notevole è una ripresa del bridge di “Lost in the Supermarket” dei The Clash, gruppo punk inglese tra i più grandi esponenti del genere.
Il pezzo, però, resta molto coerente con il disco per il contenuto, riflettendo, anche se in chiave più pop, sul mentire, facendo della propria presunta onestà una corazza. La declinazione pop comunque non è sgradevole: si sente molto, soprattutto nel ritornello, la mano della talentuosa Federica Abbate, qua tra gli autori del brano, capace di dare una direzione al tutto senza danneggiare la personalità di Salmo.
Preso a sé è un episodio tanto potente commercialmente quanto debole da un punto di vista più analitico. La presenza di una strumentale che si presta molto alla band e di elementi cantati molto incisivi fa ben sperare per la sua performance live.
In “BYE BYE” abbiamo l’unico featuring hip hop del progetto: Kaos, pioniere dell’hip hop italiano, un personaggio che non ci si fanno problemi a definire leggenda dell’underground. Riguardo questa scelta lo stesso Salmo ci dice:
“La scelta di mettere un personaggio come Kaos per me era doverosa perché è stata la persona che mi ha ispirato più di tutti. Da ragazzino ero mega timido, […] non riuscivo a parlare con le persone, ero proprio disagiato. Cercavo di reagire alla timidezza e un giorno ho visto questo live in VHS, forse era un live di Neffa, e a un certo punto entra questo personaggio, che era Kaos, con la maglietta The Punisher, i capelli sparati alla Sid Vicious, ha preso il microfono e se l’è mangiato, ha iniziato a cantare con una foga, una rabbia incredibile, io da ragazzino sono rimasto colpito e ho detto: “Okay, è quello che voglio fare”. Ho un legame molto profondo con questo artista e in più mi sono ispirato per tutti i primi dischi a Kaos, quindi volevo restituire a lui quello che mi ha involontariamente insegnato, per me era chiudere un cerchio. […] Molte persone ora mettono dei featuring per aumentare gli streaming, io volevo fare esattamente il contrario.”
La scelta risulta felice. Kaos realizza una strofa dalla grande potenza evocativa dove riflette sul suo percorso artistico ed umano in una strofa smaccatamente anni ’90 (viene addirittura citato “Ken, il Guerriero”, anime e manga tra i simboli del rap novantino in Italia).
“Pazienza, ormai ho accettato questo ruolo
Salmo – BYE BYE feat. Kaos (RANCH, 2025)
Bloccato alla partenza, mi hanno cancellato il volo (Eh già)
Ma ho continuato scavando nel sottosuolo”
I concetti espressi da entrambi nel brano sono molto lucidi e maturi, le tematiche restano le stesse di cui si è detto finora ma anche stavolta la declinazione scelta sorprende. Salmo apre il brano citando Carl Jung, padre della psicologia analitica, riadattando la sua riflessione sull’inconscio al concept di “Ranch”. L’accostamento non risulta forzato, riuscendo a non rendere questo l’ennesimo brano “che parla di psicologia”. Ma anzi, di nuovo, si arriva al significato usando il significante come strumento, non come mezzo. Il flow e la struttura del brano riprendono “L’Alba“, presente in “Hellvisback”.
“BOUNCE!” è uno dei brani più interessanti del disco da un punto di vista musicale: prodotta da Lucienn, cerca di adattare i suoni dub, elettronici ed aggressivi tipici del Salmo di “Death USB” in chiave analogica. La scrittura è concettualmente molto fine a se stessa in questo caso, vive in funzione della strumentale, ma comunque è ricca di citazioni a vecchi brani (“estatedimmerda” o “AK77” per citarne due) e si dimostra in grado di saper giocare con l’aspettativa della rima nella costruzione della punchline.
“Dai consigliati al flop dei costretti
Salmo – BOUNCE! (RANCH, 2025)
Tra questi post so che state un po’ stretti
Il bacio di Giuda è al top dei rossetti
Ti hanno incastrato, bro, come Bossetti”
“SANGUE AMARO” è un brano che parla di depressione e lo fa in modo molto onesto. Si tratta a tutti gli effetti di una ballad pop rock, abbastanza breve ma molto compassata. Il cantato purtroppo non brilla particolarmente, non riuscendo ad essere all’altezza della validissima produzione. Anche questa probabilmente troverà la sua forma definitiva in live, anche se in questo caso trovo anche il testo, ben scritto sì, ma banale.
“CARTINE CORTE” riprende più in mano il concept del disco, con un groove soul-jazz caldo e trascinante. Questo canto, intervallato da strofe più parlate che rappate , è senza dubbio influenzato da Zucchero e da Pino Daniele, oltre che da tutta l’eredità di Black Music che portano con loro. Il brano è costruito sulla semplice similitudine tra la vita ed una cartina corta, un escamotage, quello di costruire un testo su una figura retorica di significati, piuttosto semplice certo, ma si incastra bene con il macrotema ed è convertito in musica in modo molto intelligente.
“BEATCOIN” al primo ascolto mi ha fatto pensare “questo è un brano di Artie Five“. Non che sia un male: apprezzo anche Artie e capisco l’esigenza discografica di inserire un banger, ma la traccia stona con le altre e risulta poco contestualizzata all’interno del discorso, se non per offrire una variazione sul tema, comunque non orribile, che passa piuttosto in fretta.
“IL FIGLIO DEL PRETE” immagina un’ucronia dove si scopre che l’assassino di Emanuela Orlandi è il figlio di un prete, per l’appunto, tenuto segreto dalla chiesa ed usato come sicario. La traccia racconta come il protagonista poi si ribelli, diventando a tutti gli effetti un assassino a sangue freddo. Il brano è prodotto da Greg Willen, che crea un’atmosfera da folk liturgico, utilizzando l’arpeggio di una chitarra folk armonizzato ad un coro di voci bianche e accompagnato da una batteria analogica ed accenni di pianoforte, che viene poi distrutta nella seconda parte del brano.
Qui un sawsynth taglia in due la traccia e fa subentrare un groove hip hop violento e incalzante, al ritmo col cambio di tono della narrazione. Il brano utilizza questo storytelling innanzitutto per gettare luce sul caso Orlandi (lo stesso Pietro Orlandi lo ha pubblicamente ringraziato), ma anche per descrivere contesti familiari estremi che possono avere esiti tragici. Il racconto si incornicia poi in un Italia descritta come ipocrita e insensibile, estremizzando e denunciando dinamiche reali.
“Il figlio del prete nasconde la storia che tutti sapete
salmo – il figlio del prete (ranch, 2025)
Ha rapito minori venduti alla fede”
In questo brano, di nuovo, si ricorre al mezzo dello storytelling, una dinamica narrativa che didascalizza molto il concetto che si vuole esprimere. Non è un caso che le tracce più incisive di questo disco, almeno ad un primo ascolto, siano proprio gli storytelling. Ma questa è una percezione erronea: “Ranch“, come stiamo vedendo, è ricco di idee e concetti, un’idea di progetto in contrasto con un mercato veloce e dinamico come quello discografico contemporaneo, dimostrandosi anche in questo senso coerente certo, ma richiedendo al pubblico uno sforzo in più rispetto alla media dei prodotti.
Ora non intendiamo “Ranch” come un disco “per pochi” o “troppo complesso”, non c’è bisogno di saltare da un eccesso all’altro. Potremmo dire, per semplificare, che se tutti vanno troppo veloci, “Ranch” sceglie di rallentare, ma non abbastanza da rasentare la staticità.
“NUMERI PRIMI” è un brano boom bap basato anch’esso su un concept piuttosto didascalico. Si gioco sui numeri cinque e diciassette, numeri primi per l’appunto, costruendo le strofe in cui si fa riferimento ai numeri in ogni barra.
“Aspettami in eterno, cinque secondi e scendo
Salmo – NUMERI PRIMI (RANCH, 2025)
Accendo la Play 5, pezzi da cinquecento
Cinque minuti di paura, il cinque con la merce dentro
“Non uccidere” è il quinto comandamento
Scrivo lettere come in isolamento
Cinque minuti d’aria, respiro etere, quinto elemento”
Si tratta di un esercizio di stile che va a citare esperimenti simili avvenuti negli anni di espansione del genere, come ad esempio “Dalla A alla Z” di Fabri Fibra. Il gioco si conclude con l’affermazione di unicità dell’essere il “numero uno”. Il riferimento di base è “La solitudine dei primi“, romanzo di formazione di Paolo Giordano ambientato tra gli anni ’80 e 2000 che racconta la difficile infanzia ed adolescenza di due adolescenti.
“FUORI CONTROLLO” prodotta da Luca Agnelli è un brano dalla forte impostazione Techno e Tech House, perfettamente negli standard del celebre dj. Salmo rappa molto bene sulla Techno, è stato uno dei primi a proporre quest’ibridazione al grande pubblico del resto, ma il testo resta fine a stesso. La traccia è totalmente in funzione del ritornello orecchiabile e del beat martellante, che ha al suo interno comunque più variazioni, rendendo la traccia apprezzabile anche per i non avvezzi al genere.
“INCAPACE” si apre sotto una pioggia scrosciante e, dopo una lunga boccata di sigaretta, una chitarra accompagna un testo intimo e personale che riflette sulla sua condizione dell’artista, mantenendo però costante il macrotema della sincerità nel ritornello.
“Ma siamo ancora qua a dirci la verità
Salmo – NUMERI PRIMI (RANCH, 2025)
Le cose che non riesco a dire
Sono note che un giorno ti farò sentire
Ma sono ancora qua a dirti la verità
Io sono incapace solo di mentire
Pеrché una bugia non la so dire”
Il brano utilizza per nobilitare il testo l’accostamento allo strumento acustico, ennesima tecnica molto inflazionata ma di nuovo declinata in salsa personale.
“CONTA SU DI ME” è un brano d’amore verso la musica, una sorta di ringraziamento. L’accostamento musica-donna, che spesso si risolve nella chiave romantica del brano, viene svelato senza troppi giri di parole, rendendo il tutto didascalico ed estraniante. Veramente notevole è la produzione, un beat synthwave quasi etereo davvero calzante.
Tutto questo è quello che c’è scritto col sangue su quel sacco da boxe. Alcuni passaggi sono meno definiti, perché il colpo è stato meno incisivo, ma manca qualcosa. Si solleva una voce da dietro il sacco, due vecchi amici si rincontrano.
Salmo e Maurizio si confrontano in “MAURI“. In un dialogo composto di sole due battute, Salmo rivela tutte le sue angosce che lo hanno portato ad isolarsi, e racconta come le ha sconfitte, ricollegandosi alle sue radici e facendo cadere ogni menzogna. Per tutto il disco ha mentito quando si è detto onesto, e finalmente lo è davvero. E dopo un viaggio così cupo e faticoso, sulle note di “I Feel no Evil” di Mari Kvien Brunvoll, i due si riabbracciano. La vita ora sorride a Maurizio. Non lo avrebbe mai detto nessuno, ma la storia di Salmo ha un lieto fine.
Prima di passare ai titoli di coda è giusto menzionare i tre produttori principali del progetto. Oltre a Salmo stesso, troviamo il veneto Cripowski ed i due sardi Lucienn e Verano. A questo si aggiunge la partecipazione dei membri della band LeCarie, di cui Salmo è frontman.
Il disco di conclude con “TITOLI” un lungo ringraziamento aperto a tutti, una massima espressione del One Love dell’hip hop, ma che si chiude ringraziando la persona più importante.
“Ma soprattutto, grazie a me stesso”
Il regista Sam Raimi, autore di pellicole come “Drag me to Hell“, “La Casa” o “Army of Darkness“, è stato un pioniere nell’inserire nelle proprie pellicole scene post credit, ma non come le intendiamo noi oggi. Ai tempi, vista l’assenza di grandi franchise interconnessi, erano un semplice premio ironico per coloro che arrivavano alla fine del film.
La tecnica era la seguente: essendo i suoi film molto divertiti nella realizzazione pur essendo horror, era comune trovare all’interno degli elementi gag, uno dei quali veniva riproposto estremizzato nella scena post-credit.
Salmo dopo i titoli di coda di “RANCH” fa tornare Mr. Thunder, il folle discografico conosciuto in Hellvisback, ormai in rovina, costretto ad avere l’ufficio all’interno del bagno dei dipendenti. I due hanno un ultimo esilarante scambio in cui un delirante Mr. Thunder cerca di convincere Salmo a realizzare un pezzo da stadio, una hit ed un autodissing, prendendo in giro non solo la scena, ma anche gli stessi pezzi presenti nel disco in un ultimo grande atto di anarchia.
Salmo chiude il disco dicendo: “E questo è il pezzo più bello che ho scritto“. Mi permetto di ampliare, questo è il disco più bello che ha scritto.
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