Come fai a non entusiasmarti se il rapper più atteso d’Italia esordisce così nel brano del comeback? “Gasa”, direbbero su X.
Inizia proprio così “Status”, title-track e singolo d’annuncio del disco più atteso di quel periodo. Il disco non è una dichiarazione d’intenti come si usa dire spesso di recente, è un vero e proprio dato di fatto.
Marracash ha consolidato un ruolo nel tempo, si è costruito questo “Status” e ha le spalle tanto larghe per poterselo dire da solo. Ha sempre avuto quella che oggi definiscono “Aura”, sempre su X. Quest’esaltazione intorno a lui c’è sempre stata, non è mai stato un rapper qualunque. Pochi come Marra, forse solo Guè, Fibra e Noyz. Ma in un periodo storico in cui anche Dio viene messo in discussione dalle nuove generazioni, perché Fabio Rizzo da Barona dovrebbe essere esentato? Partiamo da qui, prima di entrare nel disco.
Quanta strada ha dovuto percorrere Marracash per arrivare dov’è adesso può raccontarlo solo lui. Potrei fare in modo di creare l’inside joke con il “non sono di strada, io sono la strada” di “Scooteroni”, ma la paura di trasmettere una sensazione di “cringe” mi impone di non farlo. La stessa che lamentano alcuni ascoltatori sull’ultimo Marracash.
I suoi testi si sono inflazionati, appiattiti per arrivare a più persone o semplicemente è difficile trovare un tema che sappia di novità? Tutto d’un tratto colui che una volta era il rapper di strada, simbolo dell’intelligangsta, si ritrova riempito di critiche a causa di un’equivalente della “sindrome depressiva da social network”.
Non quella da lui descritta nell’album, ma la necessità di doversi esprimere e uniformarsi alla tendenza online. Un ramo che si affianca a tanti altri nell’albero delle conseguenze dell’internet. Se fai per troppo tempo la stessa cosa, devi cambiare; se cambi, devi tornare a essere quello di prima; se ti aggiorni, stai copiando “rapper x”; se critichi la società, “we live in a society” e vieni delegittimato. Neanche l’intoccabile Marracash è sfuggito a questo meccanismo.
Questo, in mia opinione, si collega in parte con la percezione alterata subita da Marracash nel tempo da molte persone, purtroppo anche nel sottoscritto. Il tempo ha la forza di ribaltare ogni cosa, e se una roccia può essere erosa dall’acqua figuratevi come può non deformarsi un album come “Status”, forse il più importante della carriera di Marracash. Perché sì, il disco non è invecchiato benissimo, ma nel 2015 è stata un’opera enorme.
Il punto importante da cui partire però è riconoscere che il suo status, quello che circonda la figura di Fabio Rizzo, non sembra essere scalfibile. Tutta la premessa nasce nell’internet e rimane lì, perché nella vita reale Marracash, da Status in poi, ha solo avuto una crescita di consensi.
Come nella teoria darwiniana, Marracash sceglie di evolversi e di migliorarsi di album in album, disfacendosi di ciò che non si adattasse alla discografia. Lo fa partendo da “Status”, perfezionando con i dischi successivi, creando forse lui stesso una discografia più moderna.
Questo dicono i numeri: scegliere di farsi precursore della tendenza introspettiva nel rap italiano gli ha portato un pubblico più ampio, sicuramente ha anche rafforzato il suo status, ma qualcuno dovrà ricordare a Marracash che il rap è uno sport violento. Dei dischi successivi ne parleranno altri redattori, ma se è vero che da “dopo ‘Persona’ tutti con il disco personale”, anche per “Status” può essere fatto un discorso simile.
“Vengo da dove le sveglie suonano a tutti la stessa condanna
Marracash – Bruce Willis (Status,2015)
Tra le leggende nessuno ha tenuto mai il mio standard
Qualcuno dice: ‘Tre anni sono un ritardo’
Eppure riesco ad anticiparvi ogni album”
Con questo disco, Marracash ha settato lo standard che in quel periodo mancava, riempiendo un vuoto che perdurava da anni. Lui è stato il primo, ma non è un caso che Fibra e Guè, a pochi mesi di distanza, abbiano rilasciato capolavori come “Squallor” e “Vero”. Serviva alzare il livello in un momento buio per il rap italiano. Il rapper di Barona, infatti, ha un certo potere e una certa responsabilità verso la scena. Non poteva tornare con un progetto qualunque.
“Fino a qui tutto bene” era un album troppo distante, era ingiusto non poter ascoltare un’evoluzione di Marracash. La scena era cambiata, Moreno aveva vinto “Amici” e Fedez aveva cambiato le regole. La Honiro stava vivendo il suo canto del cigno e i Dogo si stavano sciogliendo. Come Godzilla, Marracash ha smesso di essere dormiente e ha salvato un genere. Non voglio essere cinematografico o catastrofico, ma è la verità.
Per quanto all’inizio ho detto che sia invecchiato male, “Status” aveva tutto al posto giusto al momento giusto, nel 2015. Partiamo con l’intro: “Bruce Willis”. Lei invece, se uscisse oggi, sarebbe ancora avanguardia. Ha anche segnato la realtà di Rapteratura: “Dire che è solo autocelebrazione è come guardare una natura morta e dire che è soltanto frutta”. Siamo partiti con questa base, cercando di andare oltre l’apparenza per raccontarvi la musica in un certo modo, ma passiamo oltre.
“La tua roba non è dura, non dura
Marracash – Bentornato (Status, 2015)
Cambiato come Genny dopo l’Honduras
Chiami Marra nei tuoi dischi e ti oscura”
Possibile dargli torto? Ai tempi no. Ma anche oggi se vuole. La traccia è come una seconda intro, ricca di punchlines e che prepara l’ascoltatore ai chili di carne al fuoco che si troverà di fronte lungo tutto il disco. Certo che se a 14 anni “Lotterò, l’otterrò e lo terrò per me” mi faceva mettere le mani in fronte dal sussulto, oggi…
“Boy, sei invitato al party in spiaggia che farò
Marracash ft. Achille Lauro – Don (Status,2015)
Porta tutti i testi che facciamo il falò
Se i tuoi c’hanno i soldi non parlarmi di hardcore
Ho avuto trenta motorini
E neanche uno mio
Ho avuto trenta motorini
E neanche uno mio
Volevo prende’ cinque grammi
Ho preso trenta kili
Volevo prende’ cinque grammi
Ho preso trenta kili”
No, non farò il track-by-track. “Don” sarà l’ultima. Tra i tanti meriti di Marracash, nel periodo di “Status” ha reso fertile gli anni successivi del genere. In pochi mesi lancia Sfera Ebbasta e Achille Lauro, con quest’ultimo che presenzia proprio nel disco. Forse meriti che gli vengono riconosciuti troppo poco.
Il disco è corposo. 18 tracce e diversi featuring, ma il progetto suona come una manifestazione di superiorità insindacabile e ogni brano racconta una storia diversa. Neffa contribuisce a quella hit sottovalutata che è “Nella Macchina”; Coez & Salmo concludono il trio del banger “A Volte Esagero”; Achille Lauro già è stato nominato. Paradossalmente il brano meno potente è quello in collaborazione con Guè e questa opinione è quasi universalmente riconosciuta. Qual è la migliore invece? De Gustibus. Pareggio a reti bianche. Però ce ne sono di pretendenti. “Il Nostro Tempo” è sublime, “In Radio” l’abbiamo cantata tutti, ma forse spenderei due parole in più per “Vendetta”.
22 dicembre 2014. A poche settimane dalla pubblicazione, e mesi dopo la title-track, Marracash pubblica tre brani: “20 anni (Peso)”, “Crack”, “Vendetta”. Proprio quest’ultima è stata per anni un metro di paragone. Una canzone che si divide in fasi diverse, dalla durata di oltre 5 minuti e che ha acquisito così tanto valore per l’impatto emotivo che arriva in cuffia. Rabbia, frustrazione, le urla nell’outro: Marra fa sì il populista, ma lo fa bene (ricordate che era comunque il 2014); inoltre, i messaggi che arrivano facilitano l’immedesimazione.
“La mia vendetta è che i tuoi figli ascoltano i miei testi
E sognano di diventare quello che detesti
La mia missione è di educarli a essere ribelli[…]
Io so che il mondo non si cambia
Si governa
Vogliamo somigliare a quelli a cui sputiamo merda
Ci danno in pasto nuovi vizi
Nuova merda
E noi ce li prendiamo tutti come l’influenza
I miei colleghi lucrano sopra l’ingenuità
Fan con disturbi della personalità
Onestà, onestà insegnano ai licei
Onestà, sì la stessa che ha fottuto i miei!
Tu speri ancora che la legge faccia il tuo interesse
È come chiedere se è buona a chi la vende[…]
Domande senza risposta
Marracash – Vendetta (Status, 2015)
Perché il silenzio è dei colpevoli
Di chi, di chi, di chi ha progettato ‘sta giostra
Di chi ci ha reso così deboli
E vedo sangue sulle cravatte
Di chi ha scommesso che il paese crollasse
E classe media senza classe
Che ha lasciato accadesse perché voleva lei farne parte”
Una sorta di track-by-track alla fine è stato fatto. Non fanno per me, ma era necessario. “Status” racconta una pagina importante per il rap italiano e serviva riportare per iscritto le barre significative. Per contestualizzare. Perché il contesto è tutto. Nel 2015 era avanguardia, oggi un po’ meno.
Ci sono album che sembrano come il vino, migliorano con l’età che avanza. “Status”, però, non è tra questi e può anche andar bene così. Le strumentali oggi sarebbero anacronistiche o ridondanti, ancor di più linguaggio e tematiche. Tutta la retorica sulla politica e sulla sindrome depressiva da social network, ma anche le punchlines (quelle neanche vanno più di moda), sono aspetti che oggi sarebbero giudicati diversamente. Ma nel 2015 era quello che serviva perché il rap doveva tornare a essere uno sport violento.
Poi lo è diventato troppo, ed è arrivata l’introspezione con “Persona” e tutti i seguaci. I fan del rap si lamentano di una scena stantìa, chissà se il prossimo album setterà un nuovo standard come fece 9 anni fa. Marracash deve tornare a sentire quella responsabilità, perché il potere di farlo non glielo potrà togliere mai nessuno.
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